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ONG sotto attacco: salvano troppe vite nel Mediterraneo

Nando Sigona, Università di Birmingham - 29 marzo 2017

Photo credit: MSF

traduzione di Maria Vittoria Zecca

Politici e mass-media europei hanno accusato le organizzazioni non-governative (ONG) che effettuano le operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo di indebolire i loro sforzi per arginare il flusso migratorio proveniente dalla Libia.

Recenti accuse da parte di Frontex, l’agenzia di frontiera dell’UE, segnano un nuovo punto basso nella tendenza a criminalizzare coloro che aiutano migranti e rifugiati in Europa.

Fino a poco tempo fa, la copertura mediatica negativa e le indagini della polizia per i cosiddetti “crimini di solidarietà” sono state dirette per lo più verso piccole ONG e verso i volontari. Ora l’obiettivo principale dell’ira di Frontex è il vincitore del Premio Nobel per la Pace Medici Senza Frontiere (MSF), accusato insieme altre Ong di collusione con i trafficanti di esseri umani e, in definitiva, di essere responsabile della morte in mare di un maggior numero di migranti.

Parlando alla fine di febbraio, il direttore di Frontex, Fabrice Leggeri, ha affermato che la presenza delle navi delle Ong in prossimità delle acque libiche “porta i trafficanti a spingere ancora più migranti su imbarcazioni insicure, con acqua e carburante insufficiente, rispetto agli anni precedenti”. MSF ha etichettato le accuse come “estremamente gravi e dannose” e ha detto che la sua azione umanitaria non è “la causa ma una risposta” alla crisi.

I commenti di Leggeri non sono un caso isolato e numerosi politici europei hanno avanzato dichiarazioni simili. Ma il loro intento principale è quello di distogliere l’attenzione dalla propria inattività e di sfuggire alla responsabilità per l’aumento degli attraversamenti irregolari e delle morti attraverso la rotta del Mediterraneo centrale, dalla Libia verso l’Europa.

L’attuale attenzione sulle operazioni di ricerca e soccorso in mare svolte dalle ONG esprime un cambiamento più generale nell’umore politico e pubblico in Europa. Nonostante superficiali manifestazioni pubbliche di indignazione e condanna per le posizioni anti-immigrazione e anti-rifugiati assunte da Donald Trump negli Stati Uniti, iniziative simili e una retorica simile stanno gradualmente divenendo parte del contesto politico in numerosi stati membri Europei.

La corsa alla difesa dei confini meridionali dell’UE rimane saldamente al primo posto nell’agenda politica europea. Le preoccupazioni umanitarie e l’empatia per i migranti del Mediterraneo in fuga da guerra, persecuzioni e povertà, che avevano raggiunto il culmine alla fine del 2015 con la morte del bambino curdo Alan Kurdi, sono da allora diminuite.

In una serie di casi giudiziari, i governi hanno inflitto pene esemplare a volontari e attivisti, diffondendo il messaggio che la corrente si è rivoltata contro i rifugiati e i loro sostenitori. Casi del genere comprendono il processo nei confronti dell’agricoltore francese Cédric Herrou e dei soccorritori volontari spagnoli a Lesvos.

L’accordo UE-Turchia: un anno dopo

Ma la transizione da “benvenuto ai rifugiati” a “rifugiati non graditi” in Europa non è avvenuta improvvisamente. Tre passaggi essenziali hanno avuto un impatto significativo.

Innanzitutto vi è stata l’attuazione di un accordo tra l’Ue e la Turchia che ha sigillato efficacemente la rotta del mar Egeo, utilizzata prevalentemente da Siriani, Afgani e Iracheni. Circa il 90% degli arrivi in Grecia nel 2015 è giunto da questi Stati.

Dall’introduzione dell’accordo nel marzo 2016 – in base al quale coloro che sono arrivati via mare sono stati rispediti in Turchia in cambio della concessione di viaggiare in Europa per altri provenienti dai campi di rifugiati registrati – gli arrivi sono passati da migliaia al giorno a poche dozzine. Tenendo fuori dall’UE i Siriani e gli altri cittadini di “paesi produttori di rifugiati”, per usare il gergo dell’UNHCR, l’interesse principale della compassione umana europea è svanito, permettendo alle opinioni securitarie e maggiormente contrarie all’immigrazione di prevalere nei dibattiti sulla migrazione nel Mediterraneo.

Un anno dopo, l’accordo UE-Turchia ha prodotto risultati contrastanti. Mentre i politici europei hanno lodato l’accordo poiché è riuscito nel suo obiettivo principale di arginare gli attraversamenti del mare, le ONG hanno sottolineato il “massiccio pedaggio sulla salute mentale di rifugiati e migranti” bloccati in Turchia.

Il futuro dell’accordo è incerto – intrappolato come è in una rissa diplomatica tra la Turchia e la UE riguardo ai tentativi del presidente turco Recep Tayyip Erdogan di mobilitare le diaspore turche in sostegno del referendum costituzionale che gli concederà più poteri.

La chiusura della rotta del mar Egeo ha aiutato i leader dell’UE a spostare l’attenzione dell’opinione pubblica dalle cause che costringono le persone ad abbandonare le loro case all’irregolarità dei loro viaggi. Essa ha permesso anche ad alcuni di descrivere coloro che arrivano sui barconi dalla Libia come “migranti economici” immeritevoli, nonostante il fatto che molti fuggano da violenza, persecuzione e violazione dei diritti umani, come dimostrato dal lavoro del mio gruppo di ricerca.

Osservatori indipendenti

Il secondo passaggio è stato che il vocabolario umanitario, in particolare l’obiettivo di ridurre le morti in mare, è stato cooptato dai funzionari di frontiera e dell’immigrazione. Questo ha significato, per esempio, che la chiusura della rotta del mar Egeo che aveva permesso ai Siriani di raggiungere la sicurezza nell’UE è stata giustificata come una misura messa in atto dalla UE per salvare i Siriani dall’annegamento. Nonostante il fatto che la rotta del mar Egeo dalla Turchia alla Grecia fosse in realtà più veloce, più accessibile e di gran lunga più sicura della rotta che la maggioranza delle persone sta prendendo dalla Libia.

In terzo luogo, l’esclusione totale o parziale dei gruppi umanitari dal mare consolida il potere di Frontex di riferire quello che sta succedendo nel Mediterraneo, ed è utile alla sua appropriazione della narrazione umanitaria. Ciò che è necessario sono voci e organizzazioni indipendenti e rispettate, come quella di MSF, per evidenziare ciò che sta accadendo. Questo include le crescenti preoccupazioni riguardo alle modalità con cui i guardacoste libici stanno svolgendo un ruolo come sostituti dell’UE al confine, e la diminuzione dell’impegno per le missioni di ricerca e soccorso da parte dell’UE.

La criminalizzazione di volontari, attivisti e ONG serve a scoraggiare la società civile europea dal farsi coinvolgere, e, in definitiva, ad indebolire e dividere l’ultimo baluardo contro la linea dura dell’UE in materia di rifugiati e migranti, oggi prevalente. E’ questa linea dura che sta anche producendo la chiusura sistematica delle rotte legali fuori dalla Siria, intrappolando i Siriani in campi di frontiera e in un limbo legale ed esistenziale prolungato, e rendendo le traversate dalla Libia verso l’Italia più pericolose e mortali.