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Parma – Il Progetto di rete nazionale per la riabilitazione delle vittime di tortura

Intervista a Elisabetta Ferri, CIAC Parma

Il progetto è rivolto ai cittadini stranieri richiedenti asilo e rifugiati con un passato di persecuzioni e violenze e mira a costruire percorsi di accoglienza, inserimento e riabilitazione da un trauma così dirompente come quello che proviene dall’essere vittima di tortura.

In Emilia-Romagna il progetto è presente nel territorio di Parma, dove diverse realtà hanno strutturato un intervento integrato e a più livelli su persone vittime di torture. La rete è costituita dal Centro Immigraziane Asilo e Cooperazione internazionale CIAC onlus, dalla Provincia di Parma, da AUSL e dal Comune di Sala Baganza che è comune capofila per i comuni di Traversatolo, Collecchio, Felino, Langhirano e Montechiarugolo.

Per parlarne abbiamo intervistato Elisabetta Ferri, operatrice del CIAC Parma impegnata nel progetto per il supporto alle vittime di tortura.

Domanda: Quali sono gli obiettivi principali del progetto?

Risposta: Il progetto ha due obiettivi essenziali: da un lato conoscere la presenza in Italia di vittime di tortura; presenza che va individuata, monitorata e fatta emergere e alla quale vanno date specifiche risposte di accoglienza e di riabilitazione sanitaria; dall’altro un piano diverso – e questo è il secondo obiettivo – ossia quello volto alla sensibilizzazione e formazione degli operatori sanitari in modo che sappiano riconoscere le testimonianze delle vittime di tortura affinché il richiedente asilo vittima di tortura possa essere distinto e trattato in maniera diversa rispetto ad un rifugiato che arriva in Italia con altre problematiche e complessità da risolvere.

D: Quali sono le problematiche di un rifugiato vittima di tortura rispetto ad a quelle di persone immigrate per altre ragioni?

R: Il primo aspetto da sottolineare è che il permesso di soggiorno di un richiedente asilo non gli permette di lavorare. In Italia, come sappiamo, non c’è una legge organica sul diritto d’asilo e questo crea notevoli difficoltà per la realizzazione di strutture d’accoglienza. I posti destinati all’interno del Programma Nazionale Asilo e dalla rete dei Comuni italiani che vi aderisce non riesce a dare risposta a tutte le richieste di accoglienza e questo riguarda sia i richiedenti asilo, sia, nella specificità, le vittime di tortura. Questi ultimi portano poi ulteriori problematicità che riguardano soprattutto il livello sanitario: sia legate a problemi fisici dovuti alle violenze subite – per cui riabilitazioni come fisioterapie per problemi all’apparato scheletrico o altro – sia problemi psichiatrici che possono derivare dall’aver subito torture. Questa in sostanza è la grossa differenza e la grande richiesta che viene rivolta al Servizio Sanitario Nazionale e alle strutture e associazioni deputate all’accoglienza ed è la specificità alla quale è necessario non solo rispondere, ma dare formazione a chi si occupa di queste cose.

D: Il territorio di Parma è uno dei nodi di questa rete nazionale, quali sono i soggetti che vi sono coinvolti?

R: Il progetto della rete di Parma è costituito da diversi enti con diverse specificità. Sono coinvolti CIAC (associazione di volontariato), la Provincia di Parma con il ruolo di coordinatore dei Comuni della provincia che aderiscono al progetto e il cui Comune capofila è Sala Baganza, la Azienda USL locale che partecipa con la centralità dello Spazio Salute Immigrati. Quest’ultima è una struttura della AUSL specifica per l’accoglienza e la cura delle persone straniere in quanto vi sono operatori linguistici, un medico ed un’equipe di lavoro strutturata in modo tale da offrire mediazioni linguistiche e culturali oltre all’apporto medico. La rete di Parma ha una propria specificità all’interno del network nazionale perché è una delle tre che offre anche accoglienza, diversamente da altri centri che sono più specializzati nella cura medica per rispondere alle richieste delle vittime di tortura. Parma si caratterizza per essere riuscita a consolidare una rete che risponda a diversi tipi di esigenze: da quella abitativa a quella sanitaria, aggiungendo nel corso del secondo anno del progetto l’inserimento di borse lavoro per le persone seguite dal progetto di riabilitazione.

D: Soffermandoci proprio sull’esperienza di Parma, quante sono le persone inserite nel percorso di accoglienza e riabilitazione?

