Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Rapporto della visita in Turchia dei centri di Edirne e di Kırklareli di una delegazione di parlamentari europei

La delegazione è stata in Turchia dal 2 al 4 maggio 2016

Foto: Federica Iezzi

Cosa avrebbero dovuto vedere la Merkel, Tusk e Timmermans durante la loro visita in Turchia.

Rapporto dalla Delegazione GUE/NGL in Turchia, 2-4 maggio 2016

Sintesi

Una delegazione di tre membri del Parlamento Europeo ha visitato la Turchia dal 2 al 4 maggio, per valutare la situazione dei rifugiati dopo l’accordo UE-Turchia. La delegazione comprendeva Cornelia Ernst, Marina Albiol e Josu Juaristi, tutti membri del gruppo GUE/NGL (Sinistra Unitaria European/Sinistra Vedre Nordica, ndt) nel Parlamento Europeo.

Gli obiettivi della delegazione erano:

1. Avere accesso ai centri di detenzione e osservare direttamente le condizioni in cui le persone arrivano dopo essere state trasferite dalla Grecia;
2. Osservare la situazione dei rifugiati siriani al confine turco-siriano;
3. Incontrare vari tra gli attori interessati per comprendere più profondamente l’attuale situazione di rifugiati e migranti in Turchia.

Nonostante la delegazione riconosca gli sforzi compiuti dalla Turchia nell’ospitare, secondo le stime, circa 2.7 milioni di rifugiati, i tre membri del parlamento hanno registrato violazioni dei diritti umani fondamentali e l’assenza di ogni possibile futuro per i rifugiati in Turchia.

Queste conclusioni sono basate su testimonianze dirette di rifugiati, raccolte nei centri di espulsione di Edirne e di Kırklareli e nelle città di Istanbul, Gaziantep e Kilis. La delegazione ha anche registrato, da interviste dirette con i rifugiati, trattamenti disumani e degradanti, episodi di furto, violenza e respingimento perpetrati sia dalla polizia greca che da quella bulgara.

Le informazioni più importanti raccolte dalla delegazione sono:

1. Le persone deportate dalla Grecia non hanno avuto finora nessuna opportunità di richiedere asilo, né in Grecia né in Turchia;
2. I rifugiati vengono detenuti in un regime simile a quello carcerario, compresi i bambini;
3. Sono stati documentati respingimenti in Turchia da parte delle forze di polizia greche e bulgare;
4. I rifugiati hanno fornito testimonianze spaventose conseguentemente alla chiusura del confine turco-siriano.

Scoperte fondamentali della delegazione

1. Le persone deportate dalla Grecia non hanno avuto finora nessuna opportunità di richiedere asilo, né in Grecia né in Turchia

Il 3 maggio 2016, alla delegazione è stato permesso di accedere ai due centri di espulsione al confine tra la Grecia e la Bulgaria; il centro di Edirne e quello di Kırklareli.

Centro di espulsione di Edirne (capacità massima 400 persone): al momento della visita, il centro ospitava 396 rifugiati. 6.773 persone sono state arrestate al confine nel 2016; tra queste, 3.410 siriani, 1.452 iracheni, 514 afghani e 36 palestinesi. Fino a quel momento, 658 persone sono state rimandate nei loro paesi di origine.

Dati statistici sulle persone riammesse e che si trovano ancora nel centro di Edirne
Dati statistici sulle persone riammesse e che si trovano ancora nel centro di Edirne

Centro di espulsione di Kırklareli (capacità massima 750 persone): al momento della nostra visita, il centro ospitava 416 rifugiati. Nessuna onlus e nessun membro del Parlamento Europeo avevano mai visitato prima il centro, che è stato aperto il primo Aprile di quest’anno e riceve quasi tutti coloro che sono stati rimandati in Turchia dalle isole greche dall’entrata in vigore dell’accordo UE-Turchia (con l’eccezione di 24 persone che sono state trasferite al centro di Kayseri). Oltre alle 370 persone tornate dalle isole greche, 36 erano state intercettate nell’area di confine. Durante la nostra visita, abbiamo appreso che l’UNHCR ha visitato il centro il 20 aprile, ma nessun resoconto della loro visita è disponibile.

