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Possibilità di conversione del pds per motivi di lavoro autonomo

In altre parole, la questura sostiene che i pds rilasciati a seguito della c.d. “sanatoria” non possono essere convertiti per lavoro autonomo e, quindi, il rinnovo degli stessi non può essere consentito per lavoro autonomo in quanto tale possibilità sarebbe esclusa dalla norma speciale in materia di regolarizzazione (d.l. 9 settembre 2002, n. 195 convertito dalla l. 9 ottobre 2002, n. 222).

Se dovessimo seguire questo ragionamento dovremmo ammettere che tra i lavoratori stranieri legalmente soggiornanti è operata una palese discriminazione tra chi si è regolarizzato nel 2002 e il resto degli immigrati. I sanati del 2002 in pratica, in base alla recente regolarizzazione, non avrebbero secondo la legge italiana lo stesso trattamento degli altri lavoratori, anch’essi regolarmente soggiornanti.
Ciò non può essere ammesso per il semplice motivo che la legge (art. 2 T.U. sull’Immigrazione) esclude ogni discriminazione tra lavoratori italiani e lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti, come stabilisce la Convenzione n.143/1975 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL). Non può essere ammessa nemmeno una discriminazione ovvero un trattamento diversificato per quanto riguarda diritti e attività possibili, tra lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti.
In altre parole, non ci sono diverse tipologie di permesso di soggiorno per lavoro ammissibili nel nostro ordinamento: lo stesso tipo di permesso di soggiorno per lavoro a tempo indeterminato deve comprendere le stesse facoltà e gli stessi diritti in favore di ognuno dei titolari.
In base a questo ragionamento molto semplice, non si può ammettere una disparità di trattamento a seconda che si tratti di persone che provengono dall’ultima regolarizzazione o persone che provengono da precedenti regolarizzazioni o che hanno fatto un regolare ingresso muniti di autorizzazione in base alle quote. Il permesso di soggiorno che queste persone hanno ottenuto è un normale permesso di soggiorno per lavoro subordinato e diversamente non potrebbe essere. Se si dovesse sostenere una diversa interpretazione si dovrebbe ammettere che la nostra legge stabilisce una discriminazione tra lavoratori regolarmente soggiornanti muniti di un permesso di soggiorno per lavoro dello stesso tipo. E questo, da un punto di vista interpretativo, non è concepibile.
Suggeriamo all’interessato di promuovere un ricorso anche perché si tratta di una questione interpretativa che non si può sperare venga risolta dalle questure e nemmeno dal Ministero del Lavoro in tempi brevi. Di conseguenza, se l’interessato vuole risolvere il suo problema e non si vuole adattare a continuare un’attività di lavoro subordinato, è bene che lo faccia prima che siano trascorsi i termini di scadenza per la proposizione del ricorso davanti al competente TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) ovvero 60 giorni dal momento della notifica (comunicazione) del provvedimento negativo.