Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Osservazioni al decreto n. 181/2007

A cura dell'Unione delle Camere Penali italiane

D.L. 181: L’UCPI invia osservazioni alla Commissione Affari Costituzionali

Roma, 6 novembre 2007

Onorevole Commissione Affari Costituzionali
del Senato della Repubblica

Oggetto: Osservazioni circa la conformità ai principi costituzionali della normativa introdotta con
D.L. 1 novembre 2007 n.181 in materia di allontanamento
dei cittadini comunitari dal territorio dello
stato.

Al di là di ogni giudizio circa l’opportunità politica e la ragionevolezza delle norme contenute nel D.L. 1 novembre
2007 n.181, modificativo del D.lgs. n.30 del 6 febbraio 2007, l’Unione Camere Penali Italiane intende sottoporre
all’esame della Commissione Affari Costituzionali taluni profili di illegittimità costituzionale presenti nella
normativa.

1) La genericità dei “motivi imperativi di pubblica sicurezza”
I “motivi imperativi di pubblica sicurezza” che legittimano l’immediata esecuzione da parte del Questore del
provvedimento di allontanamento adottato dal Prefetto sono così definiti: “quando il cittadino dell’Unione o un
suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, abbia tenuto comportamenti che compromettono la tutela della
dignità umana e dei diritto fondamentali della persona ovvero l’incolumità pubblica, rendendo la sua permanenza
sul territorio nazionale incompatibile con l’ordinaria convivenza” (art. 20 comma 7 ter D.Lgs. n.30/2007 come
modificato dall’art. 1, lett.e) del D.L. n.181/2007).
L’assoluta genericità di tali motivi e la discrezionalità (ai limiti dell’arbitrio) insiti nella formula normativa si
pongono in palese contrasto con la previsione dell’art. 13 comma 3 della Costituzione, che legittima l’adozione di
provvedimenti provvisori, limitativi della libertà personale, da parte dell’autorità di pubblica sicurezza soltanto “in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge”.
Il principio costituzionale di tassatività, introdotto proprio in ragione della eccezionalità dell’attribuzione
all’autorità di pubblica sicurezza di siffatti poteri, impone certamente che le ipotesi legittimanti un simile
eccezionale potere siano normativamente definite in maniera specifica, dettagliata, ed ancorata a parametri
certi. Così è per esempio nelle ipotesi già regolate dal D. Lgs. n.286/1998 all’art. 13 comma 2, laddove l’esercizio
in via provvisoria di poteri limitativi della libertà personale è vincolato alla ricorrenza di fattispecie precisamente determinate e oggettivamente verificabili.

2) La rilevanza del comportamento del “familiare”
Fra i “motivi imperativi di pubblica sicurezza” che legittimano l’immediata esecuzione del provvedimento di
allontanamento il decreto legge attribuisce rilevanza ai “comportamenti” tenuti dal “familiare” del soggetto
destinatario del provvedimento (art. 20 comma 7 ter D.Lgs. n.30/2007 come modificato dall’art. 1, lett.e) del
D.L. n.181/2007).

Una simile previsione viola apertamente il principio di “personalità” legittimante ogni compressione del bene
primario della libertà personale, talchè non possono darsi limitazioni di essa in ragione di comportamenti tenuti
da soggetti diversi dal destinatario del provvedimento di allontanamento.

3) La mancanza di ogni vaglio giurisdizionale nelle ipotesi previste dai commi 8 e 9 dell’art. 20 del
D.Lgs. n.30/2007

