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Palermo – La Casa di tutte le genti in cerca di un posto per i suoi bambini

di Alessandra Sciurba

Zenaida Boaventura è una donna capoverdiana che vive a Palermo. Sono trentasette anni esatti che è arrivata nel nostro paese. Era il 26 novembre, si ricorda che era domenica.

Ci allontaniamo un po’ dalle voci dei bambini per potere parlare. Mentre chiudiamo la porta alle nostre spalle, una ragazza che viene a dare una mano sta insegnando loro una canzoncina da imparare a memoria.

“I volontari sono anche giovanissimi”, spiega Zenaida. “Ragazzi dei licei di questa città che sentono questa storia e vengono a conoscerci. Poi stanno bene e tornano”.

Zenaida ha piacere di raccontare i piccoli miracoli della sua associazione dal nome evocativo di “Casa di tutte le genti”. Nata nel 2003, si è formata intorno a un progetto di cooperazione allo sviluppo tra Italia e Capo Verde che prevedeva la realizzazione di un orto biologico e di un ristorante per i circuiti del turismo responsabile. Questa parte del progetto esiste ancora a Capo Verde, ma è in Italia che tutto ha preso una direzione non prevista. Perché quando le energie delle persone sono realmente volte a cambiare le cose che hanno intorno, è più facile identificare i bisogni veri e i problemi più urgenti da affrontare in ogni contesto.
E nel contesto italiano esiste un problema strutturale che impone, ancora soprattutto alle donne, enormi sacrifici per conciliare tempo del lavoro e vita familiare: l’inadeguatezza cronica di un welfare che non offre servizi. A Palermo questo problema nazionale assume declinazioni ancora più drammatiche visto che, per esempio, la maggior parte dei bambini che fanno richiesta per i nidi pubblici non riescono a venire inseriti .

“Per le donne immigrate questa situazione è ancora peggio che per le donne italiane”, spiega Zenaida, “perché chi perde il lavoro per stare a casa coi bambini non solo non riesce ad arrivare a fine mese, ma può perdere anche il permesso di soggiorno per come funzionano le leggi sull’immigrazione”.

Zenaida ha partorito in Italia 3 figli che sono cresciuti senza avere accesso ai servizi per l’infanzia e senza il sostegno di una rete familiare. Proprio mentre i suoi bambini erano ancora piccoli e lei era costretta a restare tutto il giorno con loro, aveva fatto la conoscenza di alcune donne ghanesi che abitavano nel suo stesso palazzo e che ogni giorno vedeva partire per il lavoro con i bambini stretti contro la schiena avvolti nei teli colorati dell’Africa.

“Lasciateli a me!” aveva detto loro, “ve li tengo io”.

Il percorso italiano della Casa di tutte le genti è nato così, da una donna che ha incontrato il bisogno di altre donne, un bisogno che anche lei aveva conosciuto e a cui nessuno aveva saputo dare risposta.

E, a partire da quell’inizio, sempre più donne dai paesi più diversi del mondo hanno iniziato a mettere insieme le loro forze, le loro differenze e il loro condiviso essere madri, e a sostenere ciascuna i bambini dell’altra , a turno, permettendo a tutte di lavorare e di lasciare nel frattempo i propri figli in un posto sicuro. Quaranta bambini figli di genitori rumeni, nigeriani, polacchi, ghanesi, tunisini, ma anche palermitani, paradossalmente inviati, questi ultimi, dagli assistenti sociali che hanno a volte indicato la casa di tutte le genti alle famiglie locali in difficoltà. A loro e alle loro mamme si sono uniti nel tempo volontari anche professionisti, una psicologa segue tutte le attività.

