Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Si ringrazia l'Asgi per la segnalazione

Prime considerazioni a margine del decreto legge 1/11/2007 n. 181

A cura dell'avv. Guido Savio

Premessa
A pochi giorni di distanza dall’approvazione di ben cinque disegni di legge in materia di sicurezza,
certezza della pena ed espulsioni di cittadini comunitari, il Consiglio dei ministri ha varato un
decreto legge contenente modifiche al decreto legislativo 30/07 inerenti l’allontanamento dei
cittadini comunitari e loro familiari. Ciò che ha indotto il Governo a ricorrere alla decretazione
d’urgenza, i cui presupposti non si ritenevano sussistenti fino al giorno prima, è stata la
commissione di un efferato delitto, probabilmente commesso da un rumeno di etnia rom.
Forte dello sdegno dell’opinione pubblica, il Governo ha valutato che non sarebbero venuti meno i
voti necessari alla conversione del decreto legge: di qui la straordinaria necessità ed urgenza dettata,
evidentemente, dal venir meno dei timori di mancata conversione da parte della traballante
maggioranza e della opposizione.
Ebbene, non siamo solo in presenza dell’ormai consueta legiferazione emergenziale sull’onda dei
fatti di cronaca, c’è qualcosa di più: c’è la ricerca della legittimazione popolare, cavalcando lo
sgomento dettato dalla cronaca nera, al tempo stesso utile a compattare maggioranza ed
opposizione, unite nella lotta al “nemico”.
Siamo, quindi, in presenza di un uso distorto e politicamente scorretto del potere, conferito al
Governo dall’art. 77 della Costituzione, di adottare provvedimenti provvisori con forza di legge , in
casi straordinari di necessità ed urgenza, laddove la straordinarietà è strettamente connessa alla
prevedibile possibilità numerica di ottenere la conversione in legge del decreto, nei successivi 60
giorni.

La sintesi delle disposizioni relative agli allontanamenti dei cittadini comunitari

1) Le ipotesi di allontanamento dei cittadini dell’U.E. e dei loro familiari
La disciplina degli allontanamenti quale risulta dalla normativa precedente ( decreto legislativo n.
30/2007) e dalla nuova configura le seguenti ipotesi di allontanamento:
1. per motivi attinenti la sicurezza dello Stato
2. per motivi di ordine pubblico
3. per motivi di pubblica sicurezza
4. per motivi imperativi di pubblica sicurezza

2) I destinatari
Destinatari delle norme in questione sono tutti i cittadini di paesi dell’Unione europea (diversi,
ovviamente dagli italiani), i loro familiari (che possono anche essere cittadini di paesi non
appartenenti all’U.E.), ed i minori.

3) La casistica
Lasciando parzialmente intatto l’impianto normativo previgente (D. Lgs. 30/07), si distingue tra:
a. cittadini dell’U.E. e loro familiari che abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente
nel territorio nazionale (conseguente a soggiorno legale e continuativo per 5 anni), i quali
possono essere allontanati solo per gravi motivi di ordine o di sicurezza pubblica
b. cittadini dell’U.E. soggiornanti in Italia nei precedenti 10 anni o minorenni che possono
essere allontanati solo per motivi di sicurezza dello Stato e per motivi imperativi di
pubblica sicurezza

c. i cittadini dell’U.E. e i loro familiari che non hanno acquisito il diritto di soggiorno
permanente
(né, ovviamente, sono lungosoggiornanti) i quali possono essere allontanati per
tutte le ipotesi previste al punto 2).

4) L’autorità procedente
a. I provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale per motivi di ordine pubblico o di
sicurezza dello Stato, nonché quelli riguardanti cittadini dell’U.E. soggiornanti nel territorio dello
Stato nei precedenti 10 anni o che siano minorenni sono adottati dal Ministro dell’interno.
In questi casi l’atto deve essere motivato, salvo che vi ostino motivi attinenti alla sicurezza dello
Stato, tradotto
in lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese, notificato e riportare le
modalità di impugnazione e la durata del divieto di reingresso che non può superare i 3 anni.
Il termine stabilito per lasciare l’Italia deve essere indicato nell’atto e non può essere inferiore
ad un mese
, salvi i casi di comprovata urgenza.

b. Il provvedimento di allontanamento per motivi di pubblica sicurezza e per motivi imperativi di
pubblica sicurezza
è adottato dal prefetto, territorialmente competente secondo la residenza o
dimora del destinatario. Vige l’obbligo di motivazione, traduzione, notifica, indicazione delle
modalità di impugnazione e della durata del divieto di reingresso non superiore a 3 anni,
indicazione del termine per lasciare l’Italia non inferiore ad 1 mese, salvi i casi di comprovata
urgenza.
Il prefetto è competente altresì per gli allontanamenti per cessazione delle condizioni che
determinano il diritto al soggiorno
.

