Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

“Perché l’uomo è l’uomo”. Qualche domanda sull’accoglienza ai migranti, la diversità culturale, la scuola e l’arte

Video-intervista a Chérif Seckouna Kandé

Tanti degli equivoci che nascono nel confronto con i Migranti, e persino nelle pratiche relative alla loro accoglienza, sono indubbiamente legati ad un difetto nella percezione verso chi si ha di fronte: al mancare, cioè, di una visione nitida che da un lato non dimentichi che un essere umano è sempre tale per la propria storia personale, con la sua specificità. Dall’altro, non rinunci alla sfida del comprendere – senza appiattire – le eventuali differenze, perché queste non vengano distorte e, come spesso accade, rimpicciolite, fino a diventare un minus dell’altro. Cimento, quello del conoscersi a fondo e del capirsi, che in verità si propone nella vita di ciascun individuo ad ogni nuovo incontro, al di là della provenienza geografica dello sconosciuto. Tuttavia, quando la distanza aumenta, i fattori che entrano in gioco nella dialettica si moltiplicano, fino ad impedire un confronto sincero e, talora, il rapporto stesso con l’altro.

Se oggi le discriminazioni si giustificano meno su basi biologiche, come dice Barbujani il razzismo odierno è culturale, perché spaventano da morire uno sguardo sul mondo o un sistema di tradizioni che sembrano essere irrimediabilmente lontani. Perciò, se non è la diversità fisica a generare a prima vista una percezione fuorviante, è allora la difficoltà a leggere tra le righe dell’appartenenza a contesti culturali differenti, un percorso di vita che ha per tutti le stesse tappe, sebbene possa esprimersi attraverso linguaggi e rappresentazioni diverse. In ciò, confluiscono ideologie sbagliate, istanze culturali, a volte i propri fantasmi. Per disegnarsi nella mente l’esatta immagine dell’altro, occorre, allora, essersi liberati dei propri spettri o di quelli che la realtà in cui siamo immersi ci propone. L’obiettivo è sempre quello di raggiungere un dialogo profondo, l’unico in grado di andare oltre le possibili diversità, spesso di poco conto ai fini della comunicazione. L’unico che valga la pena, e l’altro lo sa bene, di ascoltare.

Le reazioni nei confronti di un ragazzo africano, o verso chi viene da (troppo) lontano, e lo fa senza soldi in tasca o senza titoli da poter presentare, sono variegate. C’è quello che odia, l’altro che fa finta che i migranti non ci siano, chi si arma di pietismo. E poi ci sono quelli dell’inclusione e dei buoni sentimenti senza cognizione di causa, che credono basti una carezza sulla testa, perché, in fondo, i migranti si accontentano di poco, senza rispetto per l’intelligenza e l’esperienza di vita di un adulto, senza offrire stimoli e opportunità. Basta, in fondo, trovare il mondo di fargli passare il tempo, quel tempo che il sistema di accoglienza italiano continua a non saper gestire. Spesso, offrire una spalla dove piangere insieme, è il massimo che si riesce a fare, confidando in un miracoloso effetto catartico che finisce, però, per istupidire gli altri: come una pacca data senza speranza, che suona al pari di una condanna per il resto della vita.

Invece le cose non stanno così. Le persone non cercano consolazione (ci arrivano solo dopo anni di assistenzialismo), nessuno vuole essere accudito e dipendere dagli altri.

Ciascuno vorrebbe vivere dignitosamente, secondo le proprie prospettive: questo gli esseri umani sempre cercano e inseguono, per tutta la vita. Questo è quanto bisogna sempre tenere bene a mente, quando ci si impegna con i Migranti.

Chérif Seckouna Kandé è un richiedente asilo, cittadino senegalese, arrivato in Italia da poco più di un anno. Nell’intervista ( che propongo nella sezione VIDEO di questo sito ) tocchiamo insieme a lui vari temi: il razzismo, il colore della pelle, la diversità di pensiero, la scuola, l’importanza della conoscenza, la società, le differenze; e poi il tempo che le persone trascorrono dentro i centri di accoglienza. Da una breve e informale conversazione estiva, rigorosamente in italiano, nascono riflessioni, frutto di domande complesse e risposte stimolanti. Un confronto diretto che va alla ricerca di idee nuove, al di là di un orizzonte politico che sembra dimenticare il fattore umano.

«Sì, ma c’è l’uomo», diceva Camus. “L’uomo è l’uomo”, ribadisce Chérif nell’intervista.

Sempre come Essere Umano di qualunque “genere” sia.

Trascrizione dell’intervista

Chérif Seckouna Kandé: Mi chiamo Chérif Seckouna Kandé, vengo dal Senegal e sono qui in Italia…domani dovrebbe essere trascorso un anno. Sono venuto in Italia il 19 giugno 2017.

Intervistatrice: Sekouna, ci sono tanti ragazzi dentro i centri che passano tutto il loro tempo a dormire. Mangiano, dormono, e fanno poco altro. Secondo te perché ci sono delle persone così, che non riescono a fare niente, e invece ci sono altri ragazzi che, nonostante le difficoltà, si alzano la mattina, vanno a scuola, cercano lavoro, partecipano a tante attività. Perché c’è questa differenza?