Tabella delle persone trattenute a Kirklaleri al 3 maggio 2016, in base a nazionalità, età e sesso
Tabella delle persone trattenute a Kirklaleri al 3 maggio 2016, in base a nazionalità, età e sesso

Il centro è stato finanziato (all’85%) dall’UE come centro di accoglienza, secondo il programma Instrument for Accession, ma prima che venisse aperto, nell’ultimo trimestre del 2015, è stato riqualificato e trasformato in centro di espulsione.

Cartello che mostra il finanziamento dell'UE tramite il programma Instrument for accession, corrispondente all’85 per cento (cartello visibile su tutti i mobili, asciugamani etc.)
Cartello che mostra il finanziamento dell’UE tramite il programma Instrument for accession, corrispondente all’85 per cento (cartello visibile su tutti i mobili, asciugamani etc.)

Dentro i centri di espulsione, la delegazione ha avuto l’opportunità di parlare con circa 40 rifugiati provenienti da Afghanistan, Iran, Palestina, Pakistan e Marocco.
La maggior parte delle persone che si trovavano al momento nel centro di Edirne erano state rimandate in Turchia attraverso il confine terrestre con la Grecia: alcuni erano stati trattenuti all’arrivo sulle isole greche prima del 20 marzo, in base alla loro nazionalità, altri erano stati respinti dalla Serbia in Macedonia e poi in Grecia, quando questi Paesi avevano iniziato a filtrare gli arrivi per nazionalità.

Solo una piccola parte era stata intercettata prima di attraversare il confine greco: questo dato può essere spiegato dal fatto che quasi tutte le persone intercettate di recente sono state mandate in centri di espulsione diversi da quello di Edirne, che è al massimo della capacità.
A Kırklareli, tutti erano stati rispediti indietro via traghetto dalle isole greche. Le autorità turche, interrogate sui siriani mandati indietro dalla Grecia, hanno confermato che 12 siriani erano stati rispediti indietro ad Adana, per via aerea, il venerdì precedente, e poi trasferiti al campo di Osmaniye.

Tutti i rifugiati intervistati ci hanno detto che non è stata data loro la possibilità di chiedere asilo, né in Grecia né in Turchia. Tutti hanno detto che non sanno cosa succederà loro, e che non hanno ricevuto informazioni da quando sono arrivati in Turchia.

A Edirne:

Un gruppo di cittadini pakistani trattenuti in Turchia da due mesi ci ha detto:

Non abbiamo avuto opportunità di fare domanda di asilo in Grecia. Alcuni di noi hanno avuto la possibilità di parlare con l’UNHCR, ma non è successo nulla. Non avevamo interpreti che parlassero urdu, quindi non potevamo comunicare mentre eravamo sulle isole. Poi, siamo stati ammanettati per 10-12 ore su una barca diretta verso la Grecia settentrionale, senza poter mangiare, bere o usare i bagni. Era il 2 marzo. Nemmeno qui abbiamo interpreti per l’urdu. Non ci ascoltano, siamo stanchi”.

Un altro gruppo di nazionalità marocchina, proveniente dal Sahara occidentale, ha confermato la stessa situazione:

Non ci hanno dato la possibilità di fare domanda. Sulle isole qualcuno ha chiesto di poterlo fare, ci hanno detto che avremmo avuto questa possibilità una volta arrivati al campo, ma poi ci hanno mandati qui.”

