Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

di Alessandra Sciurba

Piccoli fastidi dei governi europei

Una lettera di Melting Pot Europa

Chi entra nel piccolo cimitero dell’isola di Lampedusa, se cerca bene tra le tombe degli autoctoni scorgerà, in fondo a destra, un quadrato di terra con delle lapidi diverse dalle altre.
Improvvisate velocemente, ma con qui e là un segno di cura, un fiore di plastica rimasto a sfidare gli anni e l’indifferenza, il viso di pietra di un bambino logoro dal vento e dall’aria di mare…

Erano gli ultimi segni di un tempo diverso. Il tempo dei primi arrivi di migranti sulle coste dell’isola. La gente che reagiva, come la gente spontaneamente sa reagire, quando non è influenzata dalle paure e dagli odi elaborati ad hoc da chi ha un po’ di potere… E allora, spontaneamente, arrivava l’accoglienza istintiva, vera, quella che dovrebbe essere uno degli obblighi reciproci dell’umanità in generale e della gente di mare in particolare, dividendo quel che si ha e poi provando, davanti ai cadaveri di chi non ce l’ ha fatta a superare le onde, la tristezza di incontrare la morte così, di fronte agli occhi, e magari anche un po’ di senso di colpa per quel viaggio che non ha più avuto fine e che era iniziato con tanta speranza.
Ma, appunto, erano altri tempi. Non come adesso che gli uomini scompaiono dentro il mare e dietro le parole, riemergendo dal mare per venire abbandonati dentro le parole di chi cerca giustificazione per atti che non potranno mai averne una…

La “pietas” era il sentimento antico del rispetto degli anziani e dei morti. Più forte delle leggi dello Stato, era un principio morale su cui il mondo classico reggeva le proprie relazioni e costruiva la propria storia.
Bisognava avere rispetto persino del corpo del nemico.
Oggi, il governo maltese sta ufficialmente rifiutando di accogliere sul suo territorio le salme di ventuno donne e uomini restituiti senza vita dal mare, forse parte di quell’equipaggio di naufraghi che dal 21 maggio erano scomparsi senza traccia. Nessun segno di dispiacere, nessuna umanità nel senso più semplice che questa parola dovrebbe assumere.
Neppure da morti è finita l’odissea spietata imposta a questi migranti. Un ultimo rimpallo di responsabilità persino sui loro corpi inermi e gonfi d’acqua. “Io non li voglio, se ne tornino in Libia, da dove sono venuti”.

Ma che luogo è un mondo in cui impunemente, senza vergogna, ci si arroga il diritto di decidere così? Chiedere agli assassini di queste persone di assumersi le proprie responsabilità, di pagare per averli uccisi con le loro leggi di Stato e la loro indifferenza, sembra chiedere qualcosa di impensabile. Ma persino aspettarsi una sepoltura, un po’ di riposo per queste vittime sembra pretendere troppo in questo stato di cose.

E allora forse una soluzione che semplificherebbe la vita dei governanti nazionali ed europei potrebbe essere quella di costruire direttamente delle fosse comuni per disfarsi di questi pesi umani. Un posto in cui, senza stare troppo a discutere di colpe e responsabilità, senza ricevere denunce o sanzioni, chiunque trovi uno di questi morti possa lasciarlo lì e non pensarci più, in silenzio, senza troppo disturbo, senza alcun rumore… e ammettere così, finalmente, l’idea che si ha di questi uomini sempre considerati come sotto-uomini, per cui – diciamolo senza ipocrisie – non vale alcuna delle leggi morali e giuridiche che vale per noi, gli altri, quelli che hanno diritto di creare o distruggere il mondo a loro piacimento.