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Primo caso in Italia di “adozione mite” per rispondere all’esigenza di protezione dei minori nei casi di semi abbandono

Corte di Cassazione, ordinanza n. 3643 del 13 febbraio 2020

L’ordinanza è stata depositata il 13 Febbraio scorso e con essa la Corte Suprema di Cassazione ha finalmente sancito il principio secondo cui, alla luce della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (la prima nel caso Zhou c Italia a cui sono seguite altre decisioni), nel rispetto del diritto alla vita privata e familiare sancito dalla Convenzione, devono essere ritenuti esistenti nel nostro ordinamento modelli di adozione cd. “mite” compatibili con la non recisione dei legami con il genitore biologico.

La vicenda alla base della decisione riguarda una giovane donna nigeriana e le sue due figlie le quali sono state allontanate dalla madre successivamente al ricovero d’urgenza in ospedale della più piccola.

Nel corso di tale ricovero, infatti, a causa di incomprensioni culturali e l’assenza di personale di sostegno e interpreti, la donna entrava in conflitto con il personale medico sui trattamenti a cui doveva essere sottoposta la bambina. Ha avuto inizio così una lunghissima e complessa vicenda processuale che terminava in primo grado con la dichiarazione di adottabilità delle minori e la definitiva interruzione dei rapporti delle stesse con il proprio genitore biologico.

Non solo, le minori all’esito della decisione del Tribunale, secondo la prassi dell’“affidamento ad alto rischio giuridico”, venivano collocate in due famiglie differenti e sottoposte così all’ulteriore trauma della separazione reciproca.

La Corte di Appello, in sede di impugnazione su richiesta delle parti, decideva di riaprire l’istruttoria senza tuttavia ristabilire in via cautelare le frequentazioni al fine di non inficiare l’eventuale esito di una adozione delle famiglie affidatarie.

Veniva così espletata una nuova Consulenza d’ufficio che, a differenza del primo grado, attuava quel necessario approccio transculturale su cui la Corte di Cassazione ha più volte richiamato l’attenzione. Veniva finalmente assicurata la presenza di un mediatore (assente nel procedimento del Tribunale) e la presenza oltre che della consulente di parte anche di un’antropologa.

La Consulenza ha evidenziato come l’intero procedimento di primo grado fosse stato inficiato da un evidente e grave pregiudizio dei servizi nei confronti della signora e da interventi non adeguati a garantire un effettivo supporto al nucleo familiare. Nelle conclusioni la relazione affermava come nonostante le evidenti fragilità della madre fosse del tutto ragionevole supporre che ella possa, se adeguatamente sostenuta in un percorso psicoterapeutico all’interno di una cornice transculturale già in atto di mantenere un ruolo del tutto positivo nella vita delle figlie seppure inserite in contesti familiari. “Laddove deve ritenersi vero che solo la continuità del legame con la madre può fornire quell’altrettanto indispensabile rispecchiamento culturale e il giusto collocamento nella storia trans generazionale che come sappiamo assumono un importante significato nella costruzione di una propria identità”.

Nonostante tali conclusioni la Corte di Appello confermava la sentenza del Tribunale ritenendo superflue tali indicazioni non essendo possibile a parere della Corte in virtù delle norme vigenti in materia di dichiarazione di adottabilità, verificare se vi sia la possibilità di un modello di adozione che permetta di mantenere i legami in quanto non disciplinato e quindi non esistente.

La Suprema Corte ha cassato con rinvio la decisione della Corte affermando al contrario che, nell’ambito del procedimento di verifica dello stato di abbandono, non soltanto è possibile ma è obbligatorio che l’indagine non trascuri alcuno degli elementi utili ad individuare e definire il perimetro del preminente interesse del minore tra cui, senza ombra di dubbio, la possibilità che questo mantenga il proprio rapporto con il genitore biologico (che è diritto del minore).

Si legge infatti nella decisione che: “Ove la conservazione del legame fosse ritenuta indispensabile, l’esito del giudizio deve essere diverso (ancorché con la evidenziazione delle criticità connesse alla responsabilità genitoriale), in quanto la conservazione del rapporto con il genitore biologico non è incompatibile con le forme disciplinate dagli artt 44 e seguenti della L. 183/1984 ed in particolare con l’ipotesi residuale di cui alla lettera d)” e che rappresentano nel nostro ordinamento quelle forme di adozione compatibili con il rispetto del diritto alla vita privata e familiare imposti dagli obblighi nazionali ed internazionali in materia.

Il procedimento è stato curato da un collegio di difensori, fra cui gli avvocati Carmela e Salvatore Fachile, Cristina Laura Cecchini e Giulia Crescini che stanno seguendo da tempo alcuni casi dinanzi al Tribunale per i minorenni che coinvolgono famiglie di stranieri.

La decisione è estremamente importante, non solo perché è la prima volta che, a seguito delle sentenza della Corte Edu, viene sancita la esistenza nell’ordinamento dell’istituto dell’adozione mite per rispondere all’esigenza di protezione dei minori nei casi di “semi abbandono” che necessitano il mantenimento dei rapporti ma, anche, per la sua ricaduta in un fenomeno che è stato più volte oggetto di denuncia: l’apertura di numerosi procedimenti a danno di famiglie migranti e rom soprattutto in presenza di nuclei monoparentali.

Peraltro, la vicenda e il principio sancito dalla decisione che impone una revisione dell’approccio tenuto nella generalità dei casi dal Tribunale per i minorenni, fa venire in risalto a nostro parere anche la illegittimità della prassi dell’automatica interruzione dei rapporti a seguito della decisione di primo grado e che si produce senza motivazione anche quando ciò non sia necessario nell’interesse del minore e il procedimento non sia passato in giudicato.

Infatti, la pratica dell’affidamento preadottivo o ad altro rischio giuridico anticipa -in maniera automatica e generalizzata- gli effetti di una adozione legittimante che costituire una misura di extrema ratio (come ribadito nuovamente dalla Suprema Corte) con evidenti ripercussioni in termini di violazione del minore a crescere nella propria famiglia di origine. Riteniamo che anche tale prassi costituisca una ingerenza altrettanto illegittima su cui sarà necessario fare luce anche mediante intervento della Corte Europea.

Infatti, come nel caso di specie la Corte d’Appello davanti ad un affidamento preadottivo respinge la domanda cautelare formulata affermando che ad interruzione già avvenuta una nuova ripresa degli incontri rischi di minare la buona riuscita della futura adozione legittimante. Si crea così una situazione Kafkiana che rischia di minare i principi sanciti dalla ordinanza.

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Corte di Cassazione, ordinanza n. 3643 del 13 febbraio 2020