A Kırklareli:

La delegazione ha incontrato una famiglia iraniana; una coppia con il figlio diciassettenne. Sono stati mandati indietro a Kırklareli dalle isole greche. Il loro denaro è stato rubato dalla polizia greca, che ha attaccato il loro figlio e ha cercato di separarlo dai genitori mettendolo su un traghetto diverso; ma alla fine sono riusciti a riunirsi. Hanno provato a chiedere asilo a Kırklareli, ma sono stati ignorati dalle autorità del campo. Il padre teme che sarà arrestato e imprigionato se verrà rimandato in Iran, dato che è di etnia curda e di religione musulmana sunnita. Si pente di aver raccontato la sua intera storia alle autorità del campo, perché crede che potrebbero esporlo troppo quando verrà rimandato indietro. A tutta la famiglia sono stati tolti i lacci delle scarpe, per evitare che potessero usarli per suicidarsi. Il loro ritorno in Iran è previsto per venerdì 6 maggio.

La delegazione ha incontrato un gruppo di afghani: una coppia con due bambini piccoli (uno di pochi mesi, l’altro di appena più di un anno), un uomo solo e una donna che viaggia sola, il cui marito vive in Belgio, e a cui nonostante tutto è stata negata la riunificazione familiare. Sono stati arrestati mentre si trovavano in un parco, in una città della provincia di Kırklareli. Dopo sei giorni nel campo, non avevano ancora ricevuto informazioni sui loro diritti o su come fare domanda di asilo. Il loro obiettivo era raggiungere l’Europa, per trovare un lavoro e dare un futuro ai loro bambini.

La delegazione ha incontrato un palestinese, che ha lasciato la Cisgiordania attraversando il confine con la Giordania e da lì volando in Turchia; ha poi viaggiato in barca con uno scafista fino all’isola greca di Samo. Lì è stato picchiato dalla polizia e tutti i suoi effetti personali, compresi soldi e documenti, sono stati rubati. Ha ancora la schiena dolorante per le percosse subite dalla polizia greca. E’ stato trasferito a Izmir, dove ha trascorso alcuni giorni, e poi a Kırklareli, dove si trova da più di una settimana. A Izmir è stato visitato da un medico, che gli ha prescritto dei medicinali per il dolore. A Kırklareli non gli sono stati dati i medicinali di cui necessita, né ha ricevuto informazioni riguardo la sua situazione.

Un gruppo di pakistani ha riferito alla delegazione:Non sappiamo cosa ci succederà; qual è la nostra posizione attuale. Abbiamo lasciato il Pakistan perché le nostre vite erano in pericolo, poi siamo stati presi in Grecia. Siamo molto preoccupati per quello che ci succederà. Non possiamo parlare con i nostri familiari. Ci è stato permesso di contattarli solo 20-30 giorni fa. A Lesbo abbiamo avuto problemi con gli interpreti, non abbiamo potuto chiedere asilo. Non c’erano interpreti per l’urdu, così non abbiamo potuto farci capire. Qui, abbiamo provato a chiedere asilo. Ci hanno fornito un afghano che faceva da interprete per l’urdu, ma una persona che lavora al centro ci ha detto ‘anche se starete qui per sei mesi, alla fine verrete di certo rispediti in Pakistan’.”

Interrogate sulla possibilità di richiedere asilo in Turchia, le autorità turche hanno spiegato che “tutti coloro che sono stati rimandati in Turchia hanno avuto la possibilità di chiedere asilo in Grecia”. Basandosi su questa affermazione, hanno detto alla delegazione che il loro scopo è di “assicurare l’espulsione di tutti coloro che vengono mandati indietro dalla Grecia, se possibile il 100%. Questo è lo spirito dell’accordo di riammissione.

Non hanno bisogno di protezione internazionale”, ha insistito il rappresentante del Direttorato Generale Turco per la Gestione dei Migranti (DGMM). Quando la nostra delegazione gli ha chiesto dei casi di persone mandate indietro perché le loro richieste di asilo sono state giudicate inammissibili, il rappresentante del DGMM ha risposto che le autorità turche non hanno informazioni su chi di loro è stato mandato indietro, né sul motivo dell’inammissibilità: “Posso affermare che non riceviamo indicazioni di questo tipo”.

