Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

A cura di Paolo Fasano

Provvidenze assistenziali per cittadini non comunitari

Guida legale ai procedimenti per il riconoscimento delle provvidenze assistenziali

Premessa

Due sentenze, di cui una del gennaio 2009, della Corte Costituzionale hanno chiarito alcuni aspetti relativi all’accesso dei cittadini non appartenenti all’Unione Europea alle provvidenze e alle prestazioni, anche economiche, previste per gli invalidi civili, per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti e per i ciechi civili.

Le pronunce della Suprema Corte erano molto attese in quanto l’applicazione della normativa è complessa e controversa e stava dando luogo a numerosi contenziosi con l’INPS.

Negli ultimi 10 anni la materia è stata regolata da diverse disposizioni, non solo nazionali, che si sono sovrapposte in modo non coerente, creando palesi contraddizioni di diritto e nelle prassi, ma non vanno sottaciuti nemmeno gli aspetti e i condizionamenti di carattere politico e finanziario che influiscono sullo stato attuale e sui continui stalli applicativi delle procedure di concessione.

Proviamo quindi a definire un quadro di quello che dovrebbe essere il procedimento attuale in materia di riconoscimento delle provvidenze a cittadini non dell’U.E.

Su cosa si è pronunciata la Corte Costituzionale

L’art. 41 del dlgs 286/98 prevede per tutti i cittadini stranieri titolari di un permesso di soggiorno della durata di almeno 1 anno la parità di trattamento con i cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per gli invalidi civili.

L’art. 80 c. 19 della legge 388/00 (legge finanziaria 2001) (1) restringe l’ambito di applicazione per la concessione dell’assegno sociale e delle provvidenze che costituiscono diritti soggettivi in materia di sicurezza sociale, come le prestazioni per l’invalidità civile ai soli stranieri titolari di carta di soggiorno (2).

La questione di legittimità costituzionale, sollevata dai Tribunali di Brescia e Prato, su cui la Corte è stata chiamata a pronunciarsi, riguarda il combinato disposto degli articoli 80 c. 19 della legge 388/00 e 9 c. 1 del dlgs. 286/98 (3), nella parte in cui questi articoli impediscono, in assenza della carta di soggiorno, per mancanza del requisito del reddito, la fruizione delle provvidenze per invalidità civile agli stranieri stabilmente e regolarmente soggiornanti nel territorio nazionale.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 306 del 29 luglio 2008

Con la sentenza n. 306 del 29 luglio 2008 la Consulta ribadisce 2 principi importanti, già enunciati nella precedente sentenza 432/05:

1) Trattamenti differenziati sono legittimi se rispondono ad un criterio di ragionevolezza;

2) La “causa” normativa che giustifica regimi differenziati non deve essere palesemente irrazionale o arbitraria.

Nel caso in questione sollevato dal tribunale di Brescia – non riconoscimento del diritto all’indennità di accompagnamento ad una cittadina straniera, in stato di coma vegetativo, non titolare di carta di soggiorno per carenza del requisito reddituale – la Corte considera “palesemente irragionevole subordinare l’attribuzione di una prestazione assistenziale, in particolare l’indennità di accompagnamento – i cui presupposti sono, tra le altre cose, la totale disabilità al lavoro – al possesso della carta di soggiorno che richiede per il suo rilascio anche la titolarità di un reddito”. Come possiamo pretendere il possesso della carta di soggiorno, per il cui rilascio è necessario dimostrare l’esistenza di un rapporto di lavoro e la disponibilità di un reddito, da cittadini totalmente disabili al lavoro? Ciò è assurdo ed in contraddizione con la natura e le finalità della normativa in materia sociale.
Da qui l’irragionevolezza delle disposizioni che violano non solo l’art. 3 Cost., ma anche gli artt. 32 e 38 Cost., in quanto incidono sul diritto alla salute, inteso anche come “diritto ai rimedi possibili e parziali alle menomazioni prodotte da patologie di non lieve importanza” e ancora, siccome siamo davanti ad un diritto fondamentale della persona, l’art. 2 Cost., ed infine l’art. 10 Cost., dal momento che il diritto internazionale, nel garantire i diritti fondamentali della persona indipendentemente dall’appartenenza a determinate entità politiche, vieta discriminazioni nei confronti degli stranieri, legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato (4).