Chérif Seckouna Kandé: Bòn, ci sono tanti ragazzi che sono al centro, dormono, mangiano, non hanno nessun lavoro. Però io penso che quanto tu stai sempre al centro, dormi, mangi, e non fai niente, questa cosa ti rende un po’ nervoso. Tu devi fare qualcosa. Quando una persona è nervosa, deve fare qualcosa. [Se uno dice] io non voglio, io penso che è una cosa che non va bene… Ci sono [invece] altri ragazzi che vanno a scuola, cercano lavoro, cercano di fare qualcosa. Ma sapete tutti in Italia che quando una persona non ha un documento (un permesso di soggiorno) non si può lavorare. E questo è un grande problema.

Intervistatrice: Tu pensi che quando si fanno delle cose diverse, magari cose belle, come uscire insieme, si va a sentire la musica, si va a vedere un film o una mostra, pensi che questo può aiutare nella vita di tutti i giorni a rimanere un po’ più svegli, più contenti e più attivi?

Chérif Seckouna Kandé: Si, è giusto. Quando una persona ha tanti pensieri deve uscire per dimenticare questi problemi. Quando ci sono gli amici, quando parliamo, andiamo a vedere un film, o andiamo a visitare un museo è très bòn, troppo importante, perché queste cose ti fanno dimenticare i tanti problemi. Ma quanto tu sei solo, sempre chiuso nella tua stanza, mangi e dormi soltanto, tu inizi a pensare troppo e io dico che questo non va bene.

Intervistatrice: Forse quando si va fuori e si vedono altre persone, questo serve a farmi sentire meno solo, [perché] penso che non sono l’unico ad avere problemi?

Chérif Seckouna Kandé: Si…

Intervistatrice: …Forse tutte le persone hanno un po’ gli stessi problemi?

Chérif Seckouna Kandé: Ci sono tante persone che hanno i loro problemi…Ma che facciamo? Dobbiamo essere forti, uscire, fare amicizia con gli altri, cambiare i problemi per dimenticare tante cose.

Intervistatrice: Secondo te perché una persona diventa razzista?…E’ una domanda difficile!

Chérif Seckouna Kandé: Si, una domanda difficile! Sapete per noi che siamo qui in Italia…gli stranieri che sono oggi in Italia vogliono fare amicizia con gli Italiani. Ma quando li guardiamo in faccia, non possiamo fare [amicizia con loro]…Dobbiamo andare a scuola…Se oggi non abbiamo, come si dice, l’amicizia con gli Italiani, con chi altro dobbiamo fare amicizia? Non con i Francesi, gli Inglesi o i Portoghesi. Siamo in Italia, per forza dobbiamo avere amici Italiani, per fare tante cose. Ma io penso che così [come stanno le cose adesso] non va bene. Gli Italiani devono sapere che noi siamo uomini, come loro, li consideriamo come fratelli.

Intervistatrice: Tu pensi che il razzismo è un problema di conoscenza, nel senso che se io conosco poco allora ho paura, mentre invece se faccio amicizia, conosco bene una persona straniera allora il razzismo va via?

Chérif Seckouna Kandé: Si, io ho detto che quando uno non ha tante amicizie con le persone, ha sempre paura. Sempre, ha paura. Ma quando tu fai amicizia con i cittadini, hai amicizia con loro…devi avere un po’ di forza [per fare amicizia]…come oggi io ho un po’ di amici italiani. Quando io sto insieme a loro mi sento bene, e questa è una buona cosa per me.

Intervistatrice: Secondo te qual è il problema più grande, il colore della pelle diverso oppure la mentalità, la cultura diversa?

Chérif Seckouna Kandé: Ma io penso è la mentalità…

Intervistatrice: …Che fa più paura?

Chérif Seckouna Kandé: Si, si, è la mentalità. Le persone devono cambiare la mentalità. Si…

Intervistatrice: E secondo te qual è la soluzione, che cosa si può fare per migliorare in futuro tutto questo? Quale può essere una soluzione?

Chérif Seckouna Kandé: Questo è un problema, un grande problema…Questo è un grande problema…Però io penso che per gli Africani non è un grande problema. Gli Africani considerano i bianchi sempre come fratelli. Io penso che sono i bianchi che dicono degli Africani: lui è un nero… Io penso che il problema sta nei bianchi. Non nei neri.

Intervistatrice: Secondo te le persone nascono tutte uguali?

Chérif Seckouna Kandé: Tutte uguali. L’uomo è l’uomo.

Intervistatrice: Ti faccio l’ultima domanda. Pensi che andando nelle scuole dai bambini che fanno le elementari, i ragazzi delle medie, a parlare, a far conoscere gli immigrati, a far conoscere i rifugiati…pensi sia importante partire dalla scuola? Forse può cambiare qualcosa nella cultura, se si comincia con i bambini e con i ragazzi?

Chérif Seckouna Kandé: Si, è importante. Quando tu vai a scuola impari tante cose. Come me, anche io oggi vado a scuola, vedo i bambini italiani, facciamo tante cose [a scuola]. La scuola cambia tante cose della tua mentalità.

Sara Forcella

Sara Forcella

PhD in Civiltà dell'Asia e dell'Africa, è arabista, mediatrice culturale ed insegnante di italiano L2. E' inoltre presidente di Fuori Passo ETS, associazione che si occupa di mediazione, orientamento, servizi e formazione per persone con background migratorio.