Nel centro di Kırklareli, dei 370 casi di persone mandate indietro dalla Grecia, 8 sono stati giudicati bisognosi di protezione internazionale, incluso quello di una persona iraniana transgender. Tuttavia, con l’eccezione di questi 8 casi in cui l’identificazione è stata effettuata dal personale del centro, non risultava che qualcuno avesse fatto richiesta di asilo di propria iniziativa.

L’accesso ad un avvocato, nonostante sia ufficialmente possibile secondo le autorità turche, in pratica è quasi impossibile. A Kırklareli, sono stati riportati soltanto 3 casi di appello giudiziario, tra le 416 persone che erano state indirizzate all’associazione provinciale degli avvocati per fare appello riguardo ai loro ordini di espulsione. In ogni caso, gli avvocati non hanno accesso ai centri di espulsione, quindi i trattenuti ad oggi vengono indirizzati a degli avvocati soltanto se gli uffici del centro fanno da tramite.

Dopo la prima deportazione dalle isole greche, le autorità turche hanno riferito il caso di una organizzazione non governativa arrivata a Kırklareli con un elenco di 50 nomi di persone trattenute nel centro. Ai rappresentanti della organizzazione non governativa è stato negato l’accesso, poiché le loro richieste non soddisfacevano i requisiti, ossia l’effettiva necessità per una persona trattenuta o un suo familiare stretto di avere contatti con un avvocato. Questa clausola rende praticamente impossibile per qualsiasi avvocato od organizzazione non governativa fornire assistenza legale alle persone in detenzione.

2. I rifugiati vengono detenuti in un regime simile a quello carcerario, compresi i bambini

Al momento, la Turchia possiede 18 centri di espulsione con una capienza totale di 6.000 persone. Molti di questi erano stati originariamente progettati come centri di accoglienza, e sono stati trasformati in centri di detenzione alla fine dell’anno scorso. La delegazione ha ricevuto delle presentazioni dagli organi responsabili di entrambi i centri e da un rappresentante del Direttorato Generale per la Gestione dei Migranti (DGMM) riguardanti la struttura legislativa e i diritti dei trattenuti nei centri di espulsione turchi. Tuttavia, le interviste condotte dalla delegazione con le donne, gli uomini e i bambini trattenuti sono in evidente contrasto con le presentazioni ufficiali.

schermata_del_2016-05-14_13_56_25.jpg

L’accesso ad interpreti o ad informazioni nella propria lingua sembra mancare. Al centro di Edirne, il materiale cartaceo fornito ai trattenuti al loro arrivo era disponibile solo in turco. La delegazione ha anche osservato che c’era solo un interprete per l’arabo, e nessun’altra lingua disponibile al momento della visita. A Kırklareli, al momento della nostra visita non c’erano interpreti.

Al loro arrivo, a tutti i rifugiati, non importa se arrestati prima di passare il confine o rimandati indietro, viene confiscato il cellulare. Ci hanno riferito che non era possibile comunicare con il mondo esterno, o che era possibile solo una volta ogni due mesi, e non tramite i loro cellulari ma tramite un telefono pubblico.

A Edirne, la delegazione ha visto di persona camere sovraffollate, ad esempio 20 persone in una camera con 12 letti. La delegazione ha lasciato il centro circondata da marocchini che gridavano in arabo “Non abbiamo diritti qui”.

In tutti e due i centri, i membri del Parlamento Europeo hanno incontrato donne sole con bambini provenienti dall’Afghanistan, i cui mariti vivono già in uno Stato membro dell’UE. Le autorità turche hanno riferito che un numero significativo di donne sole con bambini vengono arrestate al confine e poi, se non sono siriane, trasferite nei centri di espulsione. “Questo indica che i canali di ricongiungimento famigliare non funzionano”, le autorità hanno spiegato alla delegazione, “e invece di aspettare diversi anni, si tenta di attraversare il confine.

