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Rubrica: Un mondo, molti mondi

Regno Unito - I 15 di Stansted: “Non siamo terroristi, non c’erano vite in pericolo e non abbiamo rimpianti”

Nosheen Iqbal, The Guardian - 16 dicembre 2018

- Link all’articolo originale (ENG)

Due dei manifestanti condannati per aver impedito il volo di deportazione raccontano il loro shock alla lettura del verdetto.

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Traduzione a cura di: Francesca Castelli

Lo scorso anno, nella mite notte di martedì 28 marzo, un minibus con 15 manifestanti è avanzato oltre il perimetro dell’aeroporto di Stansted, lontano dal terminal dei passeggeri e verso il terminal cargo. Mossi dall’adrenalina, hanno preso dei taglia bulloni per creare un buco attraverso la recinzione di filo spinato e si sono sparpagliati nel piazzale. In otto minuti, le loro vite sono cambiate per sempre.

Quella notte poi si sono chiusi sul Boeing 767 della Titan Airways che era stato noleggiato segretamente dal Ministero degli Affari Interni. La scorsa settimana, 623 giorni dopo, i 15 di Stansted sono stati condannati per terrorismo dalla corte penale di Chelmsford.

Il gruppo, formato da nove donne e sei uomini, stava protestando per fermare l’espulsione di 60 migranti verso Ghana, Nigeria e Sierra Leone. Inizialmente erano stati accusati dalla polizia di violazione di proprietà aggravata, un reato per il quale è prevista una pena detentiva di massimo tre mesi.

Il procuratore Jeremy Wright, però, ha consentito che il gruppo venisse giudicato in base alla Legge sulla sicurezza aerea e marittima del 1990, varata in seguito all’attentato di Lockerbie nel 1988. A febbraio dovranno presentarsi al processo per aver messo in pericolo la sicurezza dell’aeroporto, un reato che prevede l’ergastolo come massima pena.

“Sono ormai senza parole,” afferma May MacKeith, 33 anni, che ha trascorso 10 ore nella zona di carico con gli altri imputati. “Sono sconcertata dal fatto che la giuria, sapendo tutto quello abbiamo fatto, le motivazioni e ciò che è avvenuto, ci trovi ancora colpevoli”.

“E’ stata una grande prova di resistenza,” dichiara Jyotsna Ram. “Tutto questo pesa sulla nostra salute fisica e psicologica. Non c’è nessuna vittoria personale per noi”.

Undici dei sessanta passeggeri che stavano per essere espulsi con quel volo, adesso vivono legalmente nel Regno Unito; questo rappresenta una vittoria per i 15 di Stansted.

“La metà delle decisioni riguardo l’immigrazione dell’Ufficio degli Affari Interni torna in appello,” afferma Mackeith, “ma il governo nega questo diritto; non si può ricorrere in appello, se si è già stati espulsi”.

“Nessuna vita è stata messa in pericolo”, ha detto Ram. “Siamo rimasti lì per 10 ore e niente creava un pericolo per cose o persone. La polizia e lo staff scherzavano, ridevamo insieme, hanno solo tolto la gomma a un nostro compagno perché si era attaccata ai capelli di una di loro; ci stavano aiutando. C’era un clima sereno e nessuno dei presenti ci ha detto che stavamo mettendo le persone a rischio o che quello che facevamo rappresentasse un pericolo.”

Amnesty International ha definito la sentenza della settimana scorsa come “un duro colpo per i diritti umani nel Regno Unito”. L’attenzione si è spostata sul giudice, Christopher Morgan, che, discutendo con la giuria, ha detto di non tener conto della difesa portata dagli imputati, secondo la quale hanno agito in difesa dei diritti umani. Ha invece consigliato di prendere in esame solo l’esistenza o meno di un rischio reale e materiale per l’aeroporto.

“Non credo che la giuria si sia sentita libera quando questa autorità ha presentato il caso in questo modo. Il giudice ha utilizzato l’espressione “pericoloso per natura” in relazione a quello che abbiamo fatto”, ha affermato Mackeith. Ram ha aggiunto che in realtà è stata la decisione del procuratore a rappresentare un colpo senza precedenti.

