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da Il Mattino di Padova

Padova – “Senza rumeni l’edilizia si ferma”.

Il sindaco: decisivo il loro lavoro per la grande opera a Padova est “Senza di loro interi settori dell’economia si fermerebbero”

Il viadotto di Padova est è stato realizzato in due anni da un team di 60 uomini, l’80% dei quali stranieri: ciò conferma che l’edilizia del Nordest ha assoluto bisogno degli extracomunitari. Ma questa di immigrati professionalmente capaci, di tecnici che vengono dai paesi poveri del mondo con un bagaglio professionale che li rende essenziali al nostro sviluppo, è una situazione di eccellenza?
La domanda viene naturale perché quella a cui si sta lavorando è un’opera di enorme impegno: il viadotto, cardine della viabilità padovana, grande porta dell’est, biglietto da visita della città.
“A Padova”, risponde il sindaco Flavio Zanonato, “i lavoratori stranieri sono 22 mila. Senza di loro interi comparti dell’economia sarebbero paralizzati. Di questi ben 6000 sono rumeni. Il loro lavoro, la loro integrazione nella vita della città, hanno contribuito a un successo economico pieno, mantenendo vive molte attività, soprattutto l’edilizia.
La presenza di questi ragazzi che vengono da lontano, la loro abnegazione, la capacità di adeguarsi alle nostre regole e ai nostri usi, mi commuovono. Mi commuovono perché penso al nostro passato di emigranti, alle migliaia di persone che sono fuggite alla miseria dal Padovano, dal Friuli, dal Polesine per andare a lavorare in Francia, in Belgio, ma anche in altri continenti, in Argentina, in Canada, in Australia, che hanno lasciato il badile per entrare nelle officine, nelle miniere, per tagliare la canna da zucchero nel paese dei canguri”.
Questi lavoratori sono invisibili o quasi, lavorano tutto il giorno nei cantieri, la gente non se ne accorge, ci passano accanto; fanno le spese nei supermercati o nelle piazze, ma è come se non ci fossero, non si notano e non si fanno notare. Nessun problema con loro, aggiunge il sindaco, i problemi ci sono con gli irregolari. Per questo è fondamentale di fronte alla violenza o alla illegalità non generalizzare, non fare di ogni erba un fascio, non suscitare intolleranza. La normalità dell’immigrazione è quella che vediamo in questo cantiere: uomini che lavorano, che si sentono squadra, che fraternizzano in un rapporto di colleganza che scavalca etnie e provenienze che sono, alla fine, moderni, che sono il futuro, i cittadini del mondo di domani».
Adrian, rumeno, è il responsabile degli operai del paese dei Carpazi. Ha trent’anni, si arrampica nell’italiano, parla bene l’inglese.
“Ho imparato a lavorare in Romania, come molti di quelli che operano in edilizia o nell’industria meccanica, ho imparato nei cantieri navali. Sono di Costanza sul Mar Nero”.
Adrian, pur così giovane, è un globe trotter dei lavori stradali. E’ stato in Portogallo e in Norvegia. E’ esperto, stimato, ha capacità organizzative e sa far girare la squadra. Ma voi, quando tornate a casa?
“Il nostro è un lavoro di 24 ore su 24, ma va a raffica, ci sono turni per cui capita ogni paio di mesi di avere una settimana a disposizione, allora parti e ritorni a casa tua. Io sono single, ma in Romania ho amici e parenti. Ogni tanto ti prende la nostalgia, ma questo è il mio lavoro e mi piace e credo di saperlo fare”.
“Sì la squadra funziona – prosegue – e c’è anche un orgoglio collettivo. Queste sono opere che danno soddisfazione, di cui vedi la fisionomia sempre più precisa man mano che procedi, c’è quindi anche un minimo di creatività”.
(09 novembre 2007)