In entrambi i centri, la delegazione ha identificato minori non accompagnati che non sono stati identificati come tali, e sono stati messi nelle stesse camere degli uomini adulti.

In entrambi i centri, le persone, famiglie comprese, vengono chiuse nelle loro stanze. La durata massima delle “attività sociali” riferita è di tre ore al giorno, tre volte al giorno, e quella minima di 15 minuti al giorno.

In termini di accesso alle cure e di condizioni sanitarie, alcuni hanno riferito ritardi nell’accesso ai servizi sanitari del centro. Una persona che sanguinava dalla bocca ha dovuto aspettare 4-5 giorni per vedere un medico. In un centro è stato riferito che c’erano insetti nel cibo, e che a seguito delle lamentele, un membro del personale ha risposto ad un gruppo di trattenuti: “Non pagate, quindi cosa vi aspettate?”. Riguardo alla salute mentale dei migranti, alcuni hanno riferito che la maggior parte delle persone è disturbata, affetta da stress e ansia, e soffre di disturbi alimentari.

Il rappresentante del DGMM ha informato la delegazione che lo scorso venerdì è stato firmato un protocollo in base al quale la Mezzaluna Rossa lavorerà sia nei centri turchi di accoglienza che in quelli di detenzione. La loro presenza nei centri di detenzione, oltre ai servizi erogati (come il supporto psicosociale), ha lo scopo di “monitorare la detenzione in modo imparziale, in qualità di agenzia semi-governativa”.

3. Respingimenti documentati in Turchia da parte della polizia greca e bulgara

La delegazione ha incontrato anche una donna afghana con due bambini, il cui marito ha ottenuto lo status di rifugiato in Germania, che ha riferito di essere stata vittima di ‘respingimenti’ due giorni prima della nostra visita: “La polizia greca ha preso tutto il mio denaro e poi mi ha respinta in Turchia”.

Tali pratiche di respingimento sono state segnalate anche dalla gestione del centro di Edirne: “Stiamo osservando respingimenti sia sul confine greco che su quello bulgaro. Tre mesi fa, abbiamo presentato un video con immagini di persone in uniformi greche, che mettevano un gruppo di migranti su una barca nella regione di confine per rimandarli dal lato turco.” La direzione del centro ha detto che questo caso è stato riferito alla polizia greca, ma che i respingimenti non sono cessati da allora, anzi sono aumentati. Tuttavia, hanno evidenziato che non si tratta di un approccio sistematico. “Abbiamo anche prove di respingimenti dalla Bulgaria. Siamo molto preoccupati anche per la loro pratica di usare i cani per attaccare e respingere i rifugiati”, ha aggiunto il direttore del centro di Edirne. “Abbiamo avuto casi di persone respinte con ferite gravi, e anche testimonianze di persone uccise dall’attacco dei cani”. La Turchia ha in realtà dato inizio ad un’azione legale contro la Bulgaria riguardo a questa faccenda.

4. I rifugiati hanno fornito testimonianze spaventose conseguentemente alla chiusura del confine turco-siriano.

Organizzazioni non governative hanno riferito che il confine con la Siria è chiuso ormai da un anno. Il risultato di questa situazione sono migliaia di rifugiati bloccati dall’altro lato del confine. La situazione è peggiorata nelle ultime settimane, con gli attacchi ad Aleppo e ad alcuni campi profughi vicini al confine turco. L’UNHCR, insieme ad altre organizzazioni come Human Rights Watch e Amnesty International, ha più volte sollecitato le autorità turche ad aprire il confine, promettendo il proprio supporto.

La delegazione si è recata a Kilis, una città al confine con la Siria che da gennaio in poi è stata colpita da più di 70 missili partiti da oltre il confine, con almeno 21 vittime. A Kilis, si stima che la popolazione di rifugiati sia di circa 120.000 persone (in confronto alle 80.000 di nazionalità turca). Durante il soggiorno a Kilis, la delegazione ha potuto sentire i bombardamenti che avvenivano in Siria in sottofondo durante le conversazioni con i rifugiati.

