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Qui siamo vivi. Là non eravamo più uomini

Fanny Carrier, Agence France-Presse - 9 giugno 2016

Foto: (AFP / Gabriel Bouys)

A bordo dell’Aquarius sul Mediterraneo – Il giorno dopo mi sveglio subito dopo l’alba. Siamo arrivati a destinazione, siamo a venti chilometri dalla costa libica. La nave si è fermata. Aspettiamo.

Il tempo oggi è perfetto per i gommoni dei migranti – il cielo è chiaro, una brezza leggera soffia dal sud e il mare è calmo. Appena dopo le 7.30 sono sul ponte di comando con il capitano Alex. In lontananza riusciamo a vedere appena la costa libica. Ma per il momento, tutto è tranquillo. Nessuno chiama per chiedere aiuto, il segnale vocale tace. Normalmente a quest’ora squillano numerosi segnali d’emergenza. Poi alle 7:53 la guardia costiera segnala un gommone, la cui posizione esatta non è ancora conosciuta. Alle 8:13 i tedeschi sulla Sea-Watch ci comunicano di averlo avvistato. Dicono che distribuiranno giubbotti salvagente alle persone a bordo e aspetteranno che l’Aquarius arrivi a prenderli. Alle 8:18 la guardia costiera italiana manda un segnale d’emergenza generale, annunciando numerose navi in difficoltà. “Saremo pieni oggi“, dice il capitano Alex.
(AFP / Gabriel Bouys)
Alle 8:23 la sala macchine dà l‘avanti-tutta e l’Acquarius prende velocità. Il capitano imposta la radio sulla frequenza che usa SeaWatch in modo che possiamo sentire la conversazione tra la SeaWatch e le persone sul gommone. “Ci serviranno più giubbotti salvagente per bambini!“, gracchia la radio. Sentita questa, Alex comunica sul sistema interno dell’Aquarius: “Messaggio per MSF. Ci sono bambini a bordo“.

Qualche rampa di scale più giù, Angelina, un‘ostetrica italiana, e Mary Jo, un‘ infermiera dalla California, mettono in ordine le loro attrezzature per bambini: vestiti, latte in polvere, pannolini. Sul ponte di comando, Ebenezer Tandot e Francis Mensah mettono all’aria le loro tute anti-freddo. I due marinai ghanesi guideranno i gommoni che si avvicineranno all’imbarcazione dei migranti. Hanno lavorato assieme per molto tempo, anche sulle piattaforme petrolifere nel Mare del Nord, dove l‘assideramento può essere mortale dopo otto minuti nell’acqua, il che li porta ad essere molto prudenti a bordo.

Poco dopo le 10:00 una piccola linea bianca appare sullo sfondo blu del mare: il gommone con a bordo i migranti.
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Il primo dei due gommoni di Aquarius parte nella sua direzione. Una nave di SeaWatch si è già avviata verso di noi con un bambino di due anni dal Camerun disidratato e ammalato di polmonite. Osservo come il secondo gommone di Aquarius viene preparato per essere calato in mare. Vedo che Giovanni, il mio collega cineoperatore, prende posto in quel gommone, mentre io vado a vedere cosa succede con il bambino.
(AFP / Gabriel Bouys)
Angelina non sorride più. Le serve aiuto e mi urla di andare a chiamare Mary Jo. Quando torno sul ponte lo trovo in stato d’emergenza: il gommone appena partito si è ribaltato e i suoi quattro passeggeri sono finiti in acqua. Per fortuna sono stati tirati fuori sani e salvi. Fabrice, uno dei salvatori, torna a bordo imprecando. Poi vedo Giovanni riapparire, bagnato fino alle ossa e scosso. Ha perso la sua videocamera. Finirà a filmare con la videocamera del suo iPhone 6 per il resto del viaggio – fortunatamente me lo aveva infilato in tasca prima di salire sul gommone.

