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Opicina (TS) – Donna ucraina suicida in Commissariato. Sequestrata illegalmente

Una pratica usuale. Sequestrato agli agenti materiale neofascista. 40 minuti di agonia senza alcun intervento

Una morte molto più che sospetta: una certezza. Alina, la donna ucraina suicida nel commissariato di Opicina dopo 40 minuti di agonia. E’ stata sequestrata per tre giorni illegalmente all’interno della “stanza di controllo”, ma ciò che è peggio è che non è stata la sola. La Procura indaga su altri 49 casi di detenzione illegale all’interno del commissariato.Non è un caso che agli agenti inquisiti sia stato sequestrato in casa ed in ufficio materiale neofascista.

Da Trieste, l’appello per un presidio convocato d’urgenza davanti alla Questura
Accade in questa città che la polizia effettui sistematicamente
detenzioni illegittime di cittadini migranti.
Accade anche, però, che noi vogliamo restare umani e vivere in una città
degna dove nessun umano debba uccidersi per la disperazione in un
commissariato di polizia.
Vivere in una città in cui non ci siano trame oscure nei corridoi delle
questure.
Ci è impossibile essere indifferenti, complici silenziosi, “egualmente
ci ripugna di essere oppressi e di divenire oppressori”.
Questo “sistema” deve cessare immediatamente, ci ripugna essere i
guardiani armati della Fortezza Europa.
Tutti davanti alla questura di Trieste martedi 15 alle 17!

da Il Piccolo di Trieste
Il pm Massimo De Bortoli si è presentato ieri mattina in Questura con una decina di finanzieri e due poliziotti della Procura. Hanno perquisito le stanze del settore immigrazione al terzo piano ma anche l’ufficio di Carlo Baffi, il funzionario responsabile per le pratiche relative agli stranieri che ha gestito la tragica vicenda di Alina Bonar Diachuk. Si tratta dell’ucraina di 32 anni morta suicida il mattino del 16 aprile in una stanza del commissariato di Opicina, dove era stata rinchiusa illegalmente in attesa dell’espulsione. Baffi è ora indagato per sequestro di persona e omicidio colposo: è rimasto negli uffici della finanza in Procura fino a tarda sera. «La perquisizione è un atto dovuto a seguito dell’iscrizione nel registro degli indagati del dottor Baffi, che è assolutamente sereno avendo rispettato nell’esercizio delle proprie funzioni quanto di dovere», ha dichiarato ieri sera il difensore, l’avvocato Paolo Pacileo.

Le ipotesi di reato per Baffi riguardano a oggi il caso di Alina, ma nel corso del blitz in Questura sono stati sequestrati 49 fascicoli in originale relativi ad altrettanti cittadini extracomunitari anch’essi, in attesa dell’espulsione, detenuti secondo la Procura illegalmente al commissariato di Opicina. Le stesse stanze dove è morta la giovane donna. Gli investigatori infatti al loro ingresso in Questura avevano già una lista con i nomi dei 49 stranieri evidenziati dall’agosto del 2011 fino allo scorso aprile, nomi acquisiti grazie alla documentazione sequestrata nei giorni scorsi sia negli uffici del Giudice di pace che al commissariato di Opicina.

«Siamo a disposizione per fornire ogni elemento utile alle indagini relative al suicidio avvenuto all’interno di una struttura della polizia», ha dichiarato il questore Giuseppe Padulano. «Se abbiamo commesso degli errori», ha aggiunto «siamo di fronte a persone che hanno fatto il proprio dovere. Ho offerto alla Procura la massima collaborazione». Padulano ha sottolineato «la difficile situazione organizzativa» delle istituzioni «che si è cercato di fronteggiare». Nei weekend infatti non è in servizio un giudice che possa convalidare i decreti di espulsione. In quelle ore, secondo la Questura, gli stranieri non possono essere liberati. Ma per la Procura non possono essere nemmeno trattenuti. Un limbo, insomma, che si traduce però per gli stranieri in attesa di espulsione in una vera e propria detenzione.

