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Padova: rastrelli? No grazie

Se sei bianco passi se sei nero no

Che brutti scherzi che giocano i pigmenti di melanina della pelle! Sei color cioccolatino? “Documenti, prego”. Però forse il cioccolato è un criterio di scelta poco oggettivo: quello al latte è decisamente meno scuro di quello con 90% di cacao. Poi non a tutti piace, potrebbe risultare un metro di misura poco neutrale. Forse è meglio il caffè, siamo in Italia, a tutti piace il caffè. Sei color caffè? “Documenti, prego”.

Il caffè è un ottima unità di misura, non ti puoi sbagliare.
È questo il senso dei rastrellamenti voluti dal decreto Minniti-Orlando. Selezione con mezzi assolutamente arbitrari e deportazione discriminando su base etnica. Non a caso si chiamano rastrellamenti. Il rastrello serve separare, a distinguere gli scarti. A raccogliere le foglie da buttare nel cassonetto, a pulire. Purificare su base etnica. Parole fin troppo familiari dopo neanche un secolo.

Proprio la metafora del rastrello è quella utilizzata dai ragazzi del collettivo SPAM per manifestare il proprio dissenso nei confronti della legge Minniti. “Rastrelli? No grazie” è il nome dell’iniziativa strutturata dal collettivo padovano.

Mercoledì 10 Maggio piazza Portello, vicino ad alcuni dei maggiori poli universitari, è stata bloccata da un flash mob carico di simbolismo e indignazione. Alcuni ragazzi si sdraiano in mezzo alla piazza, ostacolando il normale transito di bici e studenti frettolosi. Creano una barriera di corpi, un confine come quello che il decreto estende dalle realtà di frontiera fino all’interno delle nostre città. Non bastavano i trattamenti disumanizzanti sempre più diffusi nei punti focali di passaggio del flusso migratorio, come Lampedusa o Ventimiglia.


Ora il decreto legittima atti di inammissibile e discriminante etnocentrismo anche all’interno delle nostre città. I ragazzi di SPAM ricordano l’inconcepibile blitz di polizia avvenuto alla Stazione Centrale di Milano, due settimane fa. La xenofobia sempre più viscidamente radicata nella quotidianità cittadina, non può che essere intensificata e attività di rastrellamento e deportazioni rischiano di diventare la norma, di essere percepiti come la più ovvia prassi da attuare. Un po’ come per Adolf Eichmann.

Il flusso di passanti si ferma incuriosito a guardare i ragazzi che fingono di rastrellare i compagni sdraiati a terra. Non è possibile rimanere impassibili di fronte ad una violazione così epocale dei diritti umani e civili. Secondo SPAM, chi non si indigna, chi non si interroga, chi non si lascia disgustare da questi atti di odio diventa complice. Chi gira la faccia in omertoso disinteresse decide di schierarsi. Per questo il collettivo lancia un’assemblea pubblica che avrà luogo lunedì 15 Maggio presso Lauletta, l’aula U del cortile della facoltà di psicologia in via Venezia. Un momento di dibattito e confronto per riflettere sulle modalità in cui intervenire concretamente per opporsi al decreto legge.

L’iniziativa di SPAM si articola all’interno di un progetto più ampio lanciato in collaborazione con “Spazio all’Arte”: il Portello Awake Fest. L’evento nasce dall’obbiettivo di dare senso agli spazi impersonali che attraversiamo usando l’arte come libera e necessaria espressione. “L’arte non è mai statica, è sempre azione collettiva!” campeggia sugli striscioni colorati.

Per due giorni, il 9 e 10 Maggio, quadri, poesie, fotografie, artigianato e musica di ogni genere animano Piazza Portello e il Cortile del polo di Psicologia. L’arte viene utilizzata come strumento di interazione sociale e di riappropriazione di spazi pubblici. Spazi pubblici non casuali, ma proprio quelli che hanno con il tempo e la frenesia della vita di città, perso la loro identità di luogo. Sono quelli che Bauman definiva come non-luoghi. Spazi privi di espressioni simboliche, di storia e relazioni.

Gli abitanti non li sentono propri, non si sentono chiamati in causa a proteggerli e prendersene cura. Le piazze di passaggio, le stazioni, le città di confine: gli stessi non-luoghi dove vengono permessi i rastrellamenti, dove nessuno si sente chiamato in causa perché nessuno si sente proprietario di quel palcoscenico dove polizia, Digos, cavalli ed elicotteri possono permettersi di orchestrare indisturbati rastrellamenti da colossal.

Claudia Terragni

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