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Ragusa: il consiglio comunale dice no al Cpt

Intervista a Antonino Solarino (Sindaco di Ragusa)

Lunedì 4 ottobre il Consiglio comunale di Ragusa ha votato una mozione in cui si dice no al centro di detenzione a Ragusa, esprimendo la volontà di rifiutare politiche di esclusione e segregazione, per lanciare, invece, messaggi di accoglienza e integrazione per i cittadini stranieri. Abbiamo sentito il Sindaco di Ragusa, Antonino Solarino, il quale ci ha descritto quale sia lo spirito che anima l’amministrazione e l’intera popolazione della città .

Domanda: Come è stata la discussione all’interno delle rappresentanze politiche che ha portato a questa decisione?

Risposta: Tanto il centrosinistra, quanto il centrodestra sono d’accordo sul no alla riapertura al CPTA; le motivazioni sono chiaramente differenti. Il centrosinistra ha posto il problema su quella che è la vocazione della città di Ragusa, che è una vocazione che ha un assessorato alla pace, che vuole essere occasione di confronto, che, rispetto a quella che è l’area dell’euro mediterraneo, vuole caratterizzarsi come incontro, confronto rispetto delle diversità.
C’è, comunque, una maggioranza unanime che dice no, e per questo noi riteniamo che questa volontà democraticamente espressa debba essere rispettata.

D: Questa mozione è stata inviata ai rappresentanti del governo?

R: Noi abbiamo cercato di far sapere questa volontà al governo in più modi: prima con un incontro in Prefettura, a cui sono stati presenti tutti i capigruppo, poi con un’ulteriore lettera che io, in quanto Sindaco, su mandato di tutti i parlamentari, di tutte le forze consiliari ho inviato non solo al governo centrale, ma anche al Presidente della Regione siciliana e, per conoscenza, a tutti gli altri organi istituzionali a vario livello coinvolti.

D: L’amministrazione comunale non ha nessun potere decisionale sulla costruzione di un centro di permanenza temporanea nel proprio territorio, ma tale decisione è direttamente delegata al Ministero degli Interni.

R: E’ così. Ma è una struttura che, originariamente, la città pensava destinata ad uno spazio di aggregazione nel quartiere; quindi, uno spazio di socialità è stato sottratto e, quindi, la città l’ha considerato uno scippo.

D: Come commenta quello che sta avvenendo vicino a voi, nell’isola di Lampedusa, con i rimpatri verso la Libia?

R: Per rispondere a questa domanda dovrei anche un po’ spogliarmi del mio ruolo di Sindaco, considerato che nel mio ruolo di Sindaco sono anche un funzionario dello Stato.
Io ritengo che stiamo un po’ stravolgendo, anche se non voglio essere demagogico, anche se parliamo di problemi di grande complessità, quelli che sono stati i principi di civiltà. Io penso che nessuno di noi – tutti quelli che ci riteniamo appartenenti alla razza umana, che è la prima classe di appartenenza – si metterebbe in viaggio rischiando la morte, come ieri 22 cadaveri ci hanno testimoniato, mettendo a repentaglio sia la propria vita, sia la vita dei propri figli, se nei Paesi d’origine non si partisse perché non c’è speranza, non c’è futuro.
Se questo è vero, rispondere rispedendo al mittente chi viaggia perché è disperato, facendo diventare l’ospite un nemico, allora non è questa la civiltà che io penso e che immagino essere la civiltà che ci ha caratterizzati e che dovrebbe continuare a caratterizzarci. Tra l’altro di quelle espulsioni, in questi termini, non so quanto siano legittime sul piano strettamente costituzionale. Non si affronta il problema, che è complicato e su cui nessuno ha ricette in tasca, né respingendoli alla frontiera, né, tantomeno, mettendoli in centri che, per quanto le parole ci giochino, sono centri di carcerazione preventiva.
Forse siamo un po’ sognatori, ma preferisco l’immagine che la città di Ragusa ha dato domenica, quando sono sbarcate su questo territorio 150 persone con molte donne e molti bambini e tanta gente si è messa a disposizione, cercando di dare un po’ di conforto.
Quella di cui stiamo parlando è veramente una battaglia di civiltà, che non si può lasciare e che non si può affrontare solo come un problema di ordine pubblico, anche perché questo comporterebbe costi sempre più elevati con risultati che sono sotto gli occhi di tutti.