Non c’è tempo per scoprire cosa sia successo esattamente: l’altro gommone di Aquarius è tornato con più di una dozzina di bambini a bordo, nessuno di loro ha più di cinque anni, alcuni addirittura solo pochi mesi. Molti di loro piangono. Le loro madri arrivano con la prossima corsa del gommone. Fabrice e Antoine, un altro soccorritore bagnato fradicio, aiutano a togliere loro i giubbotti salvagente e a portarli in una stanza sotto. Loro tutti sono a piedi nudi, hanno freddo e sono stanchi morti. Una donna ci saluta tutti con la mano, felice e tranquilla. Vicino a lei, un‘altra piange in silenzio.
(AFP / Gabriel Bouys)

Dopo le madri, i gommoni finalmente portano gli uomini, gelati e sfiniti, che dovranno rimanere fuori sul ponte per il resto del viaggio. Il personale di MSF distribuisce kit d’emergenza: una coperta, una tuta bianca leggera, un paio di calzini asciutti, un asciugamano e una bottiglia d’acqua. Alle 11:36 prendiamo gli ultimi migranti a bordo, poi l’Aquarius restituisce i giubbotti salvagente a SeaWatch e parte, lasciando ai tedeschi il compito di mandare a picco il gommone dei migranti.
(AFP / Gabriel Bouys)
Sul ponte, Franck Kameni, un ventinovenne dal Camerun, abbraccia Josue, suo figlio di undici mesi. Racconta di quei mesi che hanno passato in Libia tra rapimenti, pestaggi e riscatti. “Qui siamo vivi“, dice, “là non eravamo più uomini“.
(AFP / Gabriel Bouys)

La nostra conversazione è interrotta da un elicottero della Marina italiana, arrivata a prendere il bambino dal Camerun che era stato portato a bordo per primo e che adesso è in condizioni critiche. Seguo l equipaggio di SOS Mediterranee che stanno aiutando nell’operazione di evacuazione dal ponte, dove l’elicottero ha inviato un medico e altri due operatori con una barella. È emozionante vedere mobilizzate così tante persone e tanto materiale per salvare un bambino piccolo, mentre solo poche ore fa, in Libia, la sua vita non aveva nessun valore.

Qualche minuto dopo l’elicottero torna a prendere il medico e il bimbo, che ora è in coma, avvolto in una coperta di emergenza e steso sulla barella.
(AFP / Gabriel Bouys)
La barella è assicurata a un cavo che l’equipaggio dell’elicottero comincia ad tirare su. La barella comincia a traballare nella brezza e il bambino sembra di scivolare – ma non cade. Gli italiani lo tirano su e volano via diretti verso Cavour, una portaerei che è la vela maestra di Operation Sophia. L’elicottero tornerà per recuperare il resto del suo equipaggio e la madre del bimbo, dopo averlo fatto scendere. Per la prima volta da quando siamo partiti, sento il mal di mare.
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Nel frattempo l’Aquarius si è avviato a prendere circa 250 migranti che un rimorchiatore aveva salvato. Quelli che abbiamo preso a bordo prima sono sfiniti e stesi per terra dovunque vi sia posto sul ponte. Ci aspettano due ore di navigazione, quindi torno nella mia cabina e provo a documentare la giornata – che non è una buona idea: presto la nausea diventa insopportabile. Mi sposto con il mio computer verso un piano superiore, dove c’è aria fresca.

Alle 16:00 circa siamo accostiamo il rimorchiatore, il cui ponte è pieno di migranti. È molto più piccolo dell’Aquarius e le onde, ormai alte 1,5 metri, lo scuotono violentemente. Viriamo a lato per un avvicinarci meglio e mi trovo improvvisamente sotto il sole, con il mio computer sulle ginocchia, sopraffatta dal mal di mare mentre guardo una barca ondeggiare sulle onde, il ponte traboccante di umanità. Come si sentiranno i gruppi di salvataggio una volta di fronte ad imbarcazioni addirittura più piccole di questa, con a bordo centinaia di persone che potrebbero annegare in ogni momento?

