Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Qualifica professionale – In quali casi è necessario il riconoscimento per svolgere attività lavorativa?

Innanzitutto specifichiamo che la laurea conseguita dall’interessato è stata ottenuta in un paese non comunitario e, quindi, non è automaticamente riconosciuta in Italia.
Per tentare di ottenere il riconoscimento della sua laurea egli potrebbe rivolgersi ad ogni singola Università per ottenere un provvedimento pettorale che riconosca il titolo di studio.
Normalmente è difficile ottenere questo tipo di riconoscimento anche se ogni Università – in virtù dell’autonomia riconosciutale dalla legge italiana – ha piena facoltà di riconoscere o meno il titolo di studio sulla base del curriculum analitico (certificazione legalizzata presso il competente consolato italiano da cui risulti non solo il diploma di laurea, ma anche il superamento di tutti gli esami previsti dal corso di studio con l’indicazione delle materie specifiche).
Spesso succede che le Università non riconoscano la laurea, ma solo una parte degli esami e, quindi, in occasione della domanda di immatricolazione ammettono il candidato, ad esempio, al secondo o al terzo anno del corso di studi.
Ma il problema che l’interessato ci prospetta non dovrebbe dipendere tanto dal riconoscimento o meno del titolo di studio: ciò a meno che egli non debba spendere la qualifica di ingegnere nell’ambito del contratto di lavoro dipendente, per svolgere un’attività che richiede per legge l’iscrizione all’albo degli ingegneri. In altre parole, se per lo svolgimento dell’attività lavorativa che egli andrà ad intraprendere è richiesto, nell’ambito delle sue mansioni, di firmare progetti che implicano necessariamente il possesso di un titolo di studio riconosciuto d’ingegnere e l’iscrizione all’albo specifico, ecco che egli non potrebbe svolgere questa attività fino a quando non avesse ottenuto dapprima il riconoscimento del titolo di studio con successiva iscrizione all’albo degli ingegneri.
Esempio pratico – Se l’interessato dovesse essere assunto in un’impresa edile e progettare opere soggette ad autorizzazioni amministrative (fabbricati, case, strade, ponti, ecc.) è chiaro che dovrebbe essere ingegnere riconosciuto a tutti gli effetti e regolarmente iscritto all’albo. Allo stesso modo, se per il riconoscimento della sua attività d’ingegnere nell’ambito di questa azienda dovesse firmare progetti che riguardano, per esempio, costruzioni navali piuttosto che impianti termoidrauici – vale a dire strutture che devono essere avvallate da un progetto sottoscritto da un ingegnere abilitato – è chiaro che il mancato riconoscimento del titolo e la mancata iscrizione all’albo implicherebbero la impossibilità legale di questo signore a svolgere correttamente le mansioni per le quali fosse stato assunto.
Se l’interessato fosse invece impiegato nell’ambito di un’azienda per svolgere al suo interno un’attività che richiede conoscenze ingegneristiche che normalmente corrispondono al possesso di una laurea, ma che non comportano la legale sottoscrizione di progetti che per legge devono essere firmati da ingegneri iscritti all’albo, ecco che lo stesso potrebbe svolgere normalmente la sua attività lavorativa, essendo inquadrato al livello professionale corrispondente a quello dell’ingegnere, senza però svolgere un’attività illecita se e in quanto al datore di lavoro vada comunque bene un’attività svolta dall’interessato perché egli è convinto – ed ha già verificato – che quel signore ha la professionalità necessaria per svolgere le mansioni che gli vengono attribuite. In questo caso si tratterebbe senz’altro di un rapporto di lavoro lecito. Per fare un altro esempio, l’attività di “informatore scientifico” (normalmente svolta per favorire presso medici e strutture sanitarie la vendita di prodotti sanitari o farmaceutici) è normalmente svolta da persone laureate in medicina, ma non richiede necessariamente la laurea in medicina.
In altre parole, se il lavoro per cui una persona viene assunta ha un contenuto professionale che normalmente corrisponde al possesso di un certo titolo di studio e ad una certa abilitazione, non necessariamente si deve essere abilitati all’esercizio della professione di ingegnere in Italia. A seconda del tipo di incarico o di mansioni e, soprattutto, del tipo di attività produttiva che deve svolgere nell’azienda presso cui andrà a lavorare, l’interessato potrà svolgere in modo lecito e sereno la sua attività o meno.
Per quanto riguarda la conversione del permesso di soggiorno in suo possesso, la legge prevede in via generale che il permesso di soggiorno per lavoro autonomo può essere utilizzato lecitamente anche per svolgere attività di lavoro subordinato e il permesso di soggiorno per lavoro subordinato può essere utilizzato lecitamente anche per svolgere attività di lavoro autonomo (art. 6, Testo Unico sull’Immigrazione).
Ne discende che, anche prima della scadenza del permesso di soggiorno e prima di trasformarlo, se l’interessato inizierà a svolgere un’attività di lavoro subordinato, non sarà tenuto fino alla scadenza a nessun altro adempimento; non avrà pertanto l’onere di doversi prima rivolgere alla questura per chiedere la trasformazione del suo permesso di soggiorno. Semplicemente, nel momento in cui andrà a richiedere il rinnovo alla scadenza naturale dello stesso, potrà far risultare l’attività di lavoro subordinato che svolge e avrà un rinnovo per motivi di lavoro subordinato. Giova precisare che ciò non impedirebbe che in un eventuale futuro prossimo l’interessato potesse ottenere un ulteriore rinnovo per lavoro autonomo, qualora intraprendesse nuovamente un’attività di questo tipo.

Non ci sono problemi dunque da questo punto di vista, non essendo ancora operativa la riforma introdotta dalla legge Bossi-Fini del cosiddetto contratto di soggiorno (art. 5bis, Testo Unico sull’Immigrazione).
L’unico onere che rimane al datore di lavoro è quello di effettuare le normali comunicazioni di assunzione previste dalla legge ed in particolare la dichiarazione di assunzione all’autorità di pubblica sicurezza che viene prevista in via generale dal T.U sull’Immigrazione (art. 7).