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O la borsa o la vita: militari condannati a pene lievi per il furto dei beni ai profughi siriani salvati in mare

I fatti

Il 3 ottobre e l’ 11 ottobre 2013 sono due date che tutti ricorderemo per sempre, come quelle che hanno visto la morte tragica di centinaia di uomini, donne e bambini.

386 uomini morirono il 3 ottobre e 286 l’11 ottobre (il cosiddetto naufragio dei bambini).

Anche se ancora oggi sono centinaia le persone che continuano a morire in mare a causa delle politiche europee, le due tragedie ricordate misero in mostra gli evidenti ritardi e le colpevoli omissioni di soccorso nelle operazioni di salvataggio, e, successivamente al risalto mediatico dei due naufragi, il Governo Italiano rispose con l’operazione Mare Nostrum.

Dopo poche settimane dall’inizio di quest’operazione, circa 100 profughi siriani vennero salvati, ma, detto salvataggio ebbe risvolti davvero vergognosi.

Secondo quanto ricostruito dalle testimonianze, la Corvetta della Marina Militare F556 “Chimera” intervenne nel pomeriggio del 25 ottobre salvando decine profughi siriani (70 adulti e 30 minori), che rischiavano di naufragare.

Quando si trovarono a bordo della nave Chimera uomini, donne e bambini, prima di ricevere le cure idonee e l’accoglienza che si aspettavano da chi li aveva salvati, per prima cosa vennero perquisiti dai militari, con la finalità “dichiarata” di verificare se avessero sulla loro persona armi o altri oggetti atti ad offendere.

I militari della nave Chimera, secondo quanto evidenziato dall’indagine successiva, a seguito della denuncia di alcuni profughi, avrebbero perquisito i profughi, costringendo in particolare le donne, a depositare denaro e oggetti personali, fra cui gioielli e telefoni di ultima generazione, in alcuni sacchetti senza alcun codice identificativo, senza redigere verbale di ritiro, violando così le disposizioni contenute nel ruolo “Controllo dei flussi migratori” (CFM).

Tale sottrazione era assolutamente illegittima, atteso che, sia il denaro sia i monili “sequestrati” non erano assolutamente da considerare “oggetti atti ad offendere” e andavano immediatamente riconsegnati ai proprietari.

L’inchiesta, che ipotizzava i reati di peculato militare e violata consegna, scaturì dalla segnalazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale Militare di Napoli, immediatamente allertato, che dispose immediatamente accertamenti demandati sia alla Capitaneria di Porto, sia al Comando Militare di Brindisi sia alla squadra mobile di Agrigento.

Secondo quanto scaturito dalle dichiarazione di parte dei profughi – non tutti decisero di denunciare l’accaduto – i marò, artefici dell’illegittima sottrazione, si sarebbero appropriati di una somma pari a 35 mila euro e 26 mila dollari, oltre decine di migliaia di euro in monili – collane, anelli, bracciali ecc. –

Tra le persone presenti sulla nave che avevano preso parte alle operazioni, ne sono stati indagati 8, tra marò e marinai.

I profughi si accorsero della sottrazione, avvenuta nella notte, solo quanto giunsero a Geraci (PA), allorquando i sacchi per la spazzatura dove erano stati stipati i loro beni, e al cui interno avrebbero dovuto trovare anche i più piccoli sacchetti nei quali erano stati riposti i monili, i telefoni ed il denaro, furono rinvenuti squarciati.

Un piccolo profugo, nel corso della notte, sceso dalla tolda per recarsi nel bagno sito nei pressi della prua, dove i sacchi erano stati stipati, vide i soldati rovistare tra i sacchi, ma solo dopo ne parlò con i familiari.

Sentito nel corso dell’incidente di esecuzione tenutosi presso il Tribunale di Agrigento, confermò quanto rappresentato ai suoi familiari, riuscendo ad identificare uno dei responsabili.

I profughi, che si erano privati di tutti i loro beni per affrontare il viaggio che li avrebbe sottratti ai bombardamenti, e che avevano portato con sé nei monili e i ricordi di una vita, dopo un viaggio di tormenti e sofferenze trovarono soltanto militari freddi, avidi ed irrispettosi, che contravvenendo ai più elementari obblighi di solidarietà, hanno rubato i loro beni e con essi il sogno di raggiungere in tempi brevi i familiari in Nord Europa.

Soltanto dopo diversi mesi, grazie ad una campagna di solidarietà, iniziata a Geraci (PA), quasi tutti/e riuscirono a ricongiungersi ai propri cari.

La sentenza

Il 18 gennaio 2018 la sentenza del Tribunale Militare di Napoli ha dichiarato 3 dei militari indagati responsabili del reato di violata consegna pluriaggravata in concorso, ma constatato il difetto di giurisdizione – i beni sottratti non erano stati “sequestrati”, ma arbitrariamente sottratti – per il marò è stata ordinata la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento, con la contestazione di furto aggravato.

Degli ulteriori imputati – sottufficiali della Marina di stanza sulla nave Chimera ma non marò – 3 sono stati condannati per violata consegna, per non aver impedito la sottrazione dei beni: uno a sei mesi e due a tre mesi di reclusione militare, con beneficio di sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel casellario giudiziario!

Come attiviste ed attiviste riteniamo che i fatti accaduti siano di una gravità enorme, ancor più dato che i reati sono stati commessi da militari contro persone inermi ed appena “salvate”.

Un abuso odioso e violento, in cui militari da salvatori in pochi secondi si sono tramutati in predoni, trasformando la felicità della salvezza in disperazione e sgomento.

Questo non è stato un episodio isolato: altri profughi vennero in quei giorni derubati ma non hanno inteso sporgere querela, e, per le poche denunce presentate non è stato possibile proseguire l’azione penale in assenza di fattuali riscontri.

Fatto è che, dopo l’incardinamento di questo processo non si sono più verificati furti sulle navi, e, solo quanto effettivamente “pericoloso” trattenuto dai militari a bordo delle navi con rilascio di formale verbale di sequestro….

Il nostro impegno insieme agli uomini ed alle donne che tanto hanno subito è quello di continuare a seguire l’iter giudiziario di questo processo innanzi al Tribunale di Agrigento, a continuare a batterci affinché non si ripetano mai più vergogne del genere.

Continueremo a pretendere Verità e Giustizia.

Ringraziamo l’avvocata Liana Nesta che ha portato avanti questa battaglia, la Procura Militare di Napoli che ha con ogni mezzo sostenuto l’accusa, il Sindaco di Geraci e tutti gli altri testimoni che hanno affrontato lunghi viaggi per portare il loro contributo affinché il Tribunale Militare di Napoli potesse accertare la verità, e, prima di tutti, tutti gli uomini e le donne vittime dell’ennesimo abuso, dell’ennesima violenza, che nonostante tutto continuano a combattere per i propri diritti.

Rete Antirazzista Catanese, Campagna LasciateCIEntrare, Associazione Thomas Sankara Napoli

Campagna LasciateCIEntrare

La campagna LasciateCIEntrare è nata nel 2011 per contrastare una circolare del Ministero dell’Interno che vietava l’accesso agli organi di stampa nei CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) e nei C.A.R.A. (Centri di accoglienza per richiedenti asilo): appellandosi al diritto/dovere di esercitare l’art. 21 della Costituzione, ovvero la libertà di stampa, LasciateCIEntrare ha ottenuto l’abrogazione della circolare e oggi si batte contro la detenzione amministrativa dei migranti continua »