I commi 8 e 9 dell’art. 20 prevedono che qualora il destinatario di un provvedimento di allontanamento rientri
nel territorio nazionale sia “nuovamente allontanato con provvedimento immediato”; quando il medesimo si
trattenga nel territorio dello stato oltre il termine portato dalla intimazione, il questore disponga “l’esecuzione immediata del provvedimento di allontanamento dell’interessato dal territorio nazionale”.
In entrambe le ipotesi l’immediata esecuzione del provvedimento di allontanamento, esercitabile tramite
l’accompagnamento coattivo alla frontiera, non è presidiata da alcun controllo giurisdizionale.
Si darà dunque l’ipotesi di soggetto che, colpito da un provvedimento di allontanamento con termine per
adempiere (privo dunque di qualsivoglia garanzia di giurisdizionalità), venga poi nuovamente rintracciato sul
territorio nazionale e dunque accompagnato coattivamente alla frontiera, senza che, neppure in questo caso, sia
attivato un controllo giurisdizionale.
Sul punto è noto l’orientamento della Corte Costituzionale, la quale, pronunciatasi più volte (fra le tante si
vedano Corte Cost. n.151 del 2001 e n.222 del 2004) in materia di legittimità costituzionale del D. Lgs.
286/1998, ha ritenuto che il provvedimento di accompagnamento alla frontiera investa la libertà personale e pertanto richieda la piena operatività del controllo giurisdizionale previsto dall’art. 13 Cost.. In conseguenza di tali pronunce lo stesso legislatore è intervenuto sul testo sopra citato, modificandolo nel senso di subordinare al pieno controllo giurisdizionale l’esecutività del provvedimento di accompagnamento.
Consapevole di tale necessità la nuova normativa contempla, mediante il richiamo all’art. 13 comma 5 bis del
D.Lgs. n.286/1998, il ricorso al procedimento di convalida ivi previsto, ma si limita a rendere operativa tale
previsione nelle sole ipotesi previste dal comma 7 bis dell’art.20.
Le ipotesi di accompagnamento immediato previste dai commi 8 e 9 dell’art. 20 restano dunque prive di
controllo giurisdizionale ed introducono pertanto in capo alla autorità di pubblica sicurezza un potere di
compressione della libertà personale (l’accompagnamento alla frontiera) in aperta violazione del dettato dell’art.
13, comma 3, della Costituzione.

4) La irragionevolezza della attribuzione della competenza al Giudice di Pace, contemplata dall’art.
20, comma 7 bis, come modificato dall’art. 1 lett. e) del D.L. 181/2007

Se è vero che il “giudice di pace” è “autorità giudiziaria” e dunque astrattamente soddisfa i requisiti previsti dal
dettato costituzionale, non vi è dubbio che l’attribuzione a tale organo giudiziario dei poteri di convalida del
provvedimento immediatamente limitativo della libertà personale sia scelta assolutamente “irragionevole” (come
già lo era quella operata con l’art. 1 della Legge 12.11.2004 n.271, modificativa del D. Lgs. n.286/1998) alla luce delle finalità sottostanti l’istituzione del giudice di pace e l’attribuzione ad esso di competenza in materia penale, nonché dei limiti posti dalla normativa ai poteri sanzionatori esercitabili da tale organo di giustizia.
Sotto il primo profilo non può sottacersi come il giudice di pace nasca come organo di composizione bonaria di
conflitti fra privati e tale caratteristica conservi anche laddove ad esso sia consentito l’esercizio di poteri
giurisdizionali in materia penale. Un simile funzione, che permea il ruolo di tale organo giudiziario (si consideri al
riguardo non soltanto che dinanzi al Giudice di Pace il legislatore ha previsto come obbligatorio il tentativo di
conciliazione, ma che tutti i delitti oggetto della competenza per materia del G.d.P. sono caratterizzati dalla
procedibilità a querela), si connota di un carattere di assoluta eterogeneità rispetto a quella attribuita ad esso
dal Decreto Legge, la quale si esplica nell’ambito di una categoria di controversie insorgenti tra la pubblica
autorità nell’esercizio di funzioni pubblicistiche ed i privati, all’interno delle quali viene in rilievo la categoria potere pubblico-soggezione e le cui situazioni non sono nella disponibilità delle parti.
Ed irragionevole appare una simile attribuzione di competenza, destinata a legittimare l’immediato
allontanamento dal territorio nazionale con il necessario conseguente esercizio di poteri di coercizione della
persona, laddove si abbia a mente che al giudice di pace, nell’ambito della normativa che ne delinea le funzioni
in materia penale, non è consentito infliggere sanzioni che comportino un immediato potere di coazione fisica
sulla persona.

Con deferenza

Il Presidente
Oreste Dominioni

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