L’art. 80 c. 19 della legge 388/00 è pertanto illegittimo nella parte in cui – oltre ai requisiti sanitari e di durata del soggiorno regolare in Italia e comunque attinenti alla persona, stabiliti per il rilascio del permesso CE per cittadini lungo soggiornanti (ex carta di soggiorno) – esige ai fini dell’attribuzione dell’indennità di accompagnamento anche i requisiti reddituali. Non è possibile pertanto non riconoscere l’indennità di accompagnamento ai cittadini non comunitari soltanto perché essi non risultano in possesso dei requisiti di reddito previsti per il rilascio della carta di soggiorno.

Questa sentenza non produce un ritorno alla situazione legislativa ante legge 388/00, e cioè all’art. 41 del T.U. Infatti non è sufficiente la titolarità di un permesso di soggiorno, oltre ai necessari requisiti sanitari, per poter accedere alle provvidenze assistenziali, ma il cittadino straniero deve essere in possesso degli altri requisiti previsti per il rilascio del permesso Ce per cittadini lungo soggiornanti: durata quinquennale del soggiorno regolare in Italia, requisiti morali, iscrizione anagrafica.

Come verificare questi requisiti? Alcuni enti ritengono che l’istante debba prima richiedere la carta di soggiorno alla questura territorialmente competente e solo dopo il diniego per carenza dei requisiti reddituali, possa richiedere il riconoscimento della prestazione assistenziale. Esigere un’istanza destinata ad essere rigettata appare un adempimento improprio ed eccessivamente oneroso sia sul piano temporale che economico. Né si può chiedere, in assenza di istanza da parte dell’interessato, alla questura territorialmente competente di garantire che l’unico motivo per cui il cittadino non disponga della carta di soggiorno sia quello reddituale. Trattandosi invece di requisiti certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici italiani (Questura, Anagrafe del Comune e Tribunale) essi sono autocertificabili ai sensi dell’art. 2 c.1 del dpr 394/99 e su queste dichiarazioni gli uffici competenti possono effettuare i controlli dovuti secondo le modalità previste dal dpr 445/00.

Altro quesito che si pongono gli operatori è la portata di questa sentenza: si applica solo ai casi di richiesta dell’indennità di accompagnamento o può essere estesa anche alle altre provvidenze di sicurezza sociale, secondo la nozione desumibile dal diritto comunitario? Produce conseguenze ad esempio sulle richieste di pensione di inabilità (100% di invalidità) o di assegno di invalidità (dal 74% al 99%)? In questi casi gli operatori possono continuare a richiedere il possesso della carta di soggiorno oppure attuano, in questo modo, un comportamento improprio?

Secondo la giurisprudenza prevalente l’ambito che viene modificato da una dichiarazione di illegittimità costituzionale va individuato non solo con la sentenza e il significato oggettivo che ad essa deve essere attribuito, ma anche con le motivazioni, il ragionamento che la corte fa, che costituiscono un tutt’uno con il dispositivo della sentenza che enuncia il comando giuridico. Se la sentenza fa riferimento al caso rimesso dal giudice di merito – l’indennità di accompagnamento – le motivazioni si concentrano, come questione centrale, sul contrasto tra le norme costituzionali e la scelta di subordinare il riconoscimento di prestazioni assistenziali al possesso di un determinato requisito reddituale. Tale contrasto investe l’art. 80 c. 19 della legge 388/2000 con riferimento all’intera categoria delle provvidenze sociali. Il “ragionamento” della Corte si applica ed ha valore anche per le altre prestazioni assistenziali. Il Tribunale di Modena, sempre nel 2008, ritiene di poter decidere, alla luce della sentenza 306/08, su un ricorso contro il diniego al riconoscimento della pensione di inabilità a cittadino non comunitario, perché non titolare della carta di soggiorno, e di non dover rimettere la questione alla Corte costituzionale. Per il giudice del lavoro di Modena la sentenza 306/08 tratta senza distinzioni di tutte le “prestazioni assistenziali nel cui ambito colloca, a titolo esemplificativo e con specifico accenno al merito della questione sollevata, l’indennità di accompagnamento”. Nella sentenza n. 521 del 18/12/2008 lo stesso giudice evidenzia come i profili di legittimità costituzionale siano valutati dalla Consulta “in relazione alla categoria delle prestazioni assistenziali e non con riferimento esclusivo all’indennità di accompagnamento il cui richiamo ha un mero rilievo esemplificativo”. Nella pronuncia della Corte – conclude il giudice di Modena – non vi è “alcuna motivazione che colleghi la censura di illegittimità costituzionale a contenuti e caratteristiche proprie dell’indennità di accompagnamento, estranee o diverse rispetto alle altre prestazioni di natura assistenziale”.