5) Le modalità di esecuzione dell’ordine di allontanamento
Ordinariamente, l’esecuzione dei provvedimenti di allontanamento in esame è lasciata alla volontà
del cittadino comunitario, o del suo familiare, il quale dovrà ottemperare al provvedimento entro il
termine
perentorio assegnatogli, di norma non inferiore ad un mese, fatti salvi i casi di
comprovata urgenza
, nei quali potrà essere assegnato un termine inferiore.
Tuttavia, l’esecuzione è disposta con immediatezza dal questore quando il cittadino dell’U.E. o il
suo familiare si trattengono oltre il termine assegnatogli, ovvero quando l’allontanamento è
fondato su motivi di sicurezza dello Stato o su motivi imperativi di pubblica sicurezza.
La nuova disposizione ha cura di precisare quando i motivi di pubblica sicurezza debbono essere
ritenuti imperativi.
Ecco l’elenco:
– quando il cittadino dell’U.E. o il suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, abbia
tenuto comportamenti che compromettono la dignità umana
– ovvero che compromettono diritti fondamentali della persona ( si specifica) umana
– oppure che compromettono l’incolumità pubblica
così da rendere la permanenza della persona in Italia incompatibile con l’ordinaria convivenza.
Per i casi in cui i motivi di pubblica sicurezza che hanno determinato l’allontanamento siano
caratterizzati dal requisito della imperatività, il questore esegue immediatamente
l’allontanamento e si applicano le disposizioni de cui all’art. 13, comma 5 bis D. Lgs. 286/98.
Si rammenta che l’art. 13, comma 5 bis citato, prevede l’obbligo di convalida dell’allontanamento,
prima della sua esecuzione, da parte del giudice di pace entro 96 ore dalla sua adozione e che, in
attesa della definizione dell’udienza di convalida, lo straniero è trattenuto in uno dei centri di
permanenza temporanea
.

6) La violazione del divieto di reingresso
Se il destinatario del provvedimento di allontanamento rientra nel territorio nazionale, beninteso
dopo esserne uscito, in violazione del divieto di reingresso, è punito con la reclusione fino a 3 anni
ed è nuovamente allontanato coattivamente e immediatamente
.

7) Pendenza di un procedimento penale nei confronti di una persona da allontanare
Nel caso in cui il destinatario dell’allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza sia
sottoposto a procedimento penale si applicano le disposizioni di cui all’art. 13, commi 3, 3 bis, 3
quater, 3 quinquies D. Lgs. 286/98
. Cioè si applicano le stesse disposizioni previste in tema di
espulsione di cittadini di paesi non appartenenti all’U.E. o apolidi, qualora essi siano sottoposti a
procedimento penale (nulla osta dell’autorità giudiziaria). Ivi compresa la possibilità di pronuncia
di sentenza di non luogo a procedere nel processo pendente, se è acquisita la prova dell’avvenuta
espulsione ( rectius allontanamento) prima dell’esercizio dell’azione penale. Con una significativa e
rilevante eccezione: a differenza dell’espulsione dei non comunitari, la sentenza di non luogo a
procedere è inibita
se il cittadino comunitario allontanato è sottoposto ad indagine per uno
qualsiasi dei reati indicati nell’art. 380 c.p.p.; in tal caso può procedersi all’allontanamento solo se
l’indagato comunitario non sia sottoposto a misura cautelare detentiva per qualsiasi causa (
quindi anche se la persona è sottoposta a misura cautelare detentiva per un titolo di reato che non
rientra nel novero di quelli indicati nell’art. 380 c.p.p. per i quali è obbligatorio l’arresto in
flagranza).

8) Allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto al soggiorno e
relative sanzioni

La relativa procedura, già prevista dal D. Lgs. 30/07 è stata inasprita con la previsione,
obbligatoria, della presentazione, presso il consolato italiano del paese di cittadinanza , di una
attestazione comprovante l’obbligo di adempimento dell’allontanamento. Tale attestazione
dovrà essere consegnata all’interessato unitamente alla notifica del provvedimento di
allontanamento per la causale in oggetto.
Poiché il provvedimento di allontanamento per cessazione delle condizioni legittimanti il diritto al
soggiorno non può prevedere alcun divieto di reingresso, al fine di assicurare l’obbligo di
adempimento si è prevista la consegna del tagliandino, rilasciato in Italia, al consolato italiano del
paese di cui il soggetto allontanato è cittadino.
In tal caso, se il cittadino dell’U.E. o il suo familiare è trovato in Italia oltre il termine fissato per
l’allontanamento senza aver provveduto alla presentazione dell’attestazione ( e quindi non ha
dato prova di essersi effettivamente allontanato), è punito con l’arresto da 1 a 6 mesi e con
l’ammenda da 200 a 2.000 euro.

