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da Il Manifesto del 17 febbraio 2004

Parigi – Un museo dell’immigrazione di Anna Maria Merlo

La Francia vuole un museo dell’immigrazione. Una commissione, presieduta dall’ex ministro Jacques Toubon, è già al lavoro per volontà del primo ministro Jean-Pierre Raffarin. Ma le prime proposte già suscitano polemiche. Toubon, infatti, anche se afferma che «non verranno passati sotto silenzio le bindonville né le catene di montaggio alla Renault», sottolinea che «bisognerà mostrare come l’immigrazione ha partecipato all’arricchimento della Francia» e cita i nomi, per esempio, di Paco Rabanne o di Karl Lagerfeld. L’idea che il museo vorrebbe dare è quella del «crogiolo» francese, dove tutte le ondate di diversa immigrazione, dagli italiani e polacchi fino ai maghrebini e ai neri, hanno portato il proprio contributo. «Le popolazioni immigrate degli anni `80 e `90 – afferma Toubon – hanno avuto dei problemi analoghi alle immigrazioni europee precedenti». Ma questa visione idilliaca è contestata dagli storici.
Per esempio, Gérard Noiriel, storico della Francia contemporanea (autore del saggio Le Creuset français) spiega che il museo sarebbe monco se non mostrasse anche la xenofobia, il razzismo, gli errori accumulati, che oggi sono all’origine della maggior parte dei problemi, a cominciare dalle forti polemiche sul velo islamico. Anche il luogo dove dovrà avere sede il futuro museo crea problemi. La commissione Toubon propone di insediarlo nei locali per il momento vuoti dell’ex museo parigino delle Arti africane e oceaniche, alla Porte Dorée.
Questo museo è stato smantellato, in attesa di risistemare le sue collezioni nel Museo delle Arti prime, che dovrebbe aprire le porte al Quai Branly, ospitando anche le collezioni del Musée de l’Homme del Trocadéro. Ma il museo della Porte Dorée è una costruzione nata per l’Esposizione coloniale del `31 e, prima di cambiare nome, si chiamava Museo delle colonie. Il Museo delle arti africane e oceaniche era un ibrido, con opere primitive ai piani superiori e un acquario al pianoterra. L’immigrazione messa in stretto legame con il colonialismo? si chiedono in molti con perplessità. «La scelta del luogo lascia perplessi tutti» afferma lo storico Philippe Dewitte. «Potrebbe però essere una sfida da affrontare – aggiunge – gli affreschi coloniali possono essere valorizzati, si può spiegare cos’era questo luogo». Ma per il museo della Porte Dorée c’è chi avanza l’ipotesi di fare un museo della colonizzazione, per affrontare in modo critico questa parte della storia francese.

Toubon insiste sul progetto originale: cambiare lo sguardo che la Francia ha sull’immigrazione. Con l’idea di fondo di «mostrare come la nazione è stata costruita da due secoli a questa parte grazie all’apporto considerevole delle popolazioni immigrate». Secondo Toubon, «la Francia è una civiltà che ha integrato, assorbito e mischiato tutte queste culture». Una visione idilliaca, che è stata valida grosso modo (e malgrado le violenze) fino all’inizio del secolo scorso, un modello repubblicano che è stato piuttosto di assimilazione ma che non funziona più da un po’ di tempo, soprattutto nei confronti degli immigrati maghrebini e dell’Africa sub-sahariana. E’ difficile trovare oggi una famiglia francese che non abbia un antenato, più o meno ravvicinato, di origine straniera, un fenomeno che ha proporzioni sconosciute in Italia.

La nazionalità francese, la cui storia è stata ricostituita da Patrick Weil (Qu’est-ce qu’un français?), dopo aver superato molte crisi, realizza oggi grosso modo il programma di Napoleone: accettare, attraverso lo jus soli, la filiazione, il matrimonio o la residenza, il maggior numero di francesi possibile. Nel 1803, contro il parere di Napoleone e in rottura con lo jus soli dominante nell’Ancien Régime e durante la Rivoluzione, il Codice civile fece prevalere lo jus sanguinis. Nel 1889, la Francia, diventata paese di immigrazione, attribuiva la nazionalità ai bambini nati e scolarizzati in Francia. Nel 1927, a causa di un’immigrazione massiccia, la naturalizzazione e il matrimonio permettevano di diventare francese. Ma questi passi avanti nascondevano delle regressioni: nel 1803 la nazionalità era un attributo dell’uomo, a detrimento della donna (che diventava straniera se sposava uno straniero); nel 1889 veniva imposta una situazione di inferiorità ai musulmani di Algeria, mentre nel 1927 l’apertura della naturalizzazione aveva come contropartita la restrizione dei diritti dei naturalizzati.
Nel `40, con Vichy, gli ebrei naturalizzati perdevano la nazionalità e questo sarà il prodromo per la deportazione. Nel dopoguerra, numerosi codici della nazionalità si sono susseguiti. Oggi, un bambino nato in Francia da genitori stranieri diventa francese a 18 anni se ha trascorso gli ultimi 5 anni in Francia (ma può diventarlo a 13, se la famiglia lo richiede).