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Piove sul bagnato. Gli effetti del provvedimento anticrisi sui commercianti ambulanti

di Paolo Fasano

Il provvedimento anticrisi – legge n. 102/2009 di conversione del decreto 78/2009 – all’art. 11 bis introduce un nuovo adempimento per i commercianti ambulanti: il documento di regolarità contributiva (DURC), da produrre annualmente per i comuni che hanno rilasciato l’autorizzazione al commercio itinerante.
La mancata presentazione del DURC costituirà motivo di revoca dell’autorizzazione commerciale.

Nel ‘98 il decreto Bersani – dlgs. 114/98 – aveva consentito ai commercianti itineranti senza posteggio, fino a quel momento abusivi, di poter svolgere la propria attività nel rispetto dei vincoli stabiliti dai regolamenti comunali, in un quadro di semplificazione amministrativa e di rottura di misure corporative, quali le antiche licenze commerciali, non più consentite nell’Europa della “libera circolazione delle persone, dei capitali e delle merci”, in quanto ostacolo alla libera concorrenza e ad un corretto funzionamento dei mercati commerciali.

Oggi questa regolarità dei requisiti amministrativi è messa seriamente a rischio dall’art. 11 bis della legge 102/2009.
La revoca della autorizzazione amministrativa determinerà la cancellazione di queste imprese dai registri delle camere di commercio, essendo propedeutica all’iscrizione, con l’inevitabile conseguenza della proliferazione dell’abusivismo commerciale.

Non solo, l’immersione di queste imprese, oggi regolari, può determinare la perdita dei titoli di soggiorno per molti di questi commercianti, non più in grado di documentare il reddito prodotto dalle loro attività.
Questa norma rappresenta un esempio scolastico di come lo Stato, in modo involontario, possa produrre clandestinità.

La marginalità di queste attività, ai limiti dell’irrilevanza commerciale, non ha impedito in questi anni a molti di questi cittadini stranieri di vivere dignitosamente e legalmente in Italia dei propri mezzi, senza pesare sul sistema di welfare, e di provvedere al mantenimento delle proprie famiglie nei paesi di origine. Non è un caso ad esempio che la propensione al ricongiungimento familiare tra questi operatori sia tra le più basse in assoluto in quanto essi sono consapevoli della impossibilità di mantenimento della propria famiglia – spesso numerosa – in Italia.

Il problema previdenziale – relativo alla misura del contributo fisso previsto per i commercianti – non ha mai trovato nessun tecnico o politico disponibile ad occuparsene. A titolo esemplificativo, si poteva valutare per questa categoria di operatori molto “fragili” economicamente e commercialmente l’iscrizione alla gestione separata, come avviene per i lavoratori atipici, in modo da determinare il versamento contributivo dovuto, non in misura fissa, ma in proporzione al reddito prodotto.

Il motivo di fondo di questo disinteresse della politica potrebbe essere ricercato nella considerazione che la stragrande maggioranza dei commercianti ambulanti senza posteggio sono stranieri e senza diritto di voto.

Fa impressione, però, leggere questa disposizione accanto a quella che prevede, nella stessa legge, una sanatoria generalizzata per il rimpatrio di attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori dal territorio dello Stato, il cd. “scudo fiscale”, o a quella per regolarizzare – in questo caso in modo molto meno generalizzato – i rapporti di lavoro domestici o di assistenza domiciliare.

Non può sfuggire anche all’osservatore più distratto, infatti, una eccessiva sproporzione di trattamento, in rapporto alla gravità sociale e penale delle violazioni e alla consistenza delle misure di contrasto adottate.

I commercianti itineranti – più in generale i cittadini stranieri – appaiono sempre di più come il capro espiatorio da sacrificare e da dare in pasto all’opinione pubblica e al profondo malessere degli altri operatori commerciali che si trovano in condizioni di crescenti difficoltà, accentuate dalla grave crisi economica e dalla perdita di competitività del sistema delle imprese italiane.