Per via delle onde alte il trasporto dei migranti dura ore. Una processione di ombre sfinite cammina sul ponte. Sotto sento come Mary Jo cerca di fare ordine nella stanza dei bambini e delle donne. Nel frattempo, il profumo di lasagne che Rabbi, il cuoco, sta preparando per l’equipaggio dell’Aquarius, si spande nell’aria. Scrivo il mio articolo mentre osservo dal ponte cosa sta succedendo.
(AFP / Gabriel Bouys)
Alex, il capitano, è nervoso e infastidito. Il trasferimento dura già troppo e non riesce a smettere di pensare al fatto che uno dei gommoni si sia capovolto. Uno dei suoi migliori amici è morto in quel modo. Era stato un incidente: la loro nave si era capovolta in acque piuttosto fredde, e il suo amico era stato l’ultimo ad essere salvato. Era già morto per l’ipotermia.
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Finalmente tutti i migranti sono a bordo: sono circa 1.930. “Grazie e arrivederci,” capitano Alex saluta il capitano del rimorchiatore. “Spero che ci rivedremo in altre circostanze“.
Spero di no”, è la risposta dal rimorchiatore, dove l’equipaggio sta pulendo il ponte con una pompa, mentre getta nel mare tutto ciò che i migranti si sono lasciati indietro.
(AFP / Gabriel Bouys)
Alex e Jens, il capo del gruppo di MSF a bordo, confrontano i rispettivi dati: l’Aquarius ha preso a bordo 385 persone, tra cui 26 bambini sotto i 5 anni e 105 donne. Quasi tutta l’Africa è rappresentata: 123 dal Camerun, 61 dalla Costa d’Avorio, 44 dal Gambia, 40 dalla Guinea, 23 dall’Eritrea, 12 Senegalesi, 11 dal Sud Sudan, 9 dal Mali, 8 Nigeriani, 7 Sudanesi e dal Ghana, dalla Guinea Bissau, dalla Sierra Leone e dal Bangladesh.

Tutti sono salpati oggi dalla costa libica alle nove a bordo di tre gommoni. E non sono stati gli unici: in totale, più di 3000 persone su 23 imbarcazioni sono stati salvati durante la giornata di oggi. I coordinatori del salvataggio però non vogliono lasciare che tutte le navi di soccorso tornino in Italia per far sbarcare i migranti: le previsioni del tempo per domani sono uguali a quelle per oggi, il che significa che ci saranno altrettanti gommoni, e che quindi ci sarà bisogno delle navi di salvataggio in mare aperto. Il capitano Alex insiste per ricevere il permesso di partire per la costa: l’Aquarius in questo momento ha cento passeggeri in più dei 250 permessi a bordo. Siamo una nave salvataggio con il compito di salvare migranti da gommoni sovraffollati, ma siamo sovraffollati noi stessi.

Finalmente riceviamo l’autorizzazione di partire, ed ecco le brutte notizie dal Ministero dell‘Interno italiano: L’Aquarius dovrà andare fino a Cagliari, in Sardegna, per attraccare. Turri gli altri porti più vicini sono già al loro limite. Per i migranti a bordo questo vuol dire altri due giorni in mare.
(AFP / Gabriel Bouys)
Gli ordini sono di non dire loro troppo in modo da non demoralizzarli ulteriormente. Per il momento sono semplicemente stanchi. Dopo cena tutti si cercano un posto sul ponte in cui raggomitolarsi sotto la loro coperta. Un uomo cammina avanti e indietro sul ponte. Sua moglie era partita nello stesso momento, ma su un‘altro gommone. Probabilmente è stata salvata da un altra nave di soccorso e giungerà anch’essa in Italia. Ma ci vorrà tempo prima che possa ritrovarla.

Non riesco a dormire per ore. Sto fissando il mare dal finestrino della mia cabina. Mi vergogno di poter mangiare la lasagna di Rabbi e di avere questa camera tutta per me, con un letto e con un bagno privato, mentre 385 uomini, donne e bambini dormono per terra e dividono quattro bagni. Ma i miei privilegi sono ancora di più: nella mia tasca ho un cellulare con cui posso chiamare la mia famiglia in ogni momento. E rinchiuso nella cabina di Alex c’è il mio passaporto europeo, che mi permette di viaggiare liberamente per quasi tutto il pianeta…

Continua…

(AFP / Gabriel Bouys)