La sentenza della corte costituzionale n.11 del 14 gennaio 2009

I dubbi vengono comunque definitivamente dissipati dalla sentenza n. 11/09. Il tribunale di Prato solleva la questione di legittimità costituzionale con riferimento al ricorso di un cittadino straniero, in stato di invalidità totale e permanente, contro la decisione di non concedergli l’indennità di accompagnamento e la pensione di inabilità in quanto privo della carta di soggiorno sempre per carenza del requisito reddituale.

Sull’indennità la Corte rimanda alla precedente sentenza e dichiara quindi la questione inammissibile.
Sulla non concessione della pensione di inabilità afferma invece in modo perentorio l’illegittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 388/2000 e dell’art. 9, comma 1, del dlgs. 286/98, nella parte in cui queste norme non consentono di riconoscere la pensione di inabilità agli stranieri extracomunitari soltanto perché essi non risultano in possesso dei requisiti di reddito stabiliti per la carta di soggiorno. Riprende e rafforza le ragioni che hanno determinato la precedente pronuncia. “I principali motivi che hanno condotto alla sentenza (sull’indennità di accompagnamento) sussistono a maggior ragione anche con riguardo alla pensione di inabilità. Mentre, infatti, l’indennità di accompagnamento è concessa per il solo fatto della minorazione, senza che le condizioni reddituali vengano in alcun modo in rilievo, la pensione di inabilità è preclusa dalla titolarità di un reddito superiore ad una misura fissata dalla legge. Pertanto subordinare l’attribuzione di tale prestazione al possesso, da parte dello straniero, della carta di soggiorno il cui rilascio presuppone il godimento di un reddito, rende ancor più evidente l’intrinseca irragionevolezza del complesso normativo (costituito dall’art. 80 c.19 l. 388/2000 e art. 9 c. 1 T.U.)”.

Non possiamo quindi richiedere il possesso della carta di soggiorno per il cui rilascio è necessario dimostrare alla questura territorialmente competente la disponibilità di un determinato reddito, quando ci troviamo di fronte ad una richiesta di prestazioni di sicurezza sociale, per le quali la disciplina vigente prevede, ai fini del riconoscimento, che quella stessa cifra reddituale non debba essere raggiunta.

Il principio vale a maggior ragione per l’assegno di invalidità, erogato a soggetti con invalidità dal 74 al 99%, che non superino un limite di reddito ancora più basso di quello previsto per la concessione della pensione di inabilità. Se è irragionevole, come afferma la Corte, richiedere la carta di soggiorno per la pensione, per quale motivo non lo sarebbe per l’assegno? Possiamo esigere titoli di soggiorno differenti da 2 cittadini di cui uno invalido al 99% e l’altro al 100%, nonostante debbano entrambi dimostrare di non superare una certa soglia di reddito per ottenere il riconoscimento della provvidenza sociale? Appare paradossale ed arbitrario, dopo questa sentenza, trattare situazioni assolutamente omogenee in modo differenziato.

Le motivazioni della Corte costituiscono quindi una chiara e precisa linea guida per la Pubblica Amministrazione per riformulare correttamente l’applicazione della disciplina vigente senza dover attendere un intervento legislativo né incorrere in ulteriori lesioni di diritti soggettivi.