Abbiamo anche visitato l’area di apertura del confine di Bab al-Salam, verificando che è completamente chiusa, così come l’ingresso del campo di Oncupinar. Abbiamo visto che il campo non rispetta le regole dell’UNHCR sulla distanza dei campi dai confini, e che opera in posizione completamente parallela rispetto al confine turco-siriano (l’UNHCR ha confermato, quando ci siamo incontrati a Gaziantep, che secondo i suoi criteri i campi devono trovarsi almeno a 50 km dai confini).

L’Autorità Turca per la Gestione dei Disastri e delle Emergenze (AFAD) di recente ha distribuito a Kilis dei volantini che spiegano “come proteggersi dai missili”. Tuttavia, non è stato riferito che questi volantini siano stati distribuiti anche nei campi profughi. E’ fondamentale rimarcare che i rifugiati di Kilis, a differenza dei cittadini turchi, devono chiedere un’autorizzazione per potersi spostare in un’altra provincia, il che è possibile solo per motivi medici o di ricongiungimento familiare. Questo vuol dire che la maggior parte dei rifugiati di Kilis non ha altra scelta se non di essere esposta ai razzi e rischiare di essere uccisa (vd. sotto, il volantino distribuito dall’AFAD a Kilis).

schermata_del_2016-05-14_13_58_59.jpg

Testimonianze dei rifugiati:

Mi sento abbandonato dall’UE e dalla comunità internazionale, che non hanno preso alcun provvedimento per proteggere me e la mia gente. Ho molte preoccupazioni riguardo la nuova generazione, che viene cresciuta senza un’educazione e in estrema povertà. Credo che l’UE dovrebbe finanziare scuole e progetti che incoraggino la crescita economica in Siria. Vivevo in una piccola città a nord di Aleppo, e ho deciso di attraversare il confine dopo che sono iniziati i bombardamenti russi, due mesi fa. Ho attraversato il confine illegalmente con un trafficante, eravamo in nove e abbiamo pagato in totale 10.000 lire turche. Dopo aver camminato per 3 km attraverso degli uliveti, abbiamo attraversato il fosso e siamo passati attraverso un buco nella recinzione (che ora non c’è più). Siamo riusciti a passare inosservati perché i gendarmi turchi stavano sparando ad un altro gruppo che cercava di passare nello stesso momento. Abbiamo deciso di fermarci a Kilis perché era sicura, ma ora i missili dell’ISIS hanno cominciato a cadere, non sappiamo dove andare, ma non mi interessa andare in Europa. Voglio restare il più vicino possibile alla Siria. Sono disoccupato, faccio lavoretti saltuari, perlopiù come carpentiere e sempre all’interno della comunità siriana. Ricevo anche un aiuto dal Consiglio Danese per i Rifugiati: 230 lire turche al mese.”

– Ahmed, siriano

Vengo da Tel Rafat, a 30 km dal confine, che è stata attaccata da diverse delle parti in conflitto e bombardata per via aerea. Dopo tutto questo, sono partito un mese fa. Ho perso due fratelli e due nipoti. Sono scappato con altre nove famiglie, ci siamo raggruppati vicino al confine e abbiamo dormito nel camion che avevamo. Dopo 10 giorni l’organizzazione turca IHH ci ha dato una grande tenda. L’area poi è stata attacccata dall’ISIS, così ci siamo spostati in un campo in Siria, vicino all’apertura di Bab al-Salam. Ci hanno dato un po’ di cibo, ma niente acqua. Mia moglie era incinta, e mio figlio Muhammad è nato domenica 1 maggio con gravi problemi di salute e malformazioni. Per questo motivo, gli è stato permesso di passare il confine con un solo accompagnatore. Dato che mia moglie non si sentiva ancora bene dopo il parto e doveva badare agli altri nostri cinque figli, lo stesso giorno ho attraversato io il confine col bimbo. Il bimbo ha subìto un intervento a Gaziantep ed ora è in convalescenza, sta meglio ma non lo faranno uscire finché non peserà tre chili. Mentre lo operavano, ho dormito in ospedale per due notti, ma poi sono andato a Kilis a riposare a casa di mio cugino per un giorno. Ho già chiesto i documenti turchi, ma le autorità finora non mi hanno dato nulla. Sono ancora in contatto con la mia famiglia in Siria. Mia moglie sta già meglio, ma sono molto preoccupato per la nostra situazione, con l’ISIS che sta avanzando verso il campo in cui viviamo, e per la mancanza di denaro, e anche per la cecità di una delle mie figlie. Il mio piano è di restare a Kilis con il bambino e cercare di farli entrare in Turchia.

