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Pds per cure mediche – Il genitore del minore ha diritto di lavorare?

L’ art. 11, comma 1, lett. c quinquies) del dpr 99/394 come modificato dal dpr 18 ottobre 2004 n. 334, precisa che il permesso di soggiorno per cure mediche è rilasciato “a favore del genitore di minore che si trovi nelle condizioni di cui all’art. 31, comma 3 del testo unico”. Nonostante tale norma sembri limitare la possibilità di soggiorno ad un motivo intitolato cure mediche che non consentirebbe lo svolgimento dell’attività lavorativa, si può comunque sostenere che vi è un diritto dei genitori temporaneamente autorizzati al soggiorno, di svolgere un’attività lavorativa. Risulta che ci siano pronunce di tribunali i quali hanno riconosciuto comunque il diritto del genitore di svolgere in questi casi anche attività lavorativa. D’altronde la funzione che la disposizione contenuta nell’art. 31, comma 3, attribuisce al Tribunale per i minorenni – nel senso di poter concedere sia pure discrezionalmente un permesso di soggiorno speciale – è proprio quella di garantire l’assistenza morale e materiale del minore regolarmente presente in Italia.
Se possiamo essere consolati dal fatto che l’assistenza morale è consentita in base ad un permesso di soggiorno per cure mediche, è evidente a chiunque che, se questo permesso non considera la possibilità di svolgere attività lavorativa e, quindi, non consente all’interessato di trovare una regolare occupazione, vi possono essere evidenti dubbi sulla possibilità di garantire l’assistenza materiale perché non si vede come possa un genitore che non ha la possibilità di lavorare in regola, mantenere un figlio in condizioni di sicurezza. È ovvio che in questo caso il genitore si orienterà verso un lavoro irregolare; questa non sembra però una soluzione compatibile con l’ordinamento giuridico.
Ancora una volta è necessario ricordare che la norma del regolamento di attuazione in commento non può intendersi come limitante il contenuto della legge. La funzione del regolamento di attuazione dovrebbe infatti essere quella di limitarsi ad attuare la norma di legge, senza introdurre nuovi divieti o obblighi, ma semplicemente dotando la norma di legge di disposizioni che rendano praticabili i principi dalla stessa stabiliti.
Da questo punto di vista, se si dovesse interpretare il regolamento di attuazione nel senso di limitare delle facoltà che sono insite alla stessa autorizzazione contenuta nel provvedimento del Tribunale per minorenni, si dovrebbe ritenere che il regolamento di attuazione sia illegittimo e debba per questo essere disapplicato. D’altra parte, più di un Tribunale per i minorenni ha già interpretato la vigente normativa nel senso di poter disporre il rilascio di un p.s. con l’espressa previsione della possibilità di lavorare, o comunque disponendo il rilascio di un p.s. per motivi di famiglia, che, come è noto, consente anche il regolare svolgimento di attività lavorativa. Infatti, come precisa l’art.31, il tribunale per i minorenni può disporre il rilascio della prevista autorizzazione al soggiorno “in deroga” alle vigenti disposizioni in materia, quindi senza dover soggiacere all’applicazione burocratica delle norme stesse, in specie di quelle del regolamento, dalle quali si pretenderebbe erroneamente di trarre un divieto di attività lavorativa.
Inoltre, poiché un’altra norma di carattere generale (art. 30, comma 6 del Testo Unico sull’Immigrazione) prevede espressamente che “contro il diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché contro gli altri provvedimenti dell’ autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare, l’interessato può presentare ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui risiede…”, dovremmo ritenere che anche di fronte a casi di questo genere sia possibile (con tempi di attesa molto più ristretti rispetto al procedimento avanti al Tribunale per i minorenni) promuovere un ricorso davanti al giudice ordinario per chiedere che sia dichiarato il diritto di utilizzare quel permesso di soggiorno anche per svolgere regolare attività lavorativa, fino a quando varrà l’autorizzazione temporanea disposta dal Tribunale per i minori.
Si dovrebbe quindi ritenere che la competente questura debba apporre sul permesso di soggiorno unitamente alla dicitura cure mediche , anche quella in cui si specifica che è consentita, sia pure temporaneamente, l’attività lavorativa.

In questo senso ci viene segnalato da una collega dell’Asgi, l’avv. Elena Fiorini di Genova, una soluzione positiva a casi analoghi a quello in commento. A seguito di una richiesta della questura di Genova rivolta al Ministero dell’Interno, quest’ultimo ha emesso un parere sulla base del quale è stato rilasciato un permesso di soggiorno sempre per cure mediche, con un ulteriore timbro che indica: consente lo svolgimento di attività lavorativa.
Ci auguriamo che anche nel caso segnalato dalla Caritas di Firenze si possa pervenire ad una soluzione analoga, magari risparmiandosi di dover disturbare l’autorità giudiziaria per ottenere un chiarimento.
Peraltro, se il familiare del cittadino minore, autorizzato temporaneamente a soggiornare sul territorio in base al provvedimento del Tribunale dei minori, svolge effettivamente un’attività lavorativa, a quel punto l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale dovrebbe considerarsi come un atto dovuto, per il semplice fatto che quando un lavoratore opera regolarmente e percepisce una regolare busta paga ed è assicurato all’INPS e all’INAIL da parte del datore di lavoro, tutti i mesi versa un contributo finalizzato all’iscrizione al SSN. Non si vede perché dovrebbe pagare per un’assicurazione sanitaria senza ottenerne, in caso di necessità, le relative prestazioni.