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Regolarizzazione: la situazione di chi in passato ha avuto un’espulsione amministrativa sotto altro nome

Sono molti gli immigrati in fase di sanatoria interessati a questo tema, è infatti sin troppo facile prevedere che una buona parte dei soggetti richiedenti la regolarizzazione sia interessata a questo problema. In prima battuta, nel corso della procedura prevista dalla legge per la regolarizzazione, la circostanza suddetta non può essere verificata e normalmente non c’è modo di stabilire se la persona che ha ricevuto l’espulsione sotto falso nome è la medesima persona che, col proprio vero nome, ha presentato la domanda di regolarizzazione. La scoperta di tale circostanza sarà possibile solo dopo che sarà stato rilasciato il pds, in occasione del suo rinnovo.

Infatti, la rilevazione delle impronte digitali di tutti gli stranieri soggiornanti in Italia al momento della richiesta del permesso di soggiorno (introdotta dall’art.5, comma 1, lett. b della legge Bossi Fini – L. 30 luglio 2002, n. 189), ora espressamente prevista dall’art. 5, comma 2 bis del Testo Unico di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, per chi è in fase di sanatoria è stata rinviata al rinnovo del primo permesso di soggiorno.

Infatti il D.L. 195/2002 (Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari), convertito dalla L. 222/2002, all’art. 2, comma 3, dispone che “In deroga a quanto previsto dall’art. 5, comma 2 bis, del Testo Unico … i lavoratori extracomunitari che stipulano il contratto di soggiorno per lavoro subordinato ai sensi dell’art. 1, comma 5 del presente decreto, ovvero altro contratto di lavoro, sono sottoposti a rilievi fotodattiloscopici entro un anno dalla data di rilascio del permesso di soggiorno e, comunque in sede di rinnovo dello stesso”. Sarà, quindi, proprio in tale occasione che emergerà, a seguito del confronto delle impronte digitali, l’esistenza a carico del soggetto stesso di eventuali provvedimenti di espulsione, emessi nei suoi confronti sotto altro nome.

Cosa succederà in questo caso? Si corre il rischio di essere espulsi?

Non ci sono risposte certe. Il Ministero dell’Interno non ha emanato ancora nessuna circolare al riguardo, nè troviamo una soluzione certa nella formulazione nel sopra citato decreto legge n. 195/2002 (così come convertito nella legge n. 222/2002) recante disposizioni in materia di regolarizzazione.

Dobbiamo, quindi, rispondere a questa domanda azzardando delle soluzioni interpretative, come tali, naturalmente, prive di certezza e di garanzia.

Se un cittadino immigrato ha subito un’espulsione sotto falso nome, quali sono i motivi che potrebbero giustificare il suo timore, in occasione del rinnovo del pds, dell’esecuzione del provvedimento stesso?

I “motivi” sono generati dalla formulazione della normativa suddetta in materia di regolarizzazione che cerchiamo ora di interpretare.

La norma prevede che la semplice esistenza di uno o più provvedimenti di espulsione amministrativa, non comporta di per sé l’esclusione dalla procedura di regolarizzazione. Anzi l’art. 2, comma 2, del D.L. n. 195/2002 (convertito dalla L. n.222/2002), dispone espressamente l’ inefficacia di questi provvedimenti ovvero che “il rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 1, comma 5, comporta la contestuale revoca degli eventuali provvedimenti di espulsione già adottati nei confronti dello straniero che ha stipulato il contratto di soggiorno”; ciò in base alla sola circostanza che è stata considerata ammissibile la domanda di regolarizzazione presentata dallo stesso.
In linea teorica, non dovrebbero a questo punto esserci conseguenze diverse nel caso di una espulsione amministrativa emessa sotto falso nome, perché l’identità fisica del soggetto consente di verificare che c’è stata effettivamente una espulsione, ma che sussistevano le condizioni che hanno consentito l’accoglimento della domanda di regolarizzazione ed il conseguente rilascio del permesso di soggiorno.