Autorevoli esperti delle associazioni nazionali che tutelano le persone con disabilità e i loro diritti considerano questa impostazione corretta. Carlo Giacobini – responsabile del Centro per la documentazione legislativa Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, Direzione Nazionale – alla domanda “Che succede ora dopo la sentenza n. 11/09?” risponde “Gli enti concessori delle provvidenze economiche (le Regioni e le Province autonome) non possono più rifiutare la concessione di pensione e indennità di accompagnamento, e per omogeneità di nessun’altra provvidenza economica riconosciuta per minorazioni civili, solo perchè lo straniero extracomunitario non dispone del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. Si dovrà verificare, infatti, se questo non sia stato concesso o non sia concedibile per motivi reddituali. Nella sostanza, quindi, si dovrà verificare se lo straniero extracomunitario (o il suo familiare) sia residente in Italia, con regolare permesso (non di lungo periodo), da almeno cinque anni. Il cittadino straniero extracomunitario che rientri in questa fattispecie, che sia in possesso della certificazione di invalidità e che si veda rifiutare la concessione e l’erogazione della relativa provvidenza economica, può ricorrere al giudice con tutte le premesse per una sentenza favorevole”(5). Ed infatti fioccano sentenze dei tribunali italiani (Bari, Genova, Ravenna, Modena, etc.), sezione lavoro, che riconoscono l’applicabilità del principio stabilito dalla Consulta a tutte le provvidenze sociali, mentre gli uffici competenti alla concessione delle prestazioni restringono l’applicazione solo all’indennità di accompagnamento e alla pensione di inabilità.

Il procedimento per il riconoscimento dell’invalidità civile

Come sappiamo l’art. 130 del decreto legislativo 112/98 – uno dei decreti attuativi della legge 59/97, la c.d. “legge Bassanini 1”, che aveva notevolmente aumentato le competenze regionali, tanto legislative quanto amministrative – ha trasferito alle Regioni le funzioni di concessione dei trattamenti economici a favore degli invalidi civili.

Successivamente è intervenuta nel 2001 la riforma del titolo V della Costituzione che ha stabilizzato questa nuova impostazione, più regionalistica e autonomistica, che si era andata affermando negli anni precedenti, attraverso il riconoscimento di una legittimazione costituzionale.

Nel nostro caso, attualmente, l’ASL accerta lo stato di invalidità, la Regione esercita la potestà concessoria, mentre l’INPS si occupa dell’approvazione, attraverso la Commissione medica di I verifica, del verbale di accertamento dell’Asl e dell’erogazione delle provvidenze economiche riconosciute. Si tratta quindi di un procedimento complesso che si articola in più fasi – di accertamento e di concessione – e che coinvolge più soggetti pubblici. In Emilia Romagna la Regione ha delegato la potestà concessoria ai Comuni che la esercitano attraverso i propri uffici Invalidi Civili, i quali, verificata l’istruttoria, emanano i provvedimenti di concessione o di diniego.

Le domande che si pongono gli operatori sono legate all’individuazione di chi è responsabile del procedimento. Chi deve applicare le sentenze della Corte Costituzionale: le Regioni/Comuni o l’INPS?

In questi anni si è sviluppata una corposa produzione normativa che ha investito il diritto comunitario e quello interno, le norme costituzionali e quelle internazionali, di cui le sentenze n. 11/09 e n. 306/08 contengono ampie tracce.

Sarebbe auspicabile allora che i responsabili degli uffici territorialmente competenti prendessero atto di alcuni punti fermi sanciti dal diritto interno e comunitario, al fine di migliorare l’applicazione della procedura vigente, senza dover attendere ulteriori pronunce di tribunali ordinari o della Suprema Corte.
Ci riferiamo in particolare agli Accordi Euromediterranei della Comunità Europea con Marocco, Algesia e Tunisia e al Regolameno CE n. 859/03.

Gli accordi della Comunità Europea con Stati Terzi

Vi sono almeno 3 Accordi, che istituiscono associazioni tra la CE e gli Stati Membri da una parte e Stati Terzi dall’altra, che contengono una clausola di non discriminazione in materia di sicurezza sociale per i lavoratori di questi paesi ed i loro familiari.

L’art. 65, co. 1 e 2, dell’Accordo Euromediterraneo con il Regno del Marocco prevede espressamente:
… workers of Moroccan nationality and any members of their families living with them shall enjoy, in the field of social security, treatment free from any discrimination based on nationality relative to nationals of the Member States in which they are employed.

