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da Repubblica.it dell'8 maggio 2009

Ponte Galeria – Tunisina si suicida all’alba

«Piuttosto che tornare nel mio Paese mi ammazzo. Mi vergogno troppo per quello che mi è successo». Questo avrebbe confidato alle compagne di stanza M.M., 49 anni. Non voleva tornare nel suo paese perché si vergognava di essere stata condannata per spaccio di droga. Era in Italia da dieci anni, e aspettava di ricevere il decreto per essere messa su un aereo e portata in Tunisia. Prima di addormentarsi l’avrebbero confortata fino a notte fonda.

Poi di mattina la scoperta del corpo senza vita: la tunisina ha deciso di ammazzarsi impiccandosi con una maglietta nel bagno della sua stanza. Si è suicidata nel Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, dove si trovava dal 24 aprile, e dove era stata portata perché non aveva rispettato il decreto di espulsione. Da quel giorno era partito l’iter per il suo espatrio. Ora tra le detenute sono in stato di agitazione, alcune hanno iniziato uno sciopero della fame.

«Non aveva dato segnali in tal senso, né era stata sottoposta a qualsivoglia tipo di cure farmacologiche o psicologiche», dice Claudio Iocchi, direttore del comitato provinciale della Cri di Roma. Una morte che sgomenta e, inevitabilmente, scatena polemiche sulle condizioni del centro. L’assessore al Bilancio e alla partecipazione della Regione, Luigi Nieri chiede notizie sulla dinamica del suicidio, sui cui sarà aperta un’inchiesta, e annuncia che farà ricorso al Tar insieme alle associazioni Antigone e Progetto diritti perché gli è stata negata l’autorizzazione a visitare la struttura. Per l’assessore provinciale di Roma alle Politiche culturali D’Elia il suicidio è «un lutto» per la città in «un contesto di rinnovata forza di intolleranza e razzismo».

Denuncia che i Cie sono «sempre meno centri di accoglienza e sempre più centri di reclusione mascherata che, con la possibilità di protrarre la permanenza degli immigrati fino a 180 giorni, sono peggiori delle carceri», il garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Marroni. E racconta: «Sono affollati all’inverosimile, le famiglie vengono divise e le condizioni di vita sono difficili nonostante il prodigarsi degli operatori. In queste condizioni è facile che possa prendere piede la disperazione».