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Reportage Welcome to Greece – Un’intervista ad Olga Lafazani, coordinatrice del City Plaza

Testo e fotografie di Mara Scampoli e Mattia Alunni Cardinali

Photo credit: Mara Scampoli (Olga e Nasim, due dei principali coordinatori del City Plaza)

Il “Refugee Accommodation and Solidarity Space City Plaza” di Atene è un albergo occupato dal 22 aprile 2016 da un collettivo composto da attivisti e rifugiati, attualmente destinato ad abitazione per circa 400 migranti. Si trova nelle vicinanze di piazza Vittoria, luogo di ritrovo dei migranti ad Atene ed oggetto, nel Marzo del 2016, dello sgombero che ha lasciato centinaia di persone senza un alloggio.

Photo credit: Mattia Alunni cardinali (Le scale che portano ai piani e alle camere)
Photo credit: Mattia Alunni cardinali (Le scale che portano ai piani e alle camere)

Durante la nostra permanenza al City Plaza, abbiamo avuto modo di incontrare gli attivisti che hanno dato vita al progetto e che ancora oggi partecipano direttamente alla vita quotidiana del centro.

Di seguito pubblichiamo l’intervista ad Olga Lafazani, un’attivista di Atene che è stata presente durante l’occupazione e tutt’ora collabora quotidianamente alla sua organizzazione. Il suo racconto è una preziosa testimonianza non solo di come sia stato possibile dare vita ad un simile progetto, ma anche quali sono le idee, i valori, le preoccupazioni, le criticità ed i punti di forza che lo caratterizzano e ne consentono la sopravvivenza.

D: Chi ha partecipato all’apertura del City Plaza?
R: Fu soprattutto la proposta di un’associazione chiamata “Iniziativa a sostegno dei profughi economici e politici“, un coordinamento di più o meno quattro gruppi facenti parte della sinistra radicale greca. Due di questi gruppi erano per lo più costituiti da giovani e studenti attivi nelle università, ma non solo. L’altro gruppo era un’unione anarco-sindacalista, mentre il quarto una sorta di rete antirazzista e di azione antifascista. Così, quando la crisi dei rifugiati (come la chiamano), o l’estate della migrazione (come la chiamiamo noi), ebbe inizio, abbiamo dato vita a questa iniziativa per poter intervenire in alcune situazioni significative. Nel frattempo poi, cerchiamo anche, in alternativa alle iniziative delle ONG o dello Stato, di emancipare le persone e di aiutarle ad auto organizzarsi, combattendo il razzismo e promuovendo la solidarietà nella società locale.

Photo credit: Mara Scampoli (Le foto dei residenti adornano tutti i muri del City Plaza)
Photo credit: Mara Scampoli (Le foto dei residenti adornano tutti i muri del City Plaza)

D: Quanti erano i rifugiati che entrarono per primi al City Plaza?
R: Il primo giorno dell’occupazione c’erano più o meno un centinaio di attivisti del nostro gruppo ed altri centoventi rifugiati. Con i rifugiati avevamo cominciato ad incontrarci già da prima, perciò li conoscevamo. In modo che potessero partecipare sin dal primo giorno all’occupazione, abbiamo condotto con loro alcune assemblee, nelle quali abbiamo discusso molto di cosa sarebbe accaduto, senza però entrare nei dettagli; perciò il dove, il quando ed il come sono stati rivelati all’ultimo. Il nome del luogo era conosciuto solo da pochissime persone, cinque o sei in tutto. Questo perché eravamo preoccupati che la polizia fosse avvisata e non ci permettesse di occupare. Comunque tutti sapevano che avevamo in mente questo progetto e che la tipologia di occupazione sarebbe stata quella dell’hotel.

La scelta di occupare un albergo è stata anche una decisione significativa, poiché ci sono luoghi occupati ad Atene come le scuole che però hanno grandi aule dove possono vivere fino a dieci famiglie, mentre per noi era importante offrire una condizione abitativa migliore per dare dignità a queste persone, garantendo loro un certo livello di privacy. Quindi era importante che ogni famiglia avesse la propria stanza, il proprio bagno, il proprio balcone, un armadio; proporre cioè un progetto abitativo dando questa garanzia minima di riservatezza, di tranquillità alle persone.