The concept of social security shall cover the branches of social security dealing with sickness and maternity benefits, invalidity, old-age and survivors’ benefits, industrial accident and occupational disease benefits and death, unemployment and family benefits”.


Identica clausola (e stesso articolo, 65) è contenuta nell’accordo con la Repubblica della Tunisia mentre l’art. 69 dell’accordo Euro Mediterraneo con la Repubblica dell’Algeria indica come beneficiari della parità di trattamento “i cittadini degli stati aderenti all’Accordo che risiedono o lavorano legalmente nel territorio dei rispettivi paesi ospitanti”.(6)

Ai sensi dell’articolo 300 del Trattato CE, gli Accordi conclusi in tal modo sono vincolanti per la Comunità stessa e gli Stati membri e costituiscono parte integrante del diritto comunitario (7).

Questi 3 accordi sono stati tutti sottoscritti, ratificati con legge ed entrati in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale CE e pertanto sono direttamente vincolanti per l’Italia.

Per i cittadini tunisini, algerini o del Marocco regolarmente soggiornanti in Italia il permesso di soggiorno costituisce pertanto un titolo legittimo per accedere alle prestazioni di sicurezza sociale mentre non rileva per essi la durata quinquennale del soggiorno regolare in Italia.

Il regolamento CE 859/03

Il regolamento CE n. 859/03 estende le disposizioni relative a garantire la parità di trattamento in materia di sicurezza sociale, previste per i cittadini comunitari e contenute nei regolamenti comunitari 1408/71 e 574/72, ai cittadini di Paesi Terzi, senza alcuna distinzione basata sulla loro nazionalità.
L’art. 1 del regolamento (8) precisa però che il cittadino di un Paese Terzo per poter beneficiare di queste disposizioni non debba avere o avere avuto legami con un solo Stato Membro dell’Unione Europea. Possono quindi avvalersi del principio di uguaglianza i cittadini di Paesi Terzi ed i loro familiari che soggiornano regolarmente in uno Stato Membro, dopo aver soggiornato legalmente in almeno un altro Stato Membro. Ad esempio, un cittadino albanese che ha vissuto legalmente in Grecia per un periodo e successivamente si è trasferito in Italia, dove soggiorna regolarmente, per questo stesso motivo, ha acquisito il diritto alla parità di trattamento in materia di sicurezza sociale in quanto rientra nell’ambito di applicazione del regolamento comunitario 859/03.

I regolamenti comunitari sono vere e proprie “leggi comunitarie” che devono essere pienamente ottemperate dai destinatari (singoli, Stati membri, uffici pubblici). Un regolamento ha immediata efficacia normativa, in tutti gli Stati membri, senza necessità di una trasposizione nel diritto nazionale, in forza della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee.
E’ obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri. Le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri sono ammissibili solo nella misura in cui ciò sia previsto nel regolamento o altrimenti sia necessario ai fini di una sua efficace attuazione. Le disposizioni nazionali di applicazione non possono modificare o completare la portata e l’efficacia del regolamento (9).

Di seguito una tabella esemplificativa di come andrebbe articolata la procedura di riconoscimento dell’invalidità civile

Guarda la Tabella

Conclusioni

La sentenza 306 del 2008 è particolarmente preziosa perchè fornisce indicazioni precise sull’orientamento dei giudici costituzionali su altre questioni di diritto, ancora aperte e di grande rilevanza. I giudici della Corte non ritengono sostenibile la tesi, seguita da alcuni giudici di merito, secondo la quale le disposizioni della CEDU (Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo), che vietano discriminazioni tra cittadini e stranieri, anche in materia di sicurezza sociale, sarebbero entrate a far parte del diritto comunitario e sarebbero perciò direttamente applicabili. Essi ritengono che “la diretta applicazione delle disposizioni della CEDU, in quanto tali, è da escludere, come già affermato nelle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, nonché n. 39 del 2008”.(10)

