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Ordinanza del Tribunale di Ferrara, sezione lavoro n. 2608 del dicembre 2009

Sanatoria colf-badanti 2009: il licenziamento prima della stipula del contratto di soggiorno è inefficace se intimato da persona diversa dal datore di lavoro

D. Z. nata in omissis il omissis ha agito ai sensi dell’art. 700 c.p.c. nei confronti di A. P. nata a omissis il omissis sostenendo di essere stata occupata presso tale persona come sua badante ed in forza di un rapporto di lavoro subordinato, sorto o protrattosi esclusivamente con la P., sin dall’omissis, osservando in favore della controparte una forma di assistenza giornaliera continua e senza rilevanti interruzioni, fruendo altresì dell’alloggio presso l’abitazione dell’assistita alla via omissis di omissis; precisato poi che detta datrice di lavoro si era prodigata il omissis ai sensi dell’art. 1 ter del DL n. 78 dell’1/7/2009 (convertito nella legge n. 102/2009) presentando presso lo sportello unico per l’immigrazione la dichiarazione prevista al comma 2 di tale norma in vista del contratto di soggiorno e del relativo permesso per il lavoro, la ricorrente ha quindi dedotto che, all’esito di una seria di ricoveri della P. dapprima (periodo omissis) presso una casa di cura e poi in sede ospedaliera, la sua relazione lavorativa era stata bruscamente interrotta dal sig. G. C. nipote di A. P. che, in data omissis – anche rivolgendosi alle forze dell’ordine dopo pregressi tentativi volti all’allontanamento della lavoratrice dalla casa di via omissis ove la stessa era ancora temporaneamente alloggiata ed, in particolare, dalla P. (nei cui confronti la ricorrente continuava a prestare assistenza ospedaliera con orari ridotti rispetto a prima) – la aveva definitivamente estromessa, sia dal contesto abitativo, che dal lavoro impedendo, in ogni caso, ogni suo avvicinamento per le incombenze di assistenza.
In forza di questa ricostruzione dei fatti, diffusamente argomentando sul punto, è stata quindi chiesta, da un lato, la reintegrazione nell’occupazione lavorativa essendosi in presenza di un recesso (impugnato nei confronti della P. e del C.) invalido poiché discriminatorio ovvero, comunque inefficace e, dall’altro lato, tutela urgente rispetto alla suddetta procedura di regolarizzazione dello straniero in vista del doveroso completamento dell’iter amministrativo orientato alle finalità cui sopra si è accennato.

All’udienza del 24 novembre 2009, rilevata la mancata costituzione in giudizio della P. ovvero di altri soggetti possibilmente titolati a rappresentarla, è stata dunque esaminata la ricorrente ed assunta una testimonianza.
Nella specie risulta ampiamente documentata, perlomeno sotto il profilo di una sua estrema verosimiglianza, la sussistenza del rapporto di lavoro domestica indicato dalla ricorrente con opportuni richiami alla disciplina collettiva; sul punto basti considerare che sono state prodotte le quietanze riferite alle spettanze per le prestazioni lavorative iniziate dall’omissis; che la parte ha prodotto suppletive prove documentali in ordine a degli acquisti per il vitto domestico; che, tanto la ricorrente, quanto il teste M. Z. (figlio, attualmente incaricatosi di ospitare la madre dopo la perdita dell’occupazione), hanno illustrato la tipologia, la durata ed il regime del rapporto; che la stessa P., sul presupposto di un’applicazione lavorativa iniziata nell’omissis, era stata invero autrice della richiesta di “emersione” di cui alla citata normativa, intendendo con ciò evidentemente legittimare sia il rapporto che conferire uno status legittimo alla persona occupata ed a ciò aveva fattivamente concorso anche la Z. (versando il relativo contributo statuale di euro 500,00, come ben risulta anche dalla esposizione del teste).

Dagli atti di causa (si valutino la significativa convocazione della Z. presso i Carabinieri di omissis nonché l’impugnativa del licenziamento senza riscontri avversari) e dalle versioni rese in sede istruttoria si evince inoltre che il rapporto lavorativo era terminato in forza di una condotta estromissiva, esclusivamente posta in essere da persona (il C.) del tutto soggettivamente estranea al rapporto di lavoro in questione, il tutto senza basi scritte e, quel che più importa, senza alcuna concreta riferibilità dell’iniziativa alla vera e propria titolare della relazione giuridica ossia la datrice di lavoro A. P..

