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da La Gazzetta del Mezzogiorno del 7 febbraio 2008

Politiche di accoglienza nel barlettano

È da giorni ormai che le pagine locali dei quotidiani non fanno altro che raccontare una fredda cronaca degli sgomberi di casolari degradati, occupati per necessità dagli innumerevoli migranti presenti sul nostro territorio.
Con una semplificazione mediatica “extracomunitario-clandestino-criminale” si pone l’accento da un lato sul loro abitare abusivamente questi luoghi, dall’altro la necessità di ripristinare la legalità e la sicurezza, ormai unica priorità della politica.
Persone costrette a vivere in ruderi abbandonati, in condizioni igenico-sanitarie estremamente precarie, vengono ad essere continuamente criminalizzate dall’opinione pubblica e da un intera classe politica totalmente incurante delle condizioni di barbarie in cui migliaia di migranti vivono in gran parte della nostra regione.
Piuttosto che promuovere reali politiche di accoglienza si preferisce, aggirando l’ostacolo, affrontare l’argomento esclusivamente in un ottica di ordine pubblico all’insegna del controllo e della repressione.
Espulsioni ed arresti sembrano essere l’unico risultato che Istituzioni e Forze dell’Ordine intendono perseguire, ed è proprio in questa ottica che fanno più notizia arresti di immigrati privi di permesso di soggiorno piuttosto che la morte per ipotermia, avvenuta ad Andria lo scorso dicembre, di un uomo marocchino rimasto dieci ore in ospedale senza essere curato come avrebbe dovuto, prima di essere trasferito altrove in punto di morte. Ad ucciderlo oltre che il freddo è stata l’indifferenza.
In un sistema in cui non esistono politiche di accoglienza e integrazione, gli immigrati non sono considerati soggetti di diritto ma semplicemente forza lavoro da sfruttare e abusare.
Tale concetto è legittimato da una legge incostituzionale ed immorale, la legge Bossi-Fini, che riconosce i migranti presenti sul territorio italiano fin quando servono come manodopera a basso costo, quando tale manovalanza risulta non essere più utile vengono rimandati con decreti di espulsione nei paesi di provenienza oppure rinchiusi nei Centri di Permanenza Temporanea, veri e propri lager.v
L’immigrato quindi è un qualcosa da amministrare all’interno delle cosiddette soglie di tolleranza e quote d’ingresso, del Decreto Flussi, che consentono la permanenza sul nostro territorio solo a chi risulta utile ai fini lavorativi.
La Puglia è una terra d’approdo per migliaia di immigrati, che lavorano in ambito edile, agricolo o domiciliare, ai quali si deve indubbiamente parte dello sviluppo economico della regione.
Nonostante vi sia rispetto a questo elemento una consapevolezza delle Istituzioni, le Politiche Sociali risultano incapaci di garantire condizioni abitative dignitose.
All’operato spesso superficiale delle Istituzioni, sul territorio di Andria, Barletta e Trani vi è la risposta e l’attività concreta di alcune realtà ecclesiali o del privato sociale che si occupano delle problematiche legate ai flussi migratori garantendo accoglienza, assistenza legale e sanitaria e orientamento sul territorio.
Se in altre città gli immigrati possono contare sulla presenza di case d’accoglienza e mense, quelli presenti a Barletta possono fare affidamento solo ed esclusivamente allo sportello interculturale, che da diversi anni lavora concretamente rispetto all’orientamento legale, in quanto il dormitorio gestito dalla Caritas è chiuso da tempo.
Rispetto a questo riteniamo che vi siano delle gravi responsabilità, innanzitutto della Caritas deputata ad una funzione che non svolge, dunque non avrebbe motivo di esistere in città. E poi la responsabilità di una amministrazione comunale e del sindaco Nicola Maffei che, indolente da una parte, dall’altra non promuove reali politiche di accoglienza ed inclusione. Quanto detto è dimostrato dal bilancio, da poco approvato, che prevede un notevole taglio ai servizi sociali.
Una città e il suo territorio non sono di proprietà di chi su quel suolo nasce e cresce, ma di tutti coloro che, anche solo per un giorno, lo attraversino. Ognuno deve potersi sentire a casa, avere una casa, poter esistere con dignità Grazie ad un lavoro e questo deve essere un impegno concreto di chi voglia ancora continuare a definirsi politico, amministratore. Accogliere non vuol dire tenere un elenco all’ufficio anagrafe. Accogliere significa incontrare e fare spazio a chi arriva, mettendolo a proprio agio, non facendo sentire queste persone fuori luogo.

Valentina Peschechera -network per i diritti globali-