Alina Bonar Diachiuk era stata scarcerata in forza di un provvedimento del giudice Laura Barresi il 14 aprile dopo una sentenza di patteggiamento per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Per la legge, risultava libera. Eppure era stata “prelevata” come fosse un’arrestata da una pattuglia della squadra volante che, su disposizione dell’ufficio immigrazione diretto da Carlo Baffi, l’aveva portata dal Coroneo direttamente al commissariato di Opicina. Lì era stata “reclusa” nella stanza di controllo – che in realtà è un’altra prigione – in attesa del provvedimento del questore e dell’udienza davanti al giudice di pace che peraltro non era stata né fissata né richiesta. Lì, su una panca, davanti all’obiettivo di una telecamera a circuito chiuso, si è impiccata legando una cordicella al termosifone.

La sua agonia – hanno accertato gli investigatori – è durata quaranta minuti. In tutto questo tempo l’agente che era in servizio di piantone al commissariato di Opicina, non è riuscito a dare “un’occhiata” al monitor posizionato a pochi centimetri da lui. Non si è accorto di quello che stava succedendo.

da il piccolo di Trieste
Dietro il suicidio di Alina, la donna ucraina
morta in una stanza del commissariato di Opicina, ci sono «decine di
altri casi» di detenzioni illegali. Parla chiaro il procuratore capo
Michele Dalla Costa: «L’attività d’indagine è rivolta a verificare se
anche altre persone, come pare, sarebbero state trattenute senza alcun
provvedimento nel commissariato. In particolare stiamo accertando
anche questi aspetti in relazione ai diritti inalienabili di tutte le
persone». Le parole secche e misurate indicano la direzione in cui si
stanno muovendo le indagini coordinate dal pm Massimo De Bortoli
scaturite dal suicidio della cittadina ucraina all’interno della
camera di “controllo” del commissariato di Opicina. Dall’esame dei 49
fascicoli acquisiti durante la perquisizione effettuata mercoledì
scorso negli uffici dell’ufficio immigrazione dela Questura e, in
particolare, in quello del dirigente Carlo Baffi, indagato per
sequestro di persona e omicidio colposo, sta infatti emergendo che le
detenzioni illegali avrebbero riguardato, dallo scorso mese di agosto,
altri 49 stranieri i cui nomi compaiono sui fascicoli stessi. Dalla
Costa parla di «decine di stranieri». Extracomunitari che, anche per
quattro giorni consecutivi in alcuni casi, sarebbero stati reclusi
senza alcun provvedimento, né amministrativo, né penale all’interno
della cosiddetta stanza di controllo del commissariato di Opicina. Ma
non solo: il procuratore Dalla Costa punta il dito annche su un altro
aspetto relativo all’inchiesta. È quello – non trascurabile – della
detenzione in senso stretto nel commissariato. In pratica Alina e gli
altri “sequestrati” in attesa di espulsione sono stati chiusi a chiave
nella cella di Opicina. Anche su questo aspetto, non trascurabile,
Dalla Costa si sofferma. Sul fatto cioè che il suicidio – filmato
dalle telecamere a circuito chiuso – è avvenuto in una struttura di
polizia dove quella persona non avrebbe dovuto essere deportata. Su
questi elementi d’accusa nei confronti del dirigente dell’ufficio
immigrazione si inseriscono, secondo la Procura, anche gli esiti della
perquisizione di mercoledì. Che come noto ha riguardato su ordine del
pm Massimo De Bortoli anche l’abitazione di Baffi, dalla quale i
finanzieri e i poliziotti incaricati dalla Procura hanno prelevato
alcuni libri dal contenuto antisemita. Sequestri questi che hanno
provocato non poche polemiche, tanto che il segretario
dell’Associazioone nazionale funzionari di polizia Enzo Marco Letizia
ha annunciato di stare valutando l’opportunità di presentare un
esposto al Consiglio superiore della Magistratura. Afferma in
proposito Dalla Costa: «Lo facciano. Posso dire che dal mio punto di
vista non ci sono comportamenti della Procura da meritare l’attenzione
del Csm». Intanto l’avvocato Sergio Mameli, che assiste i familiari
dell’ucraina, ha depositato una memoria in cui chiede il sequestro di
tutta la documentazione medica riguardante Alina Bonar Diachuk
custodita nell’infermeria del carcere del Coroneo.