R: Il numero delle persone nel corso dei due anni è variato, poiché alcuni si sono spostati o hanno ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato. Attualmente le persone sono 4: 3 risiedono nel Comune di Sala Baganza ed una a Parma. Un appartamento di Sala Baganza è stato messo a disposizione dal Comune mentre a Parma esiste un’altra struttura di accoglienza frutto del volontariato. Queste persone hanno potuto beneficiare di un inserimento lavorativo e di un accompagnamento sanitario a cura dell’associazione CIAC.

D: Qual è quindi il ruolo di CIAC all’interno della rete di Parma?

R: CIAC è, all’interno della rete di partner del progetto a Parma, il coordinatore. Il suo contributo specifico all’interno del progetto consiste nell’assistenza legale e burocratica per lo svolgimento della varie pratiche connesse allo status di rifugiato.

L’orientamento e l’assistenza legale e burocratica non sono aspetti secondari, infatti gli operatori del Ciac rendono possibile che le persone che hanno inoltrato domanda d’asilo ricevano personalmente la convocazione presso la Commissione Centrale per l’udienza di riconoscimento dello status di rifugiato, convocazione che purtroppo non sempre riesce ad essere recapitata all’interessato di cui amministrazioni e Questure perdono le tracce e gli indirizzi, dal momento che passa molto tempo.

D: Come si è strutturato e modificato invece il lavoro dell’Azienda USL a cui accennavi poco fa?

R: Lo Spazio Salute Immigrati ha seguito dapprima un percorso formativo. Alcuni degli operatori coinvolti si sono occupati in prima persona della costruzione di questo iter di formazione necessario per avviare il progetto. Attraverso un’equipe medica che prevede uno psicologo, due medici generici, infermiere, nonché la possibilità di effettuare esami diagnostici presso la struttura, lo Spazio Salute Immigrati ha dato al progetto un apporto estremamente specializzato. Le persone che fanno domanda d’asilo in territorio italiano hanno alcune agevolazioni per quanto riguarda le esenzioni ticket, pur avendo difficoltà economiche hanno quindi a possibilità di effettuare esami, ma l’apporto in più che ha dato lo Spazio Salute Immigrati deriva dall’essere un centro specializzato e competente sulle vittime di tortura. Un elemento discriminante e non sempre facile da capire da parte di personale medico che non sa di aver di fronte una persona vittima di tortura è l’incidenza di problemi legati alla violenza subita: sintomi fisici di problemi di altro tipo, forti ansie da gestire soprattutto quando non si sa come vivere il proprio tempo libero ed in quali attività impegnarsi e di conseguenza si è più concentrati sul passato e su quanto è successo, sulla lontananza dalla famiglia – della quale spesso non si sa se corre pericoli o se al contrario è in una situazione sicura – eccetera. I medici formati per questo tipo di intervento medico possono conoscere e rispondere meglio a tutti questi fattori determinanti.

Nella relazione sul Progetto leggiamo che la relazione sanitaria redatta dai medici dello Spazio Salute Immigrati si rivela molto utile ai fini dell’ottenimento dello status di rifugiato poiché diagnostica i traumi conseguenza delle torture subite dalla persona che inoltra domanda di protezione.

D: Per quanto riguarda l’esperienza della rete parmense di questo biennio di attività, è possibile giungere a qualche conclusione, sebbene gli interventi di questo tipo siano senz’altro processi a lungo termine?

R: Sebbene il lavoro degli operatori sia stato soggetto ad una continua ridefinizione, l’esperienza è senza dubbio da ripetere. Per attuare questi tipi di intervento che hanno costi sia per l’accoglienza che per il personale sono necessari fondi da investire, è necessario che vengano realizzati progetti che possano permettere a realtà come quella di Parma – che sicuramente non è l’unica – di impegnarsi in questi interventi.
Un aspetto concreto che posso testimoniare personalmente è che si tratta di un progetto integrato che permette di rispondere a diversi aspetti della vita di una persona con un passato di violenze per tortura, ossia l’emergenza abitativa, le cure sanitarie ma soprattutto l’inserimento lavorativo. Quest’ultimo permette che le persone possano costruire un presente più tranquillo e più sicuro, elaborare la violenza subita e ricominciare gradualmente a pensare di costruire qualcosa per il proprio futuro. Ho potuto vedere che nel progetto cambiava qualcosa quando sono cominciati gli inserimenti lavorativi: le persone hanno riacquistato fiducia e cominciato a superare un tormento che portavano con sé dal loro arrivo in Italia.