Nella mattina di
mercoledì 20 aprile si è tenuta l’udienza per la convalida degli
arresti dei sette
ragazzi somali, fuggiti dall’hangar sito all’interno
del porto di Pozzallo ( Ragusa), usato come luogo di identificazione e
trasformato di recente, di fatto, in centro di detenzione
amministrativa.
Nel giudizio che si svolgeva con il rito direttissimo
venivano contestati numerosi capi d’imputazione: lesioni, resistenza,
danneggiamento, con tutte le possibili aggravanti, e pure l’aggravante
di aver commesso il fatto per garantirsi l’impunità dal reato di
clandestinità cui all’art. 10 bis….
I migranti erano difesi
dall’avvocato d’ufficio Franco Rovetto, e dall’avv. Paola Ottaviano
socia dell’asgi.
In udienza sono state formalizzate le nomine degli
avvocati, e poi il pubblico ministero ha chiesto la
proroga della
custodia cautelare in carcere per il rischio della reiterazione del
reato e perchè “soggetti inclini alla violenza”. Come se fosse violenza
fuggire dopo essere “accolti” in un luogo come un capannone sito in
area portuale, senza alcuna mediazione e senza la presenza dei
rappresentanti delle associazioni e dell’ACNUR, come sarebbe prescritto
dalla legge e come avveniva a Pozzallo sino a poche settimane fa.
Tutti e sette i migranti non hanno rilasciato dichiarazioni, e
all’inizio sembravano non fidarsi neppure degli avvocati. Fino a quel
momento avevano avuto contatti soltanto con la polizia o con personale
alle dirette dipendenze delle forze di polizia. Il loro tentativo di
fuga era stato dovuto al fatto che la polizia intendeva procedere alla
loro identificazione senza fornire la necessaria informazione sul loro
status e sulla procedura di asilo.
I migranti sotto processo a Modica
appartengono ad una comunità che negli anni precedenti ha sperimentato
sulla propria pelle i respingimenti in mare verso la tortura e gli
abusi in Libia, prima con l’intervento di mezzi italiani, come in
occasione dei respingimenti del 7 maggio 2009, tra breve a giudizio
davanti alla Corte di Strasburgo, poi direttamente da parte delle unità
libiche che imbarcavano a bordo agenti della guardia di finanza
italiani. Tutte queste vicende hanno duramente intaccato la fiducia
degli eritrei nelle forze di polizia italiane, e l’assenza di qualsiasi
forma di mediazione, che adesso sembra tardivamente in corso di
attivazione, ha prodotto una reazione di rifiuto di dare le proprie
generalità e poi la fuga.
La difesa si è opposta alla convalida
dell’arresto e ha chiesto le
revoca della misura cautelare, in
subordine i domiciliari in un Cara, a
Caltanissetta o a Mineo. I
difensori hanno entrambi sottolineato che si trattava di
potenziali
richiedenti asilo, spiegando la situazione della Somalia, il
passaggio
in Libia, le carceri in Libia, la guerra adesso, la traversata del
mare per arrivare, senza avere nessun altra scelta.
Si è anche
richiamato il fatto che dal momento dello sbarco, il 6 aprile a
Lampedusa a quello dell’arresto
a Pozzallo, sono trascorsi ben 10
giorni di trattenimento in un centro che non ha
status giuridico,
senza che nei loro confronti fosse svolta alcuna attività di
informazione e mediazione e senza l’intervento di personale
dell’acnur che spiegasse le modalità di accesso alla procedura di
protezione internazionale.
Il giudice, dott. Maggiore, (che in
passato ha anche sollevato l’eccezione di
costituzionalità dell’art.
10 bis -reato di immigrazione clandestina), ha convalidato l’arresto ma
ha altresì ordinato la scarcerazione con un’ordinanza che recepisce le
posizioni della difesa, proprio nelle argomentazioni svolte dal
collegio difensivo , sulla situazione in Somalia, sulla Libia. sulla
traversata del Mediterraneo, affermando che non si tratta di soggetti
che delinquevano, ma che avevano tentato la fuga solo per guadagnarsi
la libertà.
I difensori hanno chiesto un termine a difesa e nessun
rito alternativo.
la prossima udienza è fissata per il 10 giugno.
I
difensori hanno cercato di spiegare ai sette migranti quello che gli
potrà succedere in futuro e cioè che sicuramente darebbero stati
portati dal carcere a Pozzallo per presentare la domanda d’asilo e poi
in un
centro di accoglienza aperto, dal quale era importante non
fuggire. Certo riconquistare la fiducia dei migranti dopo l’accoglienza
dietro le sbarre che riserva loro lo stato italiano non è facile, ma
almeno questa mattina è stato compiuto un piccolo passo nella direzione
del rispetto della legalità e dei diritti fondamentali della persona in
un momento nel quale su tutto il territorio nazionale si stanno
moltiplicando gli abusi procedurali, come le deportazioni di massa in
assenza di provvedimenti tempestivamente notificati, e la utilizzazione
di strutture dedicate ai richiedenti asilo come centri di detenzione
amministrativa.