Al riguardo, prescindendo da una delibazione del recesso alla stregua di un’attività connotata da profili discriminatori eventualmente valutabili sul presupposto e nel contesto di una risoluzione unilaterale facente capo al soggetto attivamente legittimato a compierla, va dunque osservato che una siffatta condotta produttiva, in via di fatto, del licenziamento (che nella sua essenza è atto potestativo comportante l’allontanamento del prestatore dalla sua occupazione) non presenta assolutamente alcuna efficacia ovverosia la giuridica e concreta idoneità all’interruzione del lavoro che, pertanto, alla luce di quel che risulta, conserva intatta la sua più compieta funzionalità; in tale senso la forma di estromissione non ha dunque prodotto effetti sul piano del rapporto che continua, tuttora, produttivo di tutte le sue conseguente funzionali tra la vere parti del rapporto.

Non è pertanto impartibile una reintegrazione giacché la originaria fattispecie non è mai venuta meno quale risultato di una attività direttamente ed effettivamente imputabile alla datrice di lavoro.

Sulla base di questi assunti e con le precisazioni appena esposte, ad avviso del Giudice, va accolto anche il secondo – e non secondario – aspetto della istanza di tutela ex art. 700 c.p.c. ossia quello pertinente al completamento della procedura di emersione in vista del contratto di soggiorno e del permesso lavorativo, essendo quasi pleonastico evidenziare che tale ragione di tutela fa capo ad un coacervo di interessi soggettivi, umani e personali nei cui confronti qualsivoglia omissione produrrebbe nocumenti irreparabili ai danni dello straniero titolare della legittima aspettativa verso un bene (leggasi, una piena forma di legittimazione alla permanenza sul territorio dello Stato) avente chiara matrice legale nel disposto e nelle finalità che possono essere colte in seno alla norma di cui all’art. 1 ter del DL. n. 78/2009 cit.; in altri termini, coi presupposti caratterizzanti il fatto in cognizione, primo tra tutti, quello una iniziativa dichiarativa ai sensi della predetta norma, selezionata dalla datrice di lavoro con effetti correlati e riflessi sulla sfera personale della lavoratrice straniera, il mancato completamento della procedura discendente dell’ablazione di una rilevante opportunità legale, sarebbe all’origine di un danno irreversibile per il titolare dell’aspettativa giuridicamente fondata.

A tal riguardo, quanto alla verosimiglianza della posizione soggettiva fatta valere dall’odierna ricorrente, va notato che, in linea col contenuto dell’art. 1 ter del D.L. n. 78/2009, una volta che il datore di lavoro di lavoro abbia iniziato con la sua dichiarazione il procedimento di emersione orientato ai risultati che si è detto, con riferimento alla posizione del lavoratore è individuabile un diritto al completamento della fattispecie amministrativa nel senso che, a meno che non risulti delineata, pure per fatti concludenti, anche una forma di suo disinteresse al completamento dell’iter procedurale, quella convocazione prevista dal comma 7 dell’art. 1 ter cit. per la stipulazione del contratto di soggiorno e per la richiesta di permesso lavorativo, costituisce adempimento ineludibile, particolarmente suscettibile dell’archiviazione parimenti trattata dalla norma, solo laddove risulti da ambo le parti la mancanza di interesse ovvero, comunque, una univoca volontà dismissiva della fattispecie.

Si deve dunque ritenere, anche tenuto conto della interpretazione fornita dalla circolare prot. n. 0006406 del 29/10/2009 del Ministero dell’Interno, che l’archiviazione del procedimento possa essere disposta solo per effetto di una mancata presentazione presso lo sportello dell’immigrazione di entrambi i soggetti coinvolti dal procedimento ed in assenza di giustificato motivo; qualora sia presente anche uno solo dei due soggetti (essendo, invero, perfettamente concepibile che anche il datore di lavoro sia titolare di un interesse irrinunciabile al completamento dell’“emersione”) il procedimento non potrà essere archiviato e ciò, se non altro, per la conclamata presenza di interessi di parte parimenti aventi il rango di diritti soggettivi.

A sviluppo di questi assunti dev’essere dunque impartito l’ordine alla parte inerte affinché ponga in essere i comportamenti previsti dal comma 7 dell’art. 1 ter cit..
Si provvede pertanto come da dispositivo in cui, colta l’estrema particolarità del caso, caratterizzato pure dalla scusabile passività della parte chiamata nel procedimento (donna omissis sottoposta a stabile ricovero), le spese processuali sono interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Giudice, disattesa ogni altra istanza e domanda, dichiara la completa inefficacia del licenziamento posto in essere in data omissis nei confronti di D. Z. essendo, pertanto, ancora in corso il rapporto di lavoro sotto tutti i suoi profili funzionali, economico retributivi e previdenziali ed ordina alla datrice di lavoro A. P. di adoperarsi per il completamento della procedura prevista dall’art. 1 ter del D.L. n. 78/2009 convertito nella legge n. 102/2009, in particolare, ponendo in essere, in senso favorevole alla ricorrente, le attività richieste dal comma 7 di tale norma.
Compensa interamente tra le parti le spese del procedimento.
Si comunichi a cura della Cancelleria.