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Problema dell’acquisto della cittadinanza italiana

Questo problema emerge sia da parte di cittadini formalmente stranieri ma di origine italiana, sia da parte di cittadini stranieri che hanno contratto matrimonio con cittadino italiano, sia da parte di persone che intendono avvalersi della più generale possibilità di naturalizzazione, ossia la possibilità di chiedere la concessione della cittadinanza italiana dopo 10 anni di soggiorno e residenza regolare.
La casistica è la più varia, ma il problema che accomuna tutte queste categorie è legato ai tempi di attesa, che sono lunghissimi. Dal punto di vista statistico, ormai sono circa tre anni gli di attesa, mentre il decreto ministeriale che regola la durata del procedimento di concessione della cittadinanza prevede un periodo di attesa massimo di 760 giorni, ovverosia di 2 anni.
Non si sa quanto i 3 anni di attesa siano motivati dalle esigenze burocratiche o quanto, invece, non siano influenzati da esigenze di tipo politico, dall’andamento delle compagini governative che si avvicendano.
Il problema dei tempi di attesa non è purtroppo risolvibile perché, anche facendo un ricorso a seguito di un’eventuale diffida e messa in mora a provvedere formalmente notificata all’amministrazione e a seguito della perdurante inerzia, l’eventuale proposizione del ricorso al competente Tribunale Amministrativo Regionale non può proporre un effetto utile, in quanto il TAR non ha possibilità di sostituirsi all’amministrazione competente quindi di adottare al posto di questa il provvedimento di concessione della cittadinanza nei casi previsti.
Di conseguenza dobbiamo purtroppo dire che non possiamo indicare un rimedio rispetto a questi tempi di attesa, se non forse la mobilitazione in senso più ampiamente politico e una sensibilizzazione delle forze sociali e politiche affinché intervengano su questi aspetti.

I dinieghi
Oltre al problema della durata, esiste anche il problema della prassi adottata dall’amministrazione centrale, per quanto riguarda la concessione della cittadinanza a coloro che chiedono la cosiddetta naturalizzazione, a coloro che chiedono la cittadinanza italiana dopo 10 anni di residenza. Sono innumerevoli i provvedimenti di rifiuto o diniego che recano una motivazione, pressoché prestampata, in base alla quale si ricorda che la concessione della cittadinanza non è determinata dalla valutazione dell’interesse dello straniero, bensì dalla valutazione dell’interesse per lo Stato e per la comunità nazionale ad accogliere come nuovo cittadino il richiedente.
La motivazione dei provvedimenti del Ministero dell’Interno – recitando essenzialmente sempre questa espressione – sottolinea il potere pienamente discrezionale dell’amministrazione nel valutare l’opportunità di concedere o meno la cittadinanza italiana.
Diverso il caso di chi chiede la cittadinanza italiana per matrimonio con cittadino italiano. In questo caso, le sezioni unite della Corte di Cassazione affermano che si tratta di un vero e proprio diritto soggettivo, condizionato unicamente dalla eventuale esistenza di circostanze che permettono di affermare la pericolosità per la sicurezza dello stato o per l’ordine pubblico della persona richiedente (nel caso, quindi, di condanne per gravi delitti o di segnalazioni che attengono alla sicurezza dello stato, segnalazioni che non è poi possibile controllare perché sono coperte dal più stretto e rigoroso riserbo, anche quando venga promosso un ricorso al competente Tribunale Amministrativo).
Nel corso di questi procedimenti si scopre, infatti, che anche una volta che è disposta l’acquisizione agli atti del fascicolo della pratica presso il Ministero dell’Interno, il parere relativo ai rischi per la sicurezza dello stato e per l’ordine pubblico è secretato (segreto) e quindi completamente cancellato. Di quel parere si ha soltanto l’intestazione e le conclusioni, mentre il contenuto delle motivazioni non sono visibili da nessuno, nemmeno dal Tribunale stesso.
Vi sono, quindi, spazi di discrezionalità che rischiano di produrre risultati che vanno ben oltre le valutazioni di sicurezza dello Stato e della comunità.