– Mustapha, siriano

Ho quindici anni, sono arrivato a Kilis un mese fa. Mi stavo avvicinando al confine con mio cugino undicenne, quando la gendarmeria turca mi ha sparato mentre ero a circa cinquecento metri dal confine, e il proiettile ha attraversato tutte e due le cosce – solo muscoli, niente ossa. Sono rimasto fermo finché i gendarmi non se ne sono andati, poi sono riuscito a passare il confine con l’aiuto di mio cugino, che ora è tornato in Siria per aiutare le sue due sorelle a passare. Ora sono in Turchia e vivo con mia madre, i miei tre fratelli e le loro mogli, che sono arrivati prima di me. Mio padre è stato ucciso in guerra due anni fa. Tutta la mia famiglia al momento è disoccupata, e io vorrei spostarmi a Gaziantep perché lì ci sono migliori prospettive lavorative. Ho lasciato la scuola in quinta, a dieci anni, perché la mia scuola è stata bombardata. Vivevo ad Aleppo, ma dopo il bombardamento la mia famiglia ha lasciato la città e si è trasferita in campagna, dove era più tranquillo, finchè non è arrivato l’ISIS. Allora ci siamo spostati nei campi di Bab al-Sham. E’ la mia seconda volta in Turchia, sono arrivato da solo un anno fa, ma ho avuto una bruttissima esperienza di sfruttamento sul lavoro e ho deciso di tornare ai campi in Siria. Ho passato il confine per la seconda volta perché ora tutta la mia famiglia è qui. Dato che ho perso i documenti turchi che avevo un anno fa, ora non posso averne altri.

– Hussein, siriano

Commenti degni di nota da parte dei membri del Parlamento Europeo dopo la loro visita

Sono particolarmente preoccupato riguardo la situazione dei diritti fondamentali e l’accesso alla giustizia dei rifugiati che sono stati riammessi in Turchia dalla Grecia secondo l’accordo UE-Turchia.”

Contrariamente alle disposizioni della Convenzione Europea sui Diritti Umani, che la Turchia ha ratificato, e contrariamente alla legge turca, le persone trattenute nei centri che abbiamo visitato non avevano ricevuto informazioni sullo scopo e sulla durata della loro detenzione, sul loro diritto di richiedere protezione internazionale o di contestare la detenzione in tribunale. In effetti, i trattenuti non sapevano nemmeno come contattare un avvocato.”

Deportare rifugiati in un luogo dove devono affrontare condizioni tali è una disgrazia. Non riesco a capire come un accordo come quello tra UE e Turchia, che si basa sulle deportazioni, possa essere legittimo o legale in alcun modo.

Cornelia Ernst, Membro del Parlamento Europeo, Die Linke, Germania.

La Turchia è stata assoldata come un’agenzia di deportazione per mettere in pratica le politiche migratorie progettate a Bruxelles. Abbiamo visto ora come queste politiche imposte dall’Unione Europea abbiano conseguenze terribili sulle vite di migliaia di persone, e come il loro scopo primario sia quello di rimandarle nelle zone da cui sono scappate, anche se affronteranno pericoli estremi in Paesi come l’Afghanistan o lo Yemen. Chiunque non sia siriano o iracheno viene subito mandato indietro senza curarsi della sua situazione, violando chiaramente i principi espressi nella Convenzione di Ginevra.

