Mentre le
condizioni dei migranti colpiti da
meningite, dopo essere sbarcati dalla
nave Pinar, appaiono in
miglioramento, nei giorni scorsi un giovane
eritreo sbarcato a
Pozzallo (Ragusa), anche lui
colpito da meningite batterica, è morto all’ospedale di Caltanissetta dopo essere stato rinchiuso
nel centro di Pian del Lago. Al
di là della confusione indotta dalla
stampa, e delle proteste del
sindacato di polizia SAP di Ragusa, che
lamenta l’assenza di una
accurata diagnosi delle condizioni dei
migranti, rimane il fatto
tragico che chi è scampato alla morte
durante la traversata viene
ucciso da una malattia, come la meningite,
proprio nei giorni
successivi all’arrivo in Sicilia.
Mentre sono in
corso i lavori di
smantellamento della base Loran di Lampedusa, che il
ministro Maroni
voleva adibire a CIE, in assenza delle prescritte
autorizzazioni, e
mentre non è chiara la destinazione del vecchio
centro di Contrada
Imbriacola, trasformato provvisoriamente in CIE, la
situazione
dell’accoglienza in Sicilia è sempre più drammatica ed
affidata
al’improvvisazione. Forse qualcuno spera che i blocchi a
mare, anche a
poche miglia da Lampedusa, con la scusa che tutte le
acque del canale
di Sicilia rientrano nella competenza SAR, zona di
salvataggio di Malta,
possano arrestare gli sbarchi. In realtà, mentre
le diplomazie
litigano, i viaggi si allungano, le condizioni fisiche
dei migranti che
comunque arrivano, se non a Lampedusa, direttamente
in Sicilia, tra
Pozzallo e Porto Palo, sono e saranno sempre più
gravi, e non sembra
arginabile il diffondersi di malattie infettive,
che colpiscono anche
dopo il ricovero nei centri di accoglienza-
detenzione.
Il diffondersi di casi di meningite, tra migranti che sono
sbarcati in luoghi diversi,
conferma la generale condizione di
debilitazione nella quale arrivano
in Italia.
Chiediamo anche noi che
vengano adottati rigorosi protocolli medici per
diagnosticare
tempestivamente i migranti che sono nelle condizioni
fisiche che
potrebbero permettere le infezioni, ma soprattutto
denunciamo il fatto
che quanto sta avvenendo quest’anno non appare
frutto di una
casualità, ma è la conseguenza prevedibile delle nuove
politiche di
contrasto dell’immigrazione irregolare, degli accordi
falliti con la
Libia e con la Tunisia, della distruzione del modello di
accoglienza
sperimentato negli anni scorsi a Lampedusa.
Se non si vorrà
ancora
aumentare la lista delle vittime, con rischi sempre più gravi
anche
per gli operatori e per i cittadini, occorre smetterla con questa
politica basata sulla cattiveria e sulla repressione ad ogni costo.
Magari solo per fare notizia o chiedere consenso elettorale, perchè
alla fine gli arrivi aumentano comunque.
Occorre chiudere tutte le
strutture nelle quali si sono verificate forme diverse di contagio,
anche da tubercolosi o scabbia, e procedere ad una completa
disinfezione dei locali.
Va ripristinato il modello di accoglienza
Lampedusa, con la destinazione del Centro di contrada Imbriacola
esclusivamente a centro di prima accoglienza e soccorso come negli
scorsi anni, anni nei quali queste disastrose conseguenze delle azioni
di contrasto non si erano verificate.
Occorre soprattutto consentire
ancora, come in passato, gli interventi di salvataggio ai mezzi della
nostra marina nelle acque internazionali e anche nelle acque di
competenza maltese, dove era avvenuta la maggior
arte degli interventi
di salvataggio da parte dei mezzi militari
italiani. E’ questo l’unico
modo per evitare lunghe permanenze in mare,
e qualche volta la morte
dei migranti per disidratazione o per
ipotermia.
Occorre infine
depenalizzare gli interventi di salvataggio
in mare effettuati da
mezzi mercantili e da pescherecci, in modo da non
dissuadere o
ritardare le azioni di soccorso.
Solo in questo modo si
potrà ridurre
il numero delle vittime dell’immigrazione irregolare e
evitare che le
persone giungano in Italia in condizioni fisiche tali da
renderle
vulnerabili a qualunque tipo di malattia. Occorre infine
rinegoziare
gli accordi con la Libia per garantire che i migranti in
transito in
quel paese possano godere dei diritti fondamentali da
riconoscere a
qualunque persona umana indipendentemente dal suo stato
giuridico.