“Abbiamo fatto richiesta attraverso il Pubblico Ministero, i tribunali, i membri del Parlamento e Amnesty International, che ha scritto per chiedere al procuratore le sue considerazioni sul caso e le motivazioni dell’aumento dell’accusa". Nessuna donna si è pentita di ciò che è successo. I 15 manifestanti sono stati ospitati dalle famiglie del luogo per tutto il periodo del processo e sono stati aiutati da Quakers (La Società degli Amici), senza la quale “sarebbe stato impossibile” anche presentarsi in tribunale ogni giorno.

Le relazioni sono state messe a dura prova, e i genitori e le persone care hanno sofferto. Una donna del gruppo è incinta di otto mesi, altri invece hanno perso il lavoro.

MacKeith è dispiaciuta per l’impatto che la questione ha avuto anche su sua madre, che era in tribunale quasi ogni giorno. “Questa cosa l’ha spiazzata e sono molto triste per averla coinvolta”.

MacKeith ha lavorato per molto tempo nelle organizzazioni che si occupano di cambiamento climatico. E’ cresciuta vicino Oxford e nel corso della sua infanzia ha partecipato alle manifestazioni settimanali nel carcere per immigrati con suo padre, un responsabile universitario.

I manifestanti hanno fermato un volo dell’Ufficio degli Affari interni. Foto: Kristian Buus/ In Pictures via Getty Images

Ram, 33 anni, è arrivata nel Regno Unito dall’India attraverso un collegio statunitense come studentessa in corso alla Oxford Brookes. Ha poi proseguito gli studi alla Scuola di Architettura Bartlett all’University College di Londra; ha un dottorato in design sostenibile e urban planning. “Ho ancora paura per la mia cittadinanza”, afferma, “ci è voluto molto tempo ed è stato difficile. Ho alcuni amici bianchi che non sono nati qui, per cui il processo è stato molto più facile”.

MacKeith parla di “ambiente ostile”, dominato dalle divisioni e apertamente razzista, così come era già stato descritto da Theresa May quando era Segretaria degli Affari interni nel 2012. “Questa tendenza negativa va avanti da molto tempo”, conferma Ram. “I voli di espulsione sono stati introdotti con il New Labour, ma adesso sembra che chiunque sia di colore vada espulso”. MacKieth e Ram si sono conosciute attraverso amici in comune un paio di anni fa. Ogni giovedì si tenevano gli incontri tra i membri del gruppo, tutti di età tra 27 e 44 anni, che vivono a Londra o Brighton. Si discuteva delle problematiche sociali e su come affrontarle, ma le due non si definiscono come delle "attiviste di professione”.
“Chi è un attivista di professione?”, chiede MacKeith, “se fossimo professioniste, verremmo pagate. Non mi piace questa espressione, perché è usata con intento irrisorio”.

Ram conferma: “Non ho mai fatto qualcosa di simile. Ho trovato una comunità attenta e amici all’interno del gruppo realmente impegnati nel sociale con diverse battaglie”. Ram crede che ciò che ha reso questa azione forte e efficace sia stato il fatto che non riguarda la classe media o i bianchi, ma persone di ogni provenienza, sesso, genere e razza”.

Martedì della scorsa settimana è stata organizzata una protesta contro la pena ai 15 di Stansted fuori dall’Ufficio degli Affari Interni. Più di 1.300 persone hanno partecipato per ascoltare i membri del Parlamento Diane Abbott e Clive Lewis, insieme al gruppo di attivisti di Lesbian and Gays Support the Migrants.

Nel frattempo, MacKeith e Ram rimangono ottimiste sul ricorso in appello l’anno prossimo. E nonostante siano state accusate, non vogliono essere descritte come delle martiri di questa causa.

“Ci sono persone in carcere”, afferma MacKeith, “non sanno neppure quando verranno liberate; noi non siamo in carcere”.

Vedi anche

  • Piloti Volontari: «Nell’indifferenza più totale» (II parte)
  • Rotte di migranti nel Canale della Manica: chi e perché arriva?
  • Appello: solidarietà ai 15 di Stansted. Basta con i voli della deportazione!
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  • I 15 di Stansted: nessuna condanna per gli attivisti denunciati per attacchi pseudo-terroristici
  • Rapporto sulla criminalizzazione della solidarietà: nel 2018 sono 104 le persone colpite per aver aiutato i migranti
[ 3 gennaio 2019 ]
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Jyotsna Ram e May Mackeith sono state processate in base alle leggi antiterrorismo (Photo credit: Sonja Horsman per l’Observer)

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