Semmai il problema è costituito dal fatto che la persona colpita da espulsione sotto altro nome, ha dichiarato false generalità commettendo, quindi, un reato (art. 496 c.p.). Di conseguenza il timore è che si possa prendere in considerazione l’ipotesi ostativa (prevista dall’art.1, comma 8, lett. a) del D.L. n. 195/2002, convertito dalla L. n. 222/2002) di coesistenza di un provvedimento di espulsione con la denuncia per un qualsiasi delitto non colposo, anche di lievissima entità, perchè in questo caso si esclude espressamente la possibilità di procedere alla regolarizzazione. Si evidenzia però che, per come è stata formulata, la disciplina suddetta si riferisce a chi ha subito un provvedimento di espulsione ed è stato anche denunciato per un qualsiasi reato.

Riassumendo, la denuncia o pendenza di un procedimento penale o una condanna per un qualsiasi reato (anche di lieve entità) se coesistente con l’espulsione esclude la possibilità di regolarizzazione.
Dovrebbe però essere considerato diversamente il caso delle persone colpite da espulsione sotto falso nome, ma che non sono ancora state denunciate per il reato di false generalità, perché questa situazione non dovrebbe escludere dalla regolarizzazione.

Infatti, la normativa in materia di regolarizzazione non chiede agli stranieri di autodenunciarsi per i reati (lievi o gravi) commessi in Italia e non potrebbe essere altrimenti. Inoltre, bisogna considerare che si tratta di una norma eccezionale e, in particolare, le ipotesi previste di esclusione dalla regolarizzazione, devono essere interpretate come ipotesi tassative, come tali sottoposte ad una interpretazione restrittiva, non suscettibile di applicazione a casi analoghi.
Ciò a maggior ragione ci permette di escludere che il caso della persona sottoposta ad espulsione sotto false generalità possa essere assimilato alla fattispecie ostativa prevista dalla norma in questione (ovvero a chi è stato colpito da provvedimento di espulsione, con una condanna o procedimento penale in corso).

Nei casi specifici che ci sono stati riportati, si tratta di persone che nei cui riguardi è stato emanato un provvedimento di espulsione sotto false generalità, che però non sono state denunciate per il reato relativo e che non lo saranno nemmeno automaticamente nel momento in cui si perfezionerà la regolarizzazione. Si dovrebbe invece ritenere che l’esistenza di una espulsione amministrativa (che, per le ragioni prima precisate, sarà verificata dopo un anno dal rilascio del primo pds), non costituisca un problema, perché, dovrebbe anzi verificarsi l’automatica inefficacia del provvedimento di espulsione a fronte delle altre circostanze che hanno permesso il perfezionamento della regolarizzazione.

Ciò non toglie che la verifica a distanza di tempo non sottrarrà gli interessati dalla denuncia alla autorità giudiziaria per il reato di cui all’art. 496 c.p. Si tratta di un reato di lieve entità per il quale non è prevista la pena detentiva e che gli interessati potranno affrontare in modo relativamente sereno senza compromettere la propria posizione di soggiorno. Questa è una interpretazione, e nel farla dobbiamo sempre richiamare i principi generali del diritto.

Per l’appunto, nel caso della regolarizzazione, trattandosi di un procedimento amministrativo, si dovrebbe applicare quella regola generale che viene definita con l’espressione latina tempus regit actum, cioè si applicano ad un procedimento amministrativo le regole che sono valide nel momento in cui lo stesso di definisce. Nel momento in cui si perfeziona la regolarizzazione non esiste una denuncia dell’interessato coesistente con provvedimenti di espulsione, quindi si dovrebbe ritenere che il procedimento amministrativo debba essere definito sulla base delle circostanze esistenti, rilevate nel momento in cui si è concluso. Questo non dovrebbe escludere nè il perfezionamento della regolarizzazione nè, successivamente, il rinnovo del pds. Anzi, ciò dovrebbe comportare l’applicazione della norma sopra menzionata che dispone l’inefficacia automatica del provvedimento di espulsione e la sua cancellazione, sia pure a seguito della verifica che il soggetto destinatario dell’espulsione ed il soggetto titolare del pds e che ne richiede la proroga, sono in realtà la stessa persona.