Il primo asilo nido autogestito e autofinanziato con gli sforzi dei genitori era stato aperto in un piccolo appartamento al IV piano. In seguito, essendo cresciuto il numero dei bambini, la scuola si era dovuta spostare in un luogo più spazioso e Zenaida e le altre avevano trovato solo un garage. Ma qui erano arrivati i NAS che sulla base del mancato ottemperamento di una serie di regole igienico-sanitarie avevano costretto a chiudere l’asilo nido. A quel punto la Casa di tutte le gente era tornata nell’appartamento di un palazzo messo a disposizione da una volontaria. E anche qui, dopo poco, erano arrivati i carabinieri, stavolta chiamati dagli altri inquilini dello stabile che si lamentavano della confusione. Nello stesso periodo, erano arrivate strane proposte da parte di asili privati che si offrivano di accogliere i bambini usufruendo del lavoro gratuito dei volontari e delle volontarie della “Casa di tutte le genti” affittando sostanzialmente loro la propria struttura a prezzi da strozzini. Nel frattempo, i tanti progetti presentati da Zenaida agli enti locali non erano mai stati approvati (solo uno molto piccolo con la Provincia di Palermo aveva sostenuto per qualche mese l’asilo). Zenaida e gli altri hanno allora iniziato ad andare in cerca di un luogo che li accogliesse, chiedendo a tutte le scuole pubbliche e le chiese che si trovano nella zona tra i quartieri Noce e Zisa, dove la maggior parte di loro abitano.

Solo una porta si è aperta immediatamente per loro: quella dell’Istituto Valdese dove adesso li abbiamo incontrati. Da tre settimane il direttore della scuola ha messo a disposizione l’aula magna e la mensa. Non è certo una soluzione definitiva, ma certamente nessuno manderà via Zenaida e i suoi bambini da qui prima di avere trovato una sistemazione veramente degna di un’esperienza tanto importante e straordinaria e in cui sono coinvolti decine di bambini.

“Abbiamo accolto qui senza nessuna esitazione questo gruppo così bello e che per motivi che potrei definire genetico-culturali è tanto vicino a noi” sorride il direttore della scuola valdese , Lillo Falci, “donne immigrate che si auto organizzano per lavorare e si aiutano a vicenda… è un progetto talmente semplice e autentico”.

Non è la prima volta che l’Istituto valdese di via Noce inizia con coraggio avventure simili. Nei primi anni 2000 aveva accolto un gruppo di ragazze e ragazzi somali sopravvissuti a uno dei peggiori naufragi di Lampedusa, dopo che la questura aveva chiesto la disponibilità della foresteria dei Valdesi promettendo che si sarebbe trattato solo di un paio di settimane. I ragazzi somali erano rimasti lì per anni senza che alcuna istituzione pubblica condividesse alcunché.
Rispetto al progetto di Zenaida la grande preoccupazione di Lillo è anche di non fare convivere nello stesso luogo due scuole con due livelli di organizzazione e con strumenti a disposizione troppo diversi. I bambini della Casa di tutte le genti non hanno giochi e materiali, in attesa di trovare un luogo tutto loro non saprebbero neppure dove tenerli, e rifiutano gentilmente quando le mamme dei bambini della scuola Valdese si offrono di procurargliene.

“Se mai Zenaida e i suoi bambini restassero qui”, dice ancora il direttore, “è ovvio che dovremmo pensare a come ristrutturare tutto per garantire che i servizi offerti a tutti i bimbi che entrano in questo edificio siano integrati tra loro e che tutti possano disporre delle stesse risorse, facendo magari dei piccoli compromessi tra l’identità straordinaria del progetto della Casa di tutte le genti e la nostra pedagogia. Certo, l’ideale sarebbe che Zenaida e gli altri potessero andare avanti all’interno di uno spazio neutro, dove poter fare crescere ancora questo percorso così importante che mette anche a nudo la terribile mancanza di servizi di questa città”.