Durante questa visita abbiamo potuto vedere direttamente che la Turchia non è un Paese sicuro e il solo interesse dell’UE nel vederla come tale è avere un corpo di polizia esterno. A Kilis, abbiamo sentito testimonianze sulla polizia di frontiera turca che ha sparato ad alcuni rifugiati, e abbiamo potuto constatare che i campi non rispettano i regolamenti internazionali e sono in funzione vicino al confine, da cui l’ISIS lancia razzi quotidianamente. Le persone detenute non vengono informate sui loro diritti, e i rifugiati a cui è permesso restare in Turchia non hanno accesso alla sanità e ad altri servizi pubblici a cui avrebbero diritto.

Marina Albiol, Membro del Parlamento Europeo, Izquierda Unida, Spagna

E’ assolutamente inaccettabile che famiglie con bambini siano imprigionate nei centri di detenzione in Turchia. E questo sta accadendo grazie ai fondi europei. Una donna afghana imprigionata con suo marito e le sue due figlie ci ha detto dalla sua cella: ‘Voglio solo salvare il futuro delle mie bambine, nient’altro’. Tuttavia, invece che offrire loro delle opportunità, l’UE sta pagando la Turchia per negarle.”

Un milione di bambini rifugiati in Turchia è in età scolare. Tuttavia, solo il 13% può andare a scuola. Stiamo lasciando una generazione intera senza futuro e gli stati membri dell’UE sono direttamente responsabili per questo crimine.”

Josu Juaristi, Membro del Parlamento Europeo, EH Bildu, paesi Baschi

Nota sui centri di espulsione:

Si può essere inseriti in un centro di espulsione come risultato di tre processi differenti:

– 1. Arresto al confine tra Bulgaria e Grecia (se si viene localizzati dalle autorità greche o bulgare, si viene respinti o si viene localizzati dalle autorità turche durante le “operazioni”);
– 2. Riammissione bilaterale dalla Grecia secondo l’accordo di riammissione Grecia-Turchia (alla linea di confine attraverso l’apertura di Ipsala) se si è ricevuto un ordine di ritorno;
– 3. Riammissione secondo l’ “accordo del 18 marzo” che dichiara: “qualsiasi migrante arrivato sulle isole greche sarà rimandato indietro”, come ci è stato spiegato dal direttore del centro di Edirne, “il DGMM ha il suo personale sulle isole per processare i casi congiuntamente”. La Turchia può rifiutare i trasferimenti se ha “preoccupazioni per l’ordine pubblico”, come nel caso di un pakistano il cui trasferimento è stato rifiutato. Arrivati in Turchia su un traghetto, le persone rispedite indietro vengono identificate, viene effettuato un controllo medico e vengono trasferite in un centro di espulsione. Una volta lì, il personale prende le impronte digitali, fa una foto biometrica, un colloquio e poi inizia le procedure di deportazione.

Dall’entrata in vigore dell’accordo UE-Turchia, le autorità turche hanno osservato un cambiamento nel comportamento dei Consolati dei Paesi di origine dei rifugiati. Mentre prima i documenti necessari per il rimpatrio potevano essere ottenuti in due o tre giorni, la risposta ora è che ora è necessario riferire il caso al Paese di origine ed esaminarlo, il che “sta rallentando il processo”.

Dal 1 giugno 2016, inizieranno i rimpatri in Turchia secondo l’accordo di riammissione UE-Turchia; i migranti rimpatriati dai vari Stati membri saranno ricevuti all’aeroporto Ataturk di Istanbul.

Contatti per la stampa:

Nikki Sullings +32 22 83 27 60 / +32 483 03 55 75
Gay Kavanagh +32 473 84 23 20
Sinistra Unita Europea / Sinistra Verde Nordica (GUE/NGL)
www.guengl.eu