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Rapporto “In questo viaggio, a nessuno importa se vivi o muori”

Atrocità e gravi violazioni dei diritti umani durante i viaggi verso la costa mediterranea dell’Africa, secondo il nuovo rapporto di UNHCR e MMC

Migliaia di persone muoiono e molte patiscono gravi violazioni di diritti umani durante i viaggi dall’Africa occidentale e orientale alle coste nordafricane del Mediterraneo, Libia compresa.

Un nuovo rapporto pubblicato oggi dall’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, e dal Mixed Migration Centre (MMC) del Danish Refugee Council, intitolato “In questo viaggio, a nessuno importa se vivi o muori”, descrive in che modo la maggior parte delle persone in viaggio lungo queste rotte cada vittima o assista a episodi di inenarrabili brutalità e disumanità per mano di trafficanti, miliziani e, in alcuni casi, perfino di funzionari pubblici.

Raccogliere dati accurati inerenti ai decessi che si verificano nel contesto dei flussi irregolari di popolazioni miste controllati dalle reti del traffico e della tratta di essere umani è estremamente difficile, considerato che molti avvengono nell’ombra, lontano dallo sguardo delle autorità ufficiali e dai sistemi formali da esse utilizzati per gestire dati e statistiche. Tuttavia, i risultati del rapporto, basati primariamente sul programma di raccolta dati 4Mi del MMC, e su dati provenienti da fonti aggiuntive, suggeriscono che un minimo di 1.750 persone hanno perso la vita nel corso di questi viaggi nel 2018 e nel 2019. Si tratta di un tasso di almeno 72 decessi al mese, un andamento che rende la rotta una delle più mortali al mondo per rifugiati e migranti. Queste morti si sommano a quelle delle migliaia di persone che negli ultimi anni hanno perso la vita o sono risultate disperse tentando viaggi disperati attraverso il Mediterraneo per approdare in Europa dopo aver raggiunto la coste nordafricane.

Circa il 28% delle morti registrate nel 2018 e nel 2019 si è verificato nel corso dei tentativi di traversata del deserto del Sahara. Altre località potenzialmente mortali comprendono Sebha, Cufra, e Qatrun nella Libia meridionale, l’hub del traffico di esseri umani Bani Walid, a sudest di Tripoli, e numerose località lungo la parte di rotta che attraversa l’Africa occidentale, tra cui Bamako e Agadez.

Sebbene la maggior parte delle testimonianze e dei dati siano ancora in fase di ricezione per il 2020, è certo che siano almeno 70 i rifugiati o migranti che hanno già perso la vita nell’arco dell’anno, tra cui almeno 30 persone uccise per mano di trafficanti a Mizdah a fine maggio.

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Uomini, donne e bambini sopravvissuti, spesso presentano malattie mentali gravi e persistenti derivanti dai traumi subiti. Per molti, l’arrivo in Libia rappresenta la tappa finale di un viaggio caratterizzato da abusi raccapriccianti, quali esecuzioni sommarie, torture, lavori forzati e pestaggi. Altri continuano a riferire di essere stati vittime di violenze brutali, tra cui essere ustionati con olio bollente, plastica sciolta, od oggetti in metallo riscaldati, di aver subito scariche elettriche e di essere stati legati e costretti a posizioni di stress.

Donne e bambine, ma anche uomini e bambini, sono a rischio elevato di divenire vittime di stupri e violenza sessuale e di genere, in particolare presso checkpoint e aree di frontiera, e durante le traversate del deserto. Circa il 31% delle persone intervistate dal MMC che hanno assistito o sono sopravvissute a episodi di violenza sessuale nel 2018 o nel 2019, hanno vissuto tali aggressioni in più di una località. I trafficanti risultano essere stati i primi responsabili di violenza sessuale in Africa settentrionale e orientale, come registrato nel 60% e nel 90% delle testimonianze relative a ciascuna rotta. Tuttavia, in Africa occidentale, i principali responsabili di aggressioni sono stati funzionari delle forze di sicurezza, militari o di polizia, avendo commesso un quarto degli abusi denunciati.

Molte persone hanno riferito di essere state costrette dai trafficanti a prostituirsi o a soddisfare altre forme di sfruttamento sessuale. Tra gennaio 2017 e dicembre 2019, l’UNHCR ha registrato oltre 630 casi di tratta di rifugiati nel Sudan orientale, con quasi 200 donne o bambine che hanno denunciato di essere sopravvissute a violenza sessuale e di genere.

Una volta in Libia, rifugiati e migranti sono esposti al rischio di subire ulteriori abusi, dal momento che il conflitto in corso e la fragilità dello Stato di diritto comportano che le reti del traffico e della tratta e le milizie siano spesso nelle condizioni di poter agire impunemente.

Molti tra quanti tentano la traversata via mare per l’Europa sono intercettati dalla Guarda Costiera libica e ricondotti alle coste libiche. Ad oggi, rifugiati e migranti fatti sbarcare in Libia nel corso del 2020 sono più di 6.200, cifra che suggerisce che il dato finale di quest’anno probabilmente eclisserà quello di 9.035 persone ricondotte nel Paese registrato nel 2019. Spesso sono portati e trattenuti arbitrariamente in centri di detenzione ufficiali, nei quali sono esposti quotidianamente ad abusi e vivono in condizioni raccapriccianti. Altri finiscono in ‘centri non ufficiali’ o depositi controllati dalle reti del traffico e della tratta che li sottopongono a maltrattamenti fisici per estorcere loro pagamenti in denaro.

Il trattamento negligente riservato a rifugiati e migranti di cui siamo testimoni lungo queste rotte è inaccettabile”, ha dichiarato Bram Frouws, Responsabile del Mixed Migration Centre. “I dati raccolti, inoltre, mostrano ancora una volta come la Libia non sia un luogo sicuro presso cui ricondurre le persone. Sebbene questo rapporto potrebbe non essere l’ultimo che documenta tali violazioni, arricchisce il crescente numero di prove che non possono più essere ignorate”.

– Scarica la sintesi
Sintesi del rapporto e raccomandazioni (ita)

– Rapporto e i materiali multimediali, comprendenti foto, testimonianze video (eng) : https://www.unhcr.org/5f1ab91a7