9) Tutela giurisdizionale
a. Contro i provvedimenti di allontanamento disposti dal Ministro dell’interno ( cfr. supra punto 4.
a) è data facoltà di ricorso al T.A.R. Lazio, sede di Roma, come per ogni provvedimento emesso da
un’autorità centrale. L’istanza cautelare sospende l’esecutività dell’allontanamento fino al suo
esito
, con esclusione di quello in appello. Salvo che l’allontanamento sia stato disposto su una
precedente decisione giudiziale o sia fondato su motivi di sicurezza dello Stato.
b. Contro gli allontanamenti disposti dal prefetto ( cfr. supra 4, b), è data facoltà di ricorso al
tribunale in composizione monocratica, che decide ai sensi degli artt. 737 c.p.c.,del capoluogo di
provincia in cui ha sede la prefettura che l’ha disposta.
Il termine per impugnare è di 20 giorni, a pena d’inammissibilità e la decisione dovrebbe
intervenire nei successivi 30 giorni ( termine ordinatorio).
Contestualmente al deposito del ricorso è data facoltà di presentare istanza di sospensione
dell’esecutorietà del provvedimento di allontanamento, la cui efficacia resta sospesa fino all’esito
della relativa istanza
. La sospensiva non può essere disposta, se il provvedimento si fonda su una
precedente decisione giudiziale o su motivi imperativi di pubblica sicurezza.
Se la sospensiva è stata negata ( quindi non nei casi in cui non può neppure essere concessa ex
lege), l’interessato, su domanda, può essere autorizzato al reingresso dal questore per partecipare
alle fasi essenziali del procedimento, sempre che la sua presenza non comporti gravi turbative o
pericolo all’ordine pubblico o alla sua sicurezza.

Osservazioni critiche
Oltre alle critiche connesse alla decretazione d’urgenza, esposte in premessa, nel merito il testo
novellato del D.Lgs. 30/07, per quel che concerne la materia degli allontanamenti dei cittadini
dell’U.E. e dei loro familiari, presta il fianco a critiche radicali che si muovono lungo due direttive
di fondo: l’amplissima discrezionalità riconosciuta all’amministrazione ed il richiamo ad istituti
della Bossi-Fini che, fino all’altro giorno, si pensava che il governo attualmente in carica volesse
superare. Con sincero stupore constatiamo che, per taluni aspetti, il testo in esame è addirittura
peggiore della Bossi-Fini.

Venendo al cuore delle questioni, non si può non constatare come la proliferazione delle ipotesi di
allontanamento (sicurezza dello Stato, ordine pubblico, pubblica sicurezza financo nella sua
versione “imperativa”), al pari di talune previsioni espulsive della prima metà degli anni ’90, sia
sintomatica della volontà di costruire un sistema “ a scatole cinesi”, dove all’incapacità sostanziale
di governo dei fenomeni migratori si risponde sempre con la stessa ricetta. Espulsioni, detenzione amministrativa, illeciti penali. Quasi che questa formula fosse la panacea di tutti i mali e che 5 anni
di Bossi-Fini, decisioni della Corte costituzionale comprese, non avessero insegnato nulla.

