Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da "Il Settimanale Pavese" del 6 settembre 2007

Odissea Rom

Ieri sera il cielo minacciava di nuovo pioggia intorno alle sei e mezza in piazzetta Maggi, dove c’erano i nomadi – perché ora possiamo finalmente dirlo, sono proprio nomadi, basta guardarli: sporchi con i loro sacchi di vestiti, pronti a partire, mentre sui i fornelli da campo improvvisati dentro enormi padelle cuociono le salsicce sul marciapiede – i nomadi dunque, accampati sui materassi dietro le transenne, con i volti tesi di chi, esasperato dalla precarietà protratta, dalle continue intimidazioni e dall’attesa, sta davvero mollando la speranza. Sono stanchi, accasciati, gli occhi vuoti. Ma la loro odissea di giornata non è finita: i Rom sono partiti da Pavia, alle 20.15. La prima destinazione doveva essere una cascina a Marcignago. Una cascina dismessa lontana dal paese, senza servizi igienici. A disposizione dei cittadini rumeni ci sarebbero stati i fienili, i granai e i depositi dei macchinari agricoli, dismessi. A Irene Campari è chiesto di “tranquillizzare” la signora anziana che abita in quella cascina e che non era ancora stata avvertita dell’arrivo di 120 nuovi vicini di casa. La signora anziana non apre la porta. Non sappiamo darle torto.
Dopo la snervante attesa la colonna si è messa in marcia verso la reazione sdegnata degli amministratori di Torre d’Isola e quella intollerabile di molti abitanti di santa Sofia, che non li volevano nel loro territorio: la gente voleva sdraiarsi per terra per non permettere il passaggio della colonna. Michele Trombetta, vicesindaco di Torre d’Isola, davanti a Irene Campari e a un funzionario dell’ASM, appena prima dell’ingresso allo stradello sterrato che porta al poligono, quando ancora la colonna di automezzi non era arrivata a santa Sofia, suggerisce la soluzione «camere a gas, forni crematori» e poi risale in macchina. I Rom di Pavia non si sarebbero fermati sul «loro» territorio; erano diretti a un poligono di tiro in riva al Ticino, un’area demaniale nel Comune di Pavia, infestata da erbacce, zanzare e topi. 40 bambini e 70 adulti avrebbero dovuto secondo alcune autorità trascorrere la notte in quel posto. Alcuni abitanti della residenza di Cascina San Siro (la strada che porta al poligono passa davanti alle loro case) hanno inscenato la protesta, al grido di «noi siamo persone civili, föra di ball» e «Padania libera» «Si sente già la puzza» «Arrivano i ladri, noi paghiamo le tasse»: due ore fermi in mezzo ai campi, con 120 persone, Polizia e Carabinieri ad aspettare sui mezzi di e la gente che urlava «non fateli scendere». Nessuna autorità civile presente dal Comune di Pavia, solo i vigili urbani, increduli, e il loro Comandante.
Poi la decisione di tornare verso Pavia, con destinazione il parcheggio dello Stadio e la prospettiva di passare un’altra notte all’aperto. Una colonna di mezzi lunga un chilometro attraversa la città, piazza Minerva compresa, con i lampeggianti accesi, come quando si scortano tifosi violenti verso lo stadio. Del resto la destinazione era proprio lo stadio. Eppure avevamo chiesto, come Circolo, che i trasferimenti avvenissero in sordina e nell’anonimato; una precauzione minima, ma cruciale. Si è invece formata una colonna di un chilomentro; cosa mai vista a Pavia da decenni a questa parte. La fretta del Sindaco di liberarsi del “problema” ha prodotto anche questo.
Dopo di che altra attesa. Infine la decisione, presa da Roberto Portolan (assessore con delega alla Protezione civile) di ospitarli per la notte in una delle palestre del Palasport di via Treves.
Arrivati sul posto Ida Bianchessi, medico, che ha lavorato come volontaria tra i Rom della Snia, porta delle pizze; la Caritas ha fornito l’acqua, l’assessore ai servizi sociali aveva il telefono spento. 120 persone sono state offerte al mondo, e per ora nessuno le ha volute.