Sulle Convenzioni OIL n. 47/49 e n. 143/75 (11) la Consulta non accoglie invece la posizione della Avvocatura Generale dello Stato secondo cui “non sarebbe persuasivo il riferimento alle disposizioni costituzionali disciplinanti l’adeguamento del nostro ordinamento alle convenzioni OIL, in quanto da tali atti non nascono posizioni soggettive direttamente tutelabili dinanzi al giudice nazionale”.
La Corte sostiene che non può pervenirsi ad una diretta applicabilità delle convenzioni OIL, solo perché questa “presuppone la condizione di lavoratore – o, quanto meno, di aspirante lavoratore, come si argomenta dalla richiamata sentenza n. 454 del 1998, oppure di familiare del lavoratore – dello straniero e, invece, nell’ordinanza di rimessione del Tribunale di Brescia non si fa menzione di tali condizioni”.

Infine quando il potenziale beneficiario di una prestazione assistenziale è un minore straniero, che segue la condizione giuridica dei genitori, dobbiamo interrogarci se la distinzione in base alla cittadinanza e al titolo di soggiorno dei genitori, non dia luogo alla violazione di convenzioni internazionali, come quella di New York sui diritti del fanciullo del 1989 – ratificata in Italia con la legge n. 176/91 – di principi costituzionali e di numerosi articoli del testo unico delle disposizioni sull’immigrazione che tutelano il minore in quanto tale.

Si ringraziano Mario Silvestri, UO Politiche per l’Immigrazione del Comune di Ravenna e Viviana Bussadori, Regione Emilia Romagna


Note:

(1)L’art. 80 c. 19 della legge 388/00 :“Ai sensi dell’articolo 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, l’assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concessi, alle condizioni previste dalla legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno; per le altre prestazioni e servizi sociali l’equiparazione con i cittadini italiana é consentita a favore degli stranieri che siano almeno titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno. Sono fatte salve le disposizioni previste dal decreto legislativo 18 giugno 1998, n. 237, e dagli articoli 65 e 66 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive modificazioni.”

(2)Autorizzazione a soggiornare a tempo indeterminato. Dal 2007 la carta di soggiorno è stata sostituita dal permesso CE per cittadini lungo soggiornanti.

(3)“Lo straniero in possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità, che dimostra la disponibilità di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale … può chiedere al questore il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, ….”

(4)Art. 3 co. 1 Cost.: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Art. 32 co. 1 Cost.: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Art. 38 co. 1 Cost.: Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.

Art. 2 Cost.: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 10 co. 1 e 2 Cost.: L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

(5)L’intero commento alla sentenza è reperibile all’indirizzo: www. handylex.org/gun/ pensione _invalidi.shtml

(6)Article 69: “The provisions of this Chapter shall apply to nationals of the Parties residing or working legally in the territory of their host countries.”

(7)Vedi sito del Parlamento europeo: fonti del diritto comunitario

(8)Articolo 1 regolamento 859/03: “Fatte salve le disposizioni di cui all’allegato del presente regolamento, le disposizioni del regolamento (CEE) n. 1408/71 e del regolamento (CEE) n. 574/72 si applicano ai cittadini di paesi terzi cui tali disposizioni non siano già applicabili unicamente a causa della nazionalità, nonché ai loro familiari e superstiti, purché siano in situazione di soggiorno legale nel territorio di uno Stato membro e si trovino in una situazione in cui non tutti gli elementi si collochino all’interno di un solo Stato membro.”

(9)Vedi sito del Parlamento europeo: fonti del diritto comunitario

(10)Articolo 14 CEDU – Divieto di discriminazione : “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione.”

Articolo 1 del Protocollo addizionale alla CEDU – Protezione della proprietà

“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.” La tutela dei diritti patrimoniali è stata poi interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo che ha ritenuto che, tra i diritti patrimoniali, debbano essere incluse le prestazioni sociali, anche non contributive.

(11)L’art. 6 della convenzione OIL n. 97/49 (rat. con L.1305/52) che in materia di sicurezza sociale vuole assicurato all’immigrato un trattamento non meno favorevole di quello applicato dagli Stati ai propri cittadini, nonché l’art. 10 della convenzione OIL n. 143/75 (rat. con L. 158/81) che per i lavoratori migranti garantisce parità di opportunità e di trattamento anche in materia di sicurezza sociale.