La discrezionalità che il decreto legge consente ai prefetti è veramente inaudita: nonostante il
tentativo di tipizzare le ipotesi in cui i motivi di pubblica sicurezza debbano ritenersi “imperativi”,
l’ elenco non aiuta. Concetti quali “comportamenti che compromettono la tutela della dignità umana
o i diritti fondamentali ad essa connessi, il giudizio di incompatibilità con l’ordinaria convivenza “,
sono talmente generici da poter essere riempiti con qualunque contenuto, sol che si esca dai dettami
e dalle condotte di vita consuetudinarie: anche la maleducazione presenta profili di incompatibilità
con l’ordinaria convivenza. Ma, quel che è peggio, è che questi maldestri tentativi di definizione di
condotte “incompatibili con l’ordinaria convivenza” sono avulsi da qualsiasi contesto normativo di
riferimento, sul quale si sia già spesa la dottrina e la giurisprudenza. Almeno l’espulsione per
pericolosità sociale di cui all’art. 13, comma 2, lett. c) D. Lgs. 286/98 è ancorata ai criteri delineati
dalle leggi in materia di misure di prevenzione! Ed in questo senso il testo in esame è peggiore della
Bossi-Fini. Né si dimentichi che il familiare del cittadino comunitario può ben essere “extra”
comunitario e, paradossalmente, subire un trattamento peggiore.
E non v’è dubbio cosa sceglieranno i prefetti, tra motivi di pubblica sicurezza “semplici” e quelli
“imperativi”.
In tal contesto, la previsione della immediata esecutività solo di alcune tipologie di allontanamento
suona una beffa, ben potendo il prefetto, in virtù degli ampi poteri conferitigli, motivare il
provvedimento come sorretto da esigenze imperative.
La previsione dell’illecito penale per la violazione del divieto di reingresso ricalca la disposizione
analoga prevista dalla Bossi-Fini per gli “stranieri”, anche a proposito del nuovo accompagnamento
immediato, differenziandosi solo per il limite edittale, tale da non consentire l’adozione di misure, e
quindi arresto e direttissime, sottraendosi così agli strali del giudice delle leggi.
Ovvio che, almeno dopo le sentenze della Corte costituzionale del 2001 e del 2004,
l’accompagnamento necessiti della convalida giurisdizionale: ma è proprio qui che la novella si
adagia sulla Bossi-Fini, il richiamo all’art. 13 T.U. 286/98 essendo esplicito. Dunque convalida
attribuita alla cognizione del giudice di pace, quando non solo il progetto governativo di riforma la
restituiva al togato, ma pure lo stesso decreto legge attribuisce la cognizione, in sede di merito, al
tribunale in composizione monocratica. Non si vorrebbe che questa attribuzione di competenze al
giudice di pace, nel momento decisivo per le sorti della libertà personale, fosse in realtà sorretto dal
consueto desiderio di mortificare il sindacato di legittimità e, con esso, la funzione giurisdizionale.
E, dulcis in fundo, il richiamo all’art. 13, comma 5 bis, estende la possibilità di trattenimento,nelle
more della convalida e forse anche dell’esecuzione dell’allontanamento, nel centro di permanenza
temporanea anche per i comunitari.
Ma la logica della Bossi-Fini non doveva essere superata? Ma il progetto di riforma, e prima ancora
la commissione De Mistura, voluta dallo stesso Ministro dell’interno, non dovevano superare,
rendendoli residuali, i centri di detenzione amministrativa? Curioso che, per superare i CPT, si
trattengano anche i comunitari!

In materia processulapenalistica, il decreto legge in esame peggiora talune previsioni della Bossi-
Fini, rendendo la condizione del comunitario indagato più svantaggiosa di quella dello “straniero”.
Infatti, se all’indagato viene contestato un reato previsto nell’elenco dell’art. 380 c.p.p. ( cioè tutti i
reati c.d. di “strada”) , se è comunitario e i motivi che consigliano il suo allontanamento sono
“imperativi”, costui non può sperare ( a differenza del “collega” extracomunitario che versa
nell’identica situazione) di cavarsela con la sentenza di non luogo a procedere, qualora il suo
allontanamento avvenga prima dell’esercizio dell’azione penale. La disparità di trattamento pare
evidente e non giustificata dalla differenza di status. La disparità è ulteriormente accentuata se se il
malcapitato, extracomunitario, ha acquisito lo status di familiare di cittadino comunitario.
Quanto, infine, ai mezzi di tutela, si conferma la non sospendibilità, in sede cautelare, dei
provvedimenti di accompagnamento fondati su motivi di sicurezza dello Stato (ipotesi analoga a
quella già prevista dal c.d. decreto “Pisanu” ed attualmente all’esame della Corte costituzionale), su
decisioni giudiziali ovvero sui consueti motivi “imperativi” di pubblica sicurezza.
Col che si tocca con mano come le opzioni del prefetto, che la normativa gli riconosce con
amplissima discrezionalità, producono conseguenze anche sulla effettività della tutela
giurisdizionale. Il travagliato iter giurisprudenziale che ha portato al riconoscimento, in capo al
giudice, del potere di sospensione cautelare dei decreti espulsivi previsti dal T.U., nel silenzio della
legge, non ha portato consiglio la nostro frettoloso legislatore, ed è pertanto destinato a riproporsi,
ferme restando le previsioni del decreto legge.
Analoghe considerazioni valgono per l’autorizzazione al reingresso, al fine di partecipare alle fasi
essenziali del ricorso, che può essere discrezionalmente elargita, o negata, dal questore, non solo per
la previsione di gravi turbative all’ordine pubblico – ipotesi già prevista nel D. Lgs. 30/07- ma pure
per ragioni di pubblica sicurezza, nemmeno imperative.

Torino, 5 novembre 2007
Guido Savio

Scarica il documento [.pdf]