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#Overthefortress – Il campo di forze di Idomeni

Considerazioni alla fine della seconda giornata di spedizione

Scriviamo queste poche righe a caldo, appena rientrati dalla seconda giornata trascorsa all’interno del campo di Idomeni, certamente ancora in balia del tumulto di pensieri e sensazioni che affollano le teste di ognuno di noi dopo un’esperienza così importante. Tuttavia abbiamo voglia di condividere alcune considerazioni immediate che riguardano soprattutto gli eventi di oggi e più in generale l’impatto che l’arrivo di trecento attivisti ed attiviste italiani ha avuto sulla vita di questo fazzoletto di terra, in cui si concentrano buona parte delle conseguenze dei drammi contemporanei del pianeta.

La carovana, probabilmente per la straordinarietà nei numeri e per l’imponenza della solidarietà materiale manifestata, è stata immediatamente percepita come un motivo di nuova speranza, una piccola luce nella notte di incertezza e di attesa che è calata su quel campo, soprattutto dopo l’accordo tra l’Europa e la Turchia. Al di là delle false voci diffusesi di tenda in tenda già alla notizia del nostro arrivo, la verità è che essere lì in tanti e tante proprio in questi giorni ha innegabilmente rappresentato un’occasione di visibilità e di riapertura del dibattito pubblico e politico europeo. #Overthefortress ha innanzitutto dimostrato che le diecimila persone stipate nelle tende sul confine tra Grecia e Macedonia non sono sole.

Quell’umanità ammassata che i governi occidentali e le monarchie dei petrodollari hanno dichiarato in esubero, ha visto nella carovana non solo un atto di solidarietà, ma una possibilità. Innanzitutto una possibilità di conflitto. Quel desiderio di fuga, di camminare oltre le frontiere, di raggiungere quel diritto di ogni essere umano chiamato felicità, ha generato un potente vociferare a ogni latitudine del campo: è possibile ribellarsi. Quel desiderio di fuga sopito e stremato si è riacceso e in tante e tanti, da tutto il campo, si sono diretti verso il confine, difeso in assetto antisommossa.

Contemporaneamente la discrezionalità assoluta del regime dei confini si è palesata in blocchi della polizia lungo le strade che portavano al campo. La carovana è stata presa in ostaggio dai gendarmi del governo greco e trattenuta in un ponte per quattro lunghe ore. Non dovevamo arrivare al campo. Non dovevamo essere presenti alla protesta dei profughi. Le lotte sono contagiose, il potere lo sa e usa lo stato di polizia: il divenire eccezione della norma per perimetrarle.

La vergogna dei medicinali e delle scarpe per bambini gettate ai piedi dei poliziotti mostra senza ambiguità l’Europa a venire, fatta di muri, confini, gendarmi, ma sopratutto da una grande produzione di paura collettiva. Un’Europa che si sta ridefinendo attraverso pratiche di inclusione differenziale, che non solo dividono i nord e i sud del mondo o le classi sociali, ma tutte quelle resistenze che contrappongono cooperazione a concorrenza, umanità a guerra, sicurezza e libertà.

Idomeni oggi si mostra all’Europa come un immenso campo di forze. Contemporaneamente Idomeni riflette il fatto che l’Europa stessa sia un campo di forze, in cui sono in tensione tra loro attori e attrici polarizzati sul campo politico e sociale. Le donne e gli uomini in viaggio contro gli apparati securitari europei, l’ingestibile cifra che caratterizza le soggettività in movimento e la tensione governamentale che, in maniera del tutto aribitraria, crea nuova normazione di ora in ora, come è accaduto stamane quando la polizia ha scelto di bloccare la carovana con motivazioni del tutto isteriche e pretestuose.

A esercitare forza, o meglio potenza, è come sempre compito della soggettività nella sua inscindibilità tra sociale e politico. Oltre ogni tensione filantropica e volontaristica, c’è la capacità di porre in atto necessità e desideri, organizzandoli.

Redazione

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