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Over the fortress a Calais: vite in attesa

Report e fotografie del 16 aprile 2016

Ritorniamo al campo dopo un’intera notte di pioggia. Le strade della Jungle sono piene di acqua che ormai raggiunge quasi l’entrata di qualche abitazione: alcuni accumulano sabbia ai bordi delle tende per meglio isolarle, altri cercano di svuotare i tetti delle tende dalla pioggia.
E’ sabato e rispetto ai giorni precedenti la presenza dei volontari è sensibilmente più numerosa. Un folto numero di giovani si dedica alla pulizia del campo, altri organizzano una partita di calcio.
Iniziamo la nostra giornata prendendo un tè con Rosa e Simon, due attivisti No Borders inglesi che hanno vissuto per diversi mesi nella Jungle e che questa settimana vi hanno fatto ritorno per incontrare vecchi amici del campo e noi. Simon ha vissuto a Calais nel 2009 insegnando inglese ai migranti quando questo campo ancora non esisteva, ma le persone erano stanziate tra gli squats della città e la boscaglia, da cui deriva appunto il termine “Jungle”, raggruppandosi anche in base alla provenienza etnica. Simon sottolinea che all’epoca l’attenzione dei media e della popolazione locale per questo fenomeno era quasi inesistente rispetto ad oggi. Si è detto molto sorpreso dalla nuova organizzazione che si sono dati i migranti all’interno del campo creando una sorta di città con tutti i servizi (scuole, chiese, bar, ristoranti etc..). La stessa percezione ci viene riportata da Rosa, che ha vissuto nel campo dall’aprile al settembre 2015, quando questo era stato appena creato. Lei stessa non sa dire se la situazione da allora sia peggiorata o meno, ma sicuramente il cambiamento è notevole.
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Nel pomeriggio incontriamo un volontario di un’associazione, che preferisce non essere citata. Il volontario ci riporta le testimonianze di alcuni abitanti del campo riguardo le dinamiche di gestione delle attività commerciali interne alla Jungle che spesso sono condizionate dal potere dei singoli gruppi etnici.
Mentre parliamo con lui assistiamo alla distribuzione di generi alimentari da parte di varie associazioni. Rimaniamo colpite dalla mancanza di coordinamento tra queste che distribuiscono pasti e cibo contemporaneamente e a poca distanza l’una dall’altra.
In questa giornata ci addentriamo nella parte sud del campo visitando le poche strutture rimaste nel mezzo di una distesa di detriti e fango. Infatti il 29 febbraio 2016 le autorità francesi hanno dato inizio al piano di smantellamento dell’intera area, radendo al suolo tutte le abitazioni della parte sud e lasciando in piedi solo le strutture aggregative gestite dalle associazioni e la chiesa copta costruita dalla comunità etiope ed eritrea.
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Facendo il giro di quest’area ci troviamo davanti alla scuola per bambini e per adulti di inglese, francese e arte. Conosciamo V. una delle infermiere che durante i weekend si reca dall’Inghilterra a Calais per fare volontariato all’interno della struttura che durante la settimana è adibita all’art therapy. Davanti all’infermeria si trova l’InfoPoint dedicato al monitoraggio e alla denuncia delle violenze da parte della polizia. Tra le strutture superstiti vi era anche il centro per donne e bambini che però, dopo lo sgombero, ha deciso di spostarsi nel lato nord. Infatti ritenevano surreale ed inutile mantenere uno spazio comunitario lì dove una comunità non esisteva più. Ad oggi questo servizio colpisce perché è la sola struttura a due piani del campo: un autobus vintage inglese. Come ogni sabato anche oggi lo spazio si è trasformato in un allegro centro di bellezza dove volontarie e donne del campo si dedicano alla cura della propria persona tra massaggi e manicure. Questo momento è stato fortemente voluto dalle stesse donne che necessitavano di un luogo di distacco dalla quotidianità.
A sera mentre la polizia giunge in numero massiccio, forse per limitare ulteriormente i tentativi di attraversamento da parte dei migranti durante il weekend, ci avviciniamo all’uscita del campo dove al tramonto due giovani eritree stanno imparando insieme ad andare in bicicletta. Il tempo di attesa, aspettando il giorno che quella frontiera si apra (ma arriverà mai?), non può essere sprecato.

Irene Serangeli, Susanna Revolti, Elena Simonetti, Denise Battaglia, Chiara Ioriatti, staffetta #overthefortress a Calais

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