D: In Grecia, e ad Atene in particolare, dal momento che la chiusura delle frontiere ha bloccato migliaia di migranti in viaggio verso altre parti d’Europa, sono sorte diverse iniziative di occupazione che, lungi dall’essere una riproduzione del sistema dei centri d’accoglienza, pongono al centro dell’attenzione la libertà e l’autonomia di tutti e tutte coloro che le autogestiscono. C’è dunque un particolare modo dei greci e degli ateniesi di pensare allo spazio urbano e alla sua riappropriazione?
R: In realtà si tratta di un fenomeno recente in Grecia. Tradizionalmente il partito comunista, il KKE, era il più organizzato in questo contesto e penso che in qualche modo le pratiche di intervento della sinistra greca negli spazi sociali provengano da lì. Tuttavia, soprattutto dopo le rivolte del Dicembre 2008, penso che l’occupazione sia diventata una pratica molto più utilizzata. Poi, recentemente, il problema della casa è diventato un vero imperativo per i rifugiati, quindi l’uso di questa pratica è fiorita negli ultimi due anni. Ma in Grecia tutto ciò è molto connesso anche al governo Syriza, dal momento che sebbene non totalmente, tollera maggiormente questo tipo di pratiche.

Photo credit: Mattia Alunni Cardinali (Al City Plaza le attività comuni si estendono anche alle famiglie)
Photo credit: Mattia Alunni Cardinali (Al City Plaza le attività comuni si estendono anche alle famiglie)

D: Dimmi quali sono le persone che vivono qui al City Plaza, se residenti a lungo termine, da quale paese vengono, se hanno già documenti o se sono in attesa di riceverne.
R: I documenti non sono una delle cose che chiediamo alle persone quando vengono a chiedere un posto letto, è irrilevante. Anzi, in generale, preferiamo accogliere persone senza documenti al City Plaza perché loro sono i primi a non riuscire a trovare altre soluzioni. Allo stesso tempo però questo comporta anche dei rischi, per via del fatto che se la polizia viene a sgomberare lo stabile queste persone verrebbero quasi sicuramente arrestate proprio perché non hanno documenti. Perciò, quando ci sono persone senza documenti che vengono a chiedere una stanza, spieghiamo esattamente qual è la situazione, in modo che sappiano che siamo molto lieti di accogliere la loro richiesta, ma c’è anche qualche rischio. Dall’altra parte però siamo anche abbastanza fiduciosi nel pensare che, anche se la polizia venisse a bussare alla nostra porta per sgomberarci, saremmo in grado di negoziare un po’ ed anche essere in grado di andarcene senza subire alcun arresto, né da parte dei volontari né dei residenti.

D: City Plaza fornisce supporto legale per i rifugiati che vogliono ottenere i documenti?
R: Qui abbiamo una consulenza legale, ma in molti casi i rifugiati non possono avere documenti, quindi non è un problema di supporto legale.

D: Perché?
R: Perché in realtà le persone arrivate in Europa dopo la firma dell’accordo tra l’UE e la Turchia, non hanno il diritto di ottenere qualsiasi tipo di documentazione, a meno che non dimostrino di essere davvero vulnerabili; è un argomento molto delicato. Quello che mi dà da pensare è quanto questo concetto di vulnerabilità crei anche una condizione di discrezionalità nella valutazione del loro status. Per cui accade di vedere persone che arrivano chiedendo una stanza e presentando una lunga lista di documenti medici per cercare di convincerti che sono i più malati di tutti. Così il diritto alla casa non è più legato alle lotte per i diritti umani ed alla giustizia sociale, ma è collegato al poter dimostrare di essere soggettivamente in una situazione peggiore rispetto ad altri.

Photo credit: Mattia Alunni Cardinali (Olga in un momento dell'intervista)
Photo credit: Mattia Alunni Cardinali (Olga in un momento dell’intervista)

D: E adesso quali sono le politiche di accoglienza in Grecia, cosa offre il governo ai rifugiati?
R: Soprattutto dopo la firma dell’accordo Europa-Turchia la situazione è molto cambiata, a tal punto da creare sempre più una seconda categoria di cittadini, o non-cittadini in effetti, esclusa dalla vita politica del paese. Le politiche dei campi di accoglienza e degli hotspots, isolati dalle città, nei quali le persone non possono partecipare all’organizzazione degli stessi, dà vita a questi grandi insediamenti dove c’è molta violenza, poca o nessuna organizzazione sociale e le persone sono lasciate a loro stesse. Ovviamente qui al City Plaza siamo contrari a questo tipo di politiche e spazi. Pensiamo che i migranti debbano vivere all’interno della città, stare insieme alle persone del luogo ed essere incluse nella struttura sociale della società di cui fanno parte. Per il progetto City Plaza questo è stato uno degli obiettivi principali da perseguire, e vogliamo dimostrare che si può fare.

D: Dopo la permanenza nei campi, quali sono le politiche di integrazione per i richiedenti asilo?
R: In Grecia la questione è un po’ strana. Ad esempio esistono progetti che prevedono la disponibilità di alloggi in città, per le persone richiedenti asilo, e questa è una buona iniziativa secondo me, ma allo stesso tempo in questi appartamenti la gente può vivere solo per tre mesi e poi li deve lasciare, o deve rifare la domanda. Quindi la loro richiesta viene riconsiderata di volta in volta, la casa non diventa un diritto acquisito. La logica dietro questo meccanismo, secondo il governo, sta nel fatto che tre mesi sarebbero sufficienti per stabilirsi, imparare la lingua, trovare lavoro e vivere autonomamente. Ma basta pensare alle persone senza documenti, che rimangono completamente senza assistenza, per capire che questa cosa non può funzionare.

