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Qual è la prassi per l’assunzione di infermieri professionali non comunitari?

Un ascoltatore ci scrive:
“Vorremmo assumere degli Infermieri Professionali extracomunitari a tempo indeterminato. L’Ufficio Provinciale del Lavoro mi impone un contratto a tempo determinato per un massimo di 2 anni. In base a che normativa o circolare visto che il decreto flussi non mi pare citi per le ipotesi previste dall’art. 27 il tempo determinato ?”

L’art. 27 del Testo unico sull’immigrazione è stato oggetto di integrazione da parte della legge Bossi Fini e nella lunga lista di tipologie di lavoro collocate al di fuori delle quote del decreto flussi, è stata aggiunta quella degli infermieri professionali assunti presso strutture sanitarie pubbliche o private. Quindi, questa categoria è ora fuori dalle quote, cioè non bisogna attendere la pubblicazione del decreto flussi per assumere una persona con questo titolo, così come non ci sono limiti numerici.
Tuttavia, la categoria degli infermieri professionali e le altre categorie elencate dall’art 27, sono ancora condizionate per quanto riguarda i termini e la durata, dall’art. 40 del regolamento di attuazione del Testo unico che al comma 2 specifica che “Salvo diversa disposizione di legge o di regolamento, per rapporti di lavoro determinati, l’autorizzazione non può essere concessa per un periodo superiore a quella del rapporto di lavoro a tempo determinato e, comunque, a due anni; la proroga, se prevista, non può superare lo stesso termine. La validità dell’autorizzazione deve essere espressamente indicata nel provvedimento.”
Se appare evidente che alcune tipologie di lavoro indicate nell’art. 27 possono rappresentare ipotesi di lavoro per definizione temporaneo, altre rappresentano situazioni che potrebbero durare anche per un tempo indeterminato. Nell’art. 27 non è scritto da nessuna parte che, per esempio, i professori universitari, ricercatori, debbano rimanere per un periodo limitato e non prorogabile così come non è precisato per altre categorie di lavoratori. Di conseguenza, non è scontato che oltre alla durata di due anni non sia possibile prorogare il permesso di soggiorno e l’autorizzazione al lavoro in Italia. Tuttavia proprio il presupposto della proroga di volta in volta induce a ritenere che, per il momento, tocca subire questa durata limitata del contratto di lavoro subordinato che se non tranquillizza il datore di lavoro tranquillizza ancora meno il lavoratore, che preferirebbe sicuramente una situazione di stabilità piuttosto che una condanna al precariato permanente.