Una questione pubblica cittadina, questo dovrebbe diventare la storia dell’asilo della “Casa di tutte le genti”. Perché tocca problematiche fondamentali come quella della cura, rispetto alla quale sempre più risorse pubbliche vengono sottratte, relegandone la soluzione a strategie privatistiche che solo chi può pagare riesce a mettere in atto. E poi, più nello specifico, questa storia tocca i nodi dell’infanzia, e della maternità, dimensioni che faticano, ancora nel 2012, a trovare cittadinanza al di fuori dei confini della tradizionale divisione di genere dei ruoli e del lavoro. E, ancora, la storia dell’asilo della Casa di tutte le genti mette a nudo nella sua veste più impietosa la realtà quotidiana del ricatto costante delle leggi sull’immigrazione che prendono in considerazione solo le braccia dei lavoratori da sfruttare , e mai le persone con le loro famiglie e le loro necessità, ma anche con il loro portato di creatività e iniziativa. E, infine , questa storia pone all’attenzione dei cittadini palermitani, ancora una volta, l’assurda mancanza di spazi aperti dove far nascere progetti condivisi in una città che ha migliaia di luoghi chiusi perché sequestrati alla mafia e mai affidati; chiusi perché restaurati e poi lasciati nuovamente crollare; chiusi perché privatizzati e sottratti.

Il più emblematico dei luoghi chiusi per anni nella città di Palermo, e riaperto l’anno scorso da un movimento che in uno dei periodi più bui che la città abbia mai attraversato ha rimesso al centro la questione dell’accesso ai beni comuni, sarebbe perfetto per ospitare, offrendo loro una piccola parte dei suoi grandi spazi, l’asilo di Zenaida.
I Cantieri culturali alla Zisa si trovano esattamente nel quartiere dove abitano tutte le mamme e i bambini della Casa di Tutte le genti. All’interno del loro enorme perimetro sono racchiusi alcuni edifici che si adatterebbero perfettamente ad ospitarli. Uno è stato chiesto informalmente dall’associazione di Zenaida al presidente della circoscrizione di riferimento, che ha risposto seccamente che quel luogo non è adatto allo scopo. Eppure ha gli impianti a norma e le metrature adeguate, e potrebbe essere dato in affidamento temporaneo (secondo una politica portata avanti dallo stesso movimento de “I cantieri che vogliamo” ), mentre nel frattempo potrebbe essere aperto un tavolo di confronto per trovare un luogo definitivo che accolga i bambini di queste donne del mondo che abitano e lavorano Palermo. E a loro potrebbero continuare ad unirsene altri, di altre famiglie, anche italiane, costrette ad affrontare carenze e problemi simili.

Nessuna richiesta formale è ancora stata inoltrata, e c’è da augurarsi che nel momento in cui questo passo verrà fatto si otterrà una risposta diversa.

Per parlare anche di questo Zenaida ha chiesto da tempo all’assessora comunale alle politiche sociali di incontrarla. Ma l’appuntamento è stato rinviato più volte. Nel frattempo, alcune opzioni presentate all’associazione più o meno informalmente si sono rivelate tutte inadatte perché troppo lontane dai quartieri di riferimento.

Negli ultimi giorni il numero dei bambini che arrivano in questo asilo così speciale sta diminuendo, e le loro mamme stanno tornando a chiudersi nelle case rinunciando al lavoro e ai progetti futuri. Pur di evitarlo, la Casa di tutte le genti ha persino chiesto alle istituzioni, a costo di separare i bambini, di provare a inserirli uno alla volta nei nidi pubblici, ricavando altri posti sulla base di questa emergenza.

Questa soluzione, che comunque si è rivelata non applicabile, risolverebbe, e al ribasso, solo il problema contingente dei bambini e delle famiglie che in questo momento frequentano la Casa di tutte le genti, mettendo fine a una storia che meriterebbe invece di continuare ancora e ancora ad essere scritta, e da sempre più mani.

[ 8 dicembre 2012 ]
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Donne e migrazioni, Ricongiungimento familiare, Scuola

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