Photo credit: Mara Scampoli (L'Acropoli vista di notte dal tetto del City Plaza)
Photo credit: Mara Scampoli (L’Acropoli vista di notte dal tetto del City Plaza)

D: Ed è prevista un’integrazione lavorativa?
R: Anche questo è un argomento abbastanza complesso a causa della crisi economica: non ci sono posti di lavoro, quindi è molto difficile trovare un impiego anche informalmente. Negli anni passati i migranti potevano contare su una sorta di processo non ufficiale di partecipazione sociale. Quindi, ad esempio, una volta arrivati potevano riuscire a trovare un alloggio anche senza documenti. È illegale, lo sappiamo, ma è una pratica ancora molto frequente e rappresenta comunque una qualche forma d’integrazione.

Allo stesso modo era possibile lavorare anche se non si disponeva dei documenti necessari, magari lavori scadenti, che comunque davano accesso ad un piccolo reddito iniziale. Tuttavia, con la crisi economica, anche questo processo è diventato molto più difficile. Qualcuna delle persone che vivono qui ha talvolta potuto trovare lavoro, ma sono veramente poche rispetto a tutte quelle che vorrebbero lavorare. Quindi alla fine è davvero difficile. Penso che si dovrebbe organizzare una politica sociale che preveda dei percorsi di integrazione migliori e più articolati, altrimenti è inutile assegnare alloggi per solo tre mesi.

D: Sappiamo che secondo le nuove direttive Europee, se si inizia la domanda di asilo su un’isola, non è possibile poi proseguire l’iter presso qualche altro luogo.
R: Esatto, questa è una delle norme più assurde imposte dell’accordo Europa-Turchia: da quando è stato firmato, i confini si sono effettivamente moltiplicati. Adesso abbiamo un primo confine tra la Grecia e la Turchia e un secondo tra le isole e la terraferma, con le isole che vengono usate come una sorta di zona tampone. Inoltre, il trattato ha anche determinato la delimitazione di un “confine temporale”: così il 18 Marzo 2016 è diventata una data decisiva per le persone che volevano accedere in Europa. Secondo l’accordo, infatti, le persone arrivate prima di quel giorno avrebbero avuto il diritto di fare richiesta di asilo in Europa, mentre quelle arrivate dopo sarebbero state rimpatriate in Turchia.

Photo credit: Mattia Alunni Cardinali (Locandina di un evento organizzato al City Plaza)
Photo credit: Mattia Alunni Cardinali (Locandina di un evento organizzato al City Plaza)

D: Tornando al City Plaza, parliamo dell’organizzazione della vita quotidiana dei migranti.
R: Beh, innanzi tutto devo dire che City Plaza è un esperimento anche per noi che ci viviamo, perché quando abbiamo occupato non avevamo idea di come sarebbe andata. Alcuni di noi hanno avuto una lunga esperienza nei movimenti antirazzisti o antifascisti, nell’organizzazione di alcune manifestazioni, ma nessuno aveva idea di come organizzare uno spazio di convivenza per le persone.

D: Quindi qual è la difficoltà più importante che si deve affrontare?
R: Non so, forse la difficoltà più grande sta proprio nell’organizzazione… Abbiamo cercato di sperimentare diversi sistemi di partecipazione, perché una delle idee principali è sempre stata quella che la gente partecipasse. Per cui non abbiamo pensato a progetti organizzati solamente dal volontariato o solamente da rifugiati, ma abbiamo sempre ricercato un’idea di organizzazione e vita comune, e questo è molto complicato perché il City Plaza è un luogo di incontro molto particolare. Qui al City Plaza ci sono persone, come noi coordinatori, che partecipano al progetto perché pensano sia una parte più ampia della lotta contro il neoliberismo, il capitalismo e le frontiere, e naturalmente ci sono rifugiati che vengono qui perché hanno bisogno di uno spazio sicuro e non hanno mai pensato alla lotta contro il sessismo e il razzismo. Questo incontro si realizza anche grazie alle persone che partecipano e che vengono ad aiutare anche da lontano, per conoscere questo progetto. Ad esempio, attualmente abbiamo una decina di nazionalità fra i rifugiati e altrettante fra i volontari. Oltretutto, al di là del paese d’origine, ogni persona ha anche una storia diversa, prospettive diverse, piani diversi per il futuro.

