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da La Repubblica (Milano) del 29 marzo 2007

“Picchiata perché lavoravo con il velo”

Marocchina denuncia la capoturno: “Mi ha sbattuta contro il carrello” Le vessazioni. “Ce l’avevano con me perché sono araba e musulmana” sostiene Jlaidi “ma ho sempre fatto bene il mio lavoro”.
La replica. L’azienda contesta la ricostruzione dei fatti: “E’ stata lei ad aggredire la nostra dipendente, qui non siamo razzisti”.
Le vessazioni. “Ce l’avevano con me perché sono araba e musulmana” sostiene Jlaidi “ma ho sempre fatto bene il mio lavoro”

Luigi Bolognini

«Mi hanno picchiato perché sul lavoro tengo l’hijab, il velo islamico». La denuncia arriva da Jlaidi Khaddouj, 35enne marocchina, in Italia da 16 anni, che ha portato in tribunale la ditta per la quale faceva le pulizie. «Sono due cause, una penale per lesioni personali e una di lavoro per mobbing, con annessa richiesta di risarcimento danni. È un episodio gravissimo, che nasce dal razzismo e dall’ignoranza» dichiara il suo avvocato, Domenico Tambasco.
La vicenda risale all’agosto del 2005, ma è approdata in tribunale solo adesso: fallito un tentativo di conciliazione, tra qualche mese inizierà il processo.
Jlaidi la racconta così: «Sono islamica praticante e rispetto i precetti della mia religione coprendomi il capo con l’hijab. Non è un burqa, né un niqab, che nascondono il viso integralmente, ma solamente un velo, che lasciava la mia faccia del tutto visibile. Al lavoro non hanno mai apprezzato. Ce l’avevano con me perché sono araba e musulmana: quando Bin Laden faceva qualche proclama in tv mi chiamavano Osama per deridermi. E da subito la mia superiore ha cominciato a dirmi: “Tirati via questa sciarpa, sei impresentabile, crei imbarazzo negli altri”. Io invece so che l’azienda dove mi facevano fare le pulizie, una multinazionale in via Spadolini, non aveva mai protestato: importava solo che io facessi bene il mio lavoro, e su questo non ho mai ricevuto lamentele, anzi».
Fino a quando, dopo oltre 6 mesi di richiami, la caposervizio di Jlaidi passa all’azione: «Mi ha strappato il velo, poi mi ha preso la testa e me l’ha sbattuta contro il carrello delle pulizie. È arrivato un collega a dividerci, ma mi hanno dovuto portare all’ospedale San Paolo, dove mi hanno riscontrato un trauma facciale non commotivo, una distorsione del rachide cervicale e abrasioni multiple agli arti superiori. Naturalmente non sono più tornata al lavoro, anche perché mi hanno detto che a quel punto avevo solo due scelte: o tornavo in via Spadolini, di nuovo con quella superiore, o andavo a fare le pulizie in una macelleria a Lurate Caccivio, 40 chilometri da Milano, con un turno che iniziava alle 7 di mattina. Per mesi ho avuto paura di tutto, non cercavo più un altro lavoro per timore che mi facessero storie per il velo». Una perizia (di parte) del marzo successivo parla di «stato ansioso depressivo che ha causato un’invalidità parziale». Alla fine Jlaidi si è fatta forza: «Avevo bisogno di lavorare, ho famiglia, due bambini piccoli. E subito ho trovato un posto che mi piace, adesso faccio la portinaia e nessuno brontola o protesta se mi metto l’hijab. Ma nessuno ha mai detto niente, a parte lì: non sono una integralista, sono in Italia dal 1991, mi sono ambientata senza problemi, ho tanti amici italiani. Semplicemente, metto il velo».

La versione della azienda è totalmente differente: «Nego nel modo più totale e assoluto ogni violenza – dice l’avvocato Giorgio Treglia, che difende l’azienda – . Anzi, è stata la nostra dipendente a subire un’aggressione dalla signora Khaddouj. Il processo lo dimostrerà, visto che ci sono i testimoni, e a quel punto saremo noi a denunciarla. E ci dà fastidio che si strumentalizzi la questione del velo, che si sfoderi l’accusa di razzismo, che non c’entra nulla, visto che lì lavorano molti stranieri. Al limite ci possono essere stati rimproveri sulla modalità delle pulizie, ma nient’altro. E comunque la nostra è una società cooperativa e la stessa signora Khaddouj ne era socia, oltre che dipendente assunta con contratto in regola e a tempo indeterminato. Eppure dopo questo episodio ha preso ed è andata a lavorare altrove».