Ma l’Odissea vera e propria dei Rom di Pavia era iniziata giovedì: all’alba del 30 agosto la Polizia ha infatti sgomberato la Snia. L’operazione si è svolta con ordine. Sotto una pioggia battente, i cittadini rumeni sono stati parcheggiati in piazzetta Maggi, senza assistenza fino a pomeriggio inoltrato. Al cinismo dell’amministrazione comunale, i Rom hanno opposto un comportamento civile e nonviolento, manifestando per le vie cittadine fino a Palazzo Mezzabarba, sede del Comune. Lungo la strada hanno distribuito un volantino con le «Raccomandazioni» del Commissario Ue per i diritti umani Alvaro Gil-Robles e hanno gridato slogan come «Europa Europa», «No al razzismo», «Siamo cristiani anche noi», «Vogliamo solo esistere», «Chiediamo un lavoro umile», «Sciopero della fame».
E così è stato: tornati in piazzetta Maggi, tutti gli adulti hanno annunciato 24 ore di sciopero della fame. Uno sciopero che riguarda solo gli uomini. Per 4 di loro lo “sciopero” sta proseguendo tutt’ora, a oltranza. Una risposta civile e nonviolenta all’inciviltà di chi ha abbandonato questa gente in mezzo a una strada e sotto il temporale: uomini, donne, bambini anche piccoli e tutte le loro cose senza un riparo.
Le autorità avevano assicurato che le famiglie rumene della Snia, una volta sgomberate, avrebbero avuto un tetto sotto il quale passare la notte. E invece uomini, donne, bambini dormono all’aperto con la sola protezione del cellophane, vergognosamente abbandonati da istituzioni che si dicono democratiche. Nel pomeriggio, la Protezione civile ha allestito una tenda collettiva, maassessori xenofobi e sessuofobi l’hanno riservata a donne e bambini. Accetteranno il trasferimento in pochissimi; le donne preferiscono restare accanto ai loro mariti, all’aperto, nonostante la pioggia incombente.
Alle 00.30 ricomincia a piovere. L’aria si è raffreddata, il cielo è solcato dalla luce dei fulmini e dal fragore dei tuoni. All’1.30 la città è sotto il temporale.

Il 31 agosto dopo una notte d’inferno, sotto la pioggia battente, che ha allagato piazzetta Maggi, chi non era sotto il tendone è stato costretto a cercare un riparo dentro la mensa della Croce Rossa. Dopo di che anche gli uomini sono stati ammessi sotto il tendone che la Protezione civile di Milano aveva allestito in piazzetta Maggi. Nella promiscuità, ma è quello che passa il convento: sempre meglio che all’aperto. Il pantano di piazzetta Maggi simboleggia quello uguale e contrario nel quale si è arenata l’amministrazione locale. Ma si spera, si continua a sperare che una via d’uscita verrà trovata, ridando spazio e autorità alla politica.
Nel frattempo la Tradital di Zunino (proprietaria di una parte dell’ex Snia), pur di toglierseli di torno, aveva offerto tramite la Caritas 250 euro (più 50 euro per ogni figlio) a chi avesse accettato di tornare in Romania. La risposta è stata semplice: «No, grazie, perché con quella cifra a Bucarest ci campiamo sì e no un mese».

Il primo settembre, terzo giorno di sciopero della fame, molti rumeni continuano a rifiutare il cibo ma l’accampamento si anima: mangiano le donne, i bambini e alcuni uomini che devono andare al lavoro. I Rom chiedono una allocazione più umana, un poco di privacy famigliare e l’applicazione anche a Pavia delle “Raccomandazioni” Ue sui diritti umani.

Domenica 2 settembre. Serata di preghiera alla Snia di Pavia con Popa Nicolae, sacerdote della Chiesa Ortodossa rumena e Don Gabriele Pelosi, della vicina parrocchia, che ha portato il saluto del Vescovo di Pavia Mons. Giovanni Giudici. Una preghiera collettiva di aiuto e di perdono alla quale ne è seguita una seconda, individuale e di purificazione.
Lunedì 3 settembre le due tende di piazzetta Maggi vengono appunto smontate. Alle 10 del mattino non ci sono più tende, né bagni chimici, né mensa; solo transenne che recintano l’area in cui devono stare confinati i Rom. SE ne va la Croce Rossa e la Protezione civile. Intanto arrivano i residenti di san Pietro. Qualcuno non lesina apprezzamenti intollerabili rivolti a coloro i quali sono nel recinto.

Dopo di che veniamo a oggi. I Rom sono stesi o seduti sui loro materassi, sotto gli alberi, davanti al Palasport. «Io una cosa così non l’ho mai vista» Gheorghita intorno a mezzogiorno quando il figlio, che ha subito un’apppendicectomia, torna, dimesso dall’ospedale, a straiarsi su un materasso, che è ora l’unica casa possibile per lui: lì ci sono i suoi fratelli. Figli, tutti quei figli, la grande vergogna?, no, la grande ricchezza di questa gente.

Oggi, martedì 4 settembre, un’altra giornata di attesa, e a sera, finalmente, Giovannetti, il vero Padre dei Rom in questa battaglia, annuncia loro finalmente una buona notizia: «ragazzi, un’altra notte di campeggio, portate dentro i materassi. Allle otto arriverà la cena. Domani è un altro giorno, come disse Rossella O’Hara, un grande giorno”. E Irene Campari estende loro l’invito a partecipare, da cittadini europei, alla “lectio magistralis” di Stefano Rodotà; in Piazza della Vittoria si parlerà di “nuova città nuova democrazia”.

Ma quando si accorgerà, Pavia, che la vera lezione alla città l’hanno data in questi giorni, tra piazzetta Maggi, Santa Sofia e il Palatreves, proprio i Rom, con il loro comportamento dignitoso, compatto e non violento, contrapposto alla violenza e alla manifesta incompetenza delle autorità comunali.