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Regolarizzazione – Commento alla circolare del Ministero dell’Interno del 5 dicembre 2002

Ammissibilità della domanda in caso di condanna per reati del datore di lavoro

Si tratta della Circolare del Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno del 5 dicembre 2002, N. 300/C/2002/2687/P/12.222.8/3ˆDIV.
Come succede troppo spesso, solo ora la circolare in oggetto è stata resa nota, non dal Ministero, bensì grazie al network di persone che si occupano via rete del tema. La circolare è volta a fornire chiarimenti alle questure relativamente alla procedura di emersione e legalizzazione di lavoratori stranieri irregolari.

Il tema è molto importante perché tratta della eventuale ammissibilità della regolarizzazione, anche quando il datore di lavoro risulta denunciato o condannato per determinati reati.

Si evidenzia che l’art. 31, comma 3, del Regolamento di attuazione del Testo Unico sull’immigrazione (DPR 394/1999) prevede in via generale che il nulla osta per l’assunzione dall’estero può essere rifiutato qualora il datore di lavoro risulti denunciato per uno dei reati previsti dagli articoli 380 e 381 del c.p.p , o per uno dei reati previsti dal T.U., come, per esempio, il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare o l’utilizzo di lavoratori che non sono in possesso del pds.
Ne consegue che, in base a tale disposizione generale, il datore di lavoro, denunciato per uno dei sopra menzionati reati, che chiede il nulla osta in base alla procedura del decreto flussi, può non ottenere l’ autorizzazione.
E’ evidente che in base ad una interpretazione letterale della norma stessa (ove si dice che può essere rifiutato e non deve), viene attribuito alle questure un potere discrezionale, e che non vi è, pertanto, alcun automatismo nel diniego di nulla osta.

Tale norma doveva trovare necessariamente applicazione anche nell’ambito della procedura di regolarizzazione ed, effettivamente, le verifiche operate presso il centro elaborazione dati della Polizia di Stato di Napoli, concernenti i precedenti penali dei soggetti interessati alla regolarizzazione, non hanno riguardato solo gli immigrati ma anche i loro datori di lavoro. Si precisa che in molti casi si è verificato che il lavoratore era “pulito” a differenza del datore di lavoro denunciato, ad esempio, per reati in materia di immigrazione.
Si poneva di conseguenza la questione se tali domande dovessero o meno essere respinte, ovviamente penalizzando totalmente il lavoratore interessato. E’ agevolmente intuibile che nel momento in cui un lavoratore trova un datore di lavoro non ha né la possibilità, nè il potere contrattuale di chiedergli un certificato penale e che non è colpa sua se il datore di lavoro ha dei precedenti penali, che, anche se di lieve entità, rientrano nelle ipotesi previste dalla norma analizzata.

Con la circolare in oggetto, si stabilisce che l’eventuale sussistenza delle condizioni ostative di cui all’art. 31, comma 3 del D.P.R. 394 del 1999 in capo al datore di lavoro, non impongono, tout court, il diniego al rilascio del nulla osta. Esse costituiscono, conformemente al citato dettato normativo, soltanto elemento di valutazione discrezionale da parte delle SS.LL. che nel caso specifico, dovranno orientarsi secondo lo spirito del provvedimento di emersione diretto, come è noto, a regolarizzare il maggior numero di rapporti di lavoro di fatto preesistenti. Il lavoratore, quindi, può ottenere ugualmente il pds, ma con una particolarità. Presso molte prefetture, infatti, la circolare è stata applicata ritenendo che si possa in questi casi regolarizzare il lavoratore, ma non perfezionare il contratto di soggiorno con quel datore di lavoro che ha riportato condanne, con conseguente rilascio di un pds per attesa occupazione della validità di sei mesi (previsto dall’art. 22, comma 11, T.U. sull’Immigrazione). Da ciò discende che il rapporto di lavoro in corso con il datore di lavoro condannato, dovrebbe cessare per mancanza di requisiti.
La prassi delle Prefetture appare molto discutibile anche perché sappiamo benissimo che il lavoratore in possesso di pds per sei mesi può, già dal giorno dopo, essere assunto da un qualsiasi datore di lavoro senza dover passare nuovamente attraverso la prefettura per la stipula di un contratto di soggiorno.
La situazione cambierà nel momento in cui entrerà in vigore il nuovo Regolamento di attuazione, ma per il momento il lavoratore con un pds di sei mesi può instaurare un qualsiasi nuovo rapporto di lavoro, sia nel settore in cui operava prima, sia in settori completamente diversi e il datore di lavoro ha semplicemente l’onere di comunicare l’avvenuta assunzione all’Ufficio del lavoro e alla questura competenti.
Se questo è vero lo stesso lavoratore che fino ad oggi ha lavorato per la ditta che ha presentato la domanda e che oggi riceve un pds per sei mesi senza poter perfezionare il contratto di soggiorno, in teoria domani potrebbe essere riassunto dallo stesso datore di lavoro nonostante i suoi precedenti penali. Ciò perché l’impedimento previsto dall’art. 31 r.a., riguarda – ed era stato concepito – le assunzioni dall’estero, ma nel caso di persone che sono già regolarmente presenti in Italia, tale impedimento non implica nessun problema perché un datore di lavoro condannato può assumere quando vuole una persona in possesso di un regolare pds. Anche – aggiungiamo – lo stesso datore di lavoro che aveva presentato la domanda di regolarizzazione e che, secondo le prefetture, non ha potuto perfezionare il contratto di soggiorno.

Si tratta almeno di una buona notizia per i lavoratori immigrati.

Molti di questi casi sono relativi alle domande esaminate per ultime dalle prefetture e non possiamo che confidare che si proceda al rilascio del pds per attesa occupazione, consentendo ai lavoratori di vivere quanto meno una vita normale anche se la loro situazione non si può parificare a quella di tutti gli altri lavoratori.