Photo credit: Mattia Alunni Cardinali (Le regole fondamentali per la gestione dei minorenni)
Photo credit: Mattia Alunni Cardinali (Le regole fondamentali per la gestione dei minorenni)

D: Su questo, vi sono stati problemi tra rifugiati, momenti di tensione o conflitti a causa della diversa etnia o altro?
R: Guarda, in un certo senso penso che il City Plaza sia in grado di poter abbassare queste tensioni e comunque, attraverso molte riunioni e discussioni, abbiamo cercato di dire alle persone che la differenza tra gli esseri umani non sta tanto nella nazionalità, ma piuttosto nella loro posizione sociale. Nei campi, ad esempio, un problema molto grande è rappresentato dai conflitti tra etnie diverse, mentre qui non abbiamo mai avuto nessun tipo di scontro. In un anno e mezzo abbiamo avuto un solo incidente, diciamo, tra due ragazzi ma a causa di problemi privati, ed erano persino dalla stessa nazionalità. Quindi, anche grazie al fatto che siamo sempre presenti, ci accorgiamo sul nascere di potenziali momenti di tensione, riuscendo sempre a portare le persone al dialogo ed evitando che le situazioni degenerino. Naturalmente, poi, quando un nuova famiglia arriva al City Plaza, spieghiamo come funziona lo spazio e allo stesso tempo illustriamo le regole principali della casa.

D: Quali sono le regole?
R: La prima è la non violenza, i problemi vanno risolti solo attraverso il dialogo, non con la violenza. Ovviamente la seconda regola è il divieto di introdurre alcool e droghe all’interno dello stabile. Poi fuori di qui ognuno è libero di fare ciò che vuole, ma all’interno della casa no, poiché questo è strettamente correlato alla presenza di episodi di violenza.

D: Quindi non viene servito alcool al bar…
R: Assolutamente, nemmeno durante le feste. Magari è un po’ strano ritrovarsi ad una festa senza neanche una birra, però dal momento che viviamo insieme tutti devono seguire le regole. Infine, la terza regola è il rispetto verso le altre persone ed il luogo in cui si vive.

Photo credit: Mara Scampoli (Il Bar, luogo di innumerevoli sfide a scacchi e backgammon)
Photo credit: Mara Scampoli (Il Bar, luogo di innumerevoli sfide a scacchi e backgammon)

D: C’è una regola per partecipare alla gestione del City Plaza? Per esempio la pulizia dei locali, la preparazione dei pasti?
R: Abbiamo fatto molti tentativi diversi di organizzazione della vita quotidiana. Nel primo periodo abbiamo lasciato che quest’ultima fosse basata sulla partecipazione spontanea ed in effetti molte persone hanno aderito. Poi, però, abbiamo iniziato a ricevere lamentele poiché qualcuno non faceva nulla, quindi abbiamo dovuto trovare un modo più efficace di gestione partecipata. Dopo diversi tentativi, ora abbiamo un sistema di rotazione sulla base del numero di stanza, secondo il quale i residenti devono partecipare all’organizzazione comune almeno una volta alla settimana per cinque ore.
Queste cinque ore poi possono essere divise tra i vari turni, che sono: quello della cucina (colazione, pranzo e cena) quello della pulizia degli spazi comuni, della gestione del magazzino, della sala da pranzo, della sicurezza e del bar. Poi ovviamente non è così facile come sembra, c’è sempre qualcuno che cerca di saltare il proprio turno portando ogni sorta di scusa.

D: Le stanze vengono pulite autonomamente dalle persone che ci vivono all’interno oppure i volontari possono entrare negli spazi privati?
R: No, mai. È responsabilità del residente tenere la propria stanza pulita. Se vediamo che una stanza è veramente sporca, e come in ogni comunità di solito si viene a sapere dai vicini, allora li esortiamo a pulire, per il loro bene e quello di tutta la comunità del City Plaza. Però no, non andiamo mai nelle camere per pulire.

Photo credit: Mattia Alunni Cardinali (Il Bar, l'area di ritrovo del City Plaza, sede della nostra intervista)
Photo credit: Mattia Alunni Cardinali (Il Bar, l’area di ritrovo del City Plaza, sede della nostra intervista)

D: Olga, dimmi ancora una cosa su di te, quanti anni e che formazione hai?
R: Ho 38 anni ed ho conseguito il dottorato di ricerca in Geografia Sociale all’Università di Horokopio. Quando abbiamo deciso di occupare il City Plaza stavo lavorando qui ad Atene per conto dell’Università di Barcellona​​. Quindi, al momento di tornare in Catalogna, ho scelto di rimanere e lasciare il lavoro. Ora però mi è stata assegnata una borsa di studio e nel frattempo sto cercando un posto di lavoro all’università di Atene.
Sono molto contenta perché quando ho lasciato il posto a Barcellona mi aspettavo di dover affrontare anni di disoccupazione in Grecia, ma ora per almeno un paio d’anni sono tranquilla.