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Respingimenti illegali e violenza alla frontiera nella regione balcanica

Il rapporto del mese di dicembre 2019 di Border Violence Monitoring Network

traduzione d Paolo Pierantozzi

Il Border Violence Monitoring Network ha pubblicato il suo aggiornamento mensile, riguardante il respingimento di 128 persone a dicembre, che si aggiungono alle migliaia di persone che avevano già subito brutali espulsioni collettive nel corso del 2019.
Il lavoro di monitoraggio ha rilevato una violenza costante da parte delle forze di polizia, insieme all’aggravarsi delle condizioni relative al periodo invernale sulla rotta dei Balcani.
Il rapporto 1 riguarda respingimenti dalla Croazia alla Bosnia-Erzegovina e dalla Grecia alla Turchia.

Questo aggiornamento documenta, tra le altre cose:
– statistiche dei respingimenti del 2019;
– ricorrenza di attacchi con unità cinofile;
– negazione di cure mediche di emergenza;
– controlli del trasporto e razzismo;
– lo sviluppo della situazione sul confine tra Grecia e Turchia.

Accanto a queste tendenze, la pubblicazione esamina i principali fatti avvenuti nel mese di dicembre, incluso lo sgombero del campo informale di Vučjak in Bosnia-Erzegovina, le morti di transitanti sul confine orientale della Croazia, e il rinnovato movimento nel nord della Serbia. La somma di questi eventi, ha dimostrato come alla vigilia del 2020 la frontiera esterna dell’Unione Europea abbia continuato a perpetrare azioni violente e illegali.
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Panoramica

Il Border Violence Monitoring Network ha preso in esame i respingimenti di 128 persone a dicembre, portando il totale delle espulsioni collettive registrate nel 2019 a 3.251 persone. Il lavoro di monitoraggio ha rilevato una violenza costante protrattasi fino a dicembre, insieme all’aggravarsi delle condizioni relative al periodo invernale sulla rotta dei Balcani. I casi registrati riguardano i respingimenti dalla Croazia alla Bosnia-Erzegovina e dalla Grecia alla Turchia.

Oltre a un’analisi delle statistiche dell’anno solare, il presente aggiornamento mensile esamina diversi episodi che offrono una visione particolare della situazione alle frontiere esterne dell’Unione europea.

L’analisi di un altro grave attacco da parte di cani ha fatto luce sull’uso di unità cinofile in Croazia e sulla complicità di Frontex con i suoi recenti programmi di addestramento. Inoltre, la negazione potenzialmente fatale delle cure mediche d’emergenza durante i respingimenti è stata nuovamente confermata dal caso di un anziano palestinese lasciato solo per cinque minuti fuori da una stazione di polizia mentre stava avendo le convulsioni. A ciò si aggiunge la dichiarazione di un testimone oculare in merito a un respingimento verificatosi nei pressi di Đurin Potok, in Croazia.

Lungo la Rotta Balcanica il clima più freddo ha costretto le persone a utilizzare mezzi di trasporto alternativi, spesso più pericolosi. Diversi decessi sono stati segnalati sul confine della Serbia con la Croazia; un uomo è morto sul tetto di un treno, folgorato dai cavi elettrici; sul Danubio, dopo il rovesciamento di una barca, sono annegate due persone e una famiglia di sei persone sono ancora disperse.

La polizia croata ha concentrato i controlli sui veicoli privati/pubblici e il 50% dei respingimenti dalla Croazia riguardano il trasporto locale. L’aggiornamento include anche una sintesi della situazione nella regione greca di Evros, lo sgombero del campo di Vučjak in Bosnia-Erzegovina, il respingimento dalla Croazia di due nigeriani nonostante fossero provvisti di visti validi, e l’aumento degli spostamenti nella Serbia settentrionale.

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Croazia

Studenti nigeriani respinti nonostante i visti validi
In un caso che è stato riportato dai maggiori media internazionali, tra cui il New York Times e The Guardian, due studenti nigeriani sono stati espulsi dalla Croazia alla Bosnia-Erzegovina alla fine di novembre. Dopo aver partecipato a un torneo universitario di tennis da tavolo, hanno trascorso del tempo nel Paese prima del loro volo di ritorno in partenza da Zagabria (HR). Secondo un’intervista rilasciata dai due studenti alla rivista bosniaca Zurnal, sono stati arrestati dalla polizia croata in un tram.

“Abbiamo cercato di spiegare chi eravamo e che i nostri documenti erano all’ostello. Non hanno prestato attenzione a quello che dicevamo”.

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Due giorni dopo sono stati espulsi in Bosnia-Erzegovina. La storia che raccontano suona fin troppo familiare:
Non sapevamo che ora fosse, ma era buio… Ci hanno portato fuori dalla stazione e messo in un furgone. Ci hanno portato in un posto sconosciuto. Due poliziotti ci hanno detto: “State andando in Bosnia”. Non sono mai stato in Bosnia. Sono arrivato a Zagabria in aereo. Ho detto loro che non conoscevo la Bosnia“.
Ci hanno detto: “No, andrete in Bosnia“. “Dopo un po’ di tempo, il furgone si è fermato e siamo stati spinti tra i cespugli. Mi sono rifiutato di andare nel bosco, poi il poliziotto mi ha detto che se non mi fossi mosso mi avrebbe sparato“.

Il resoconto è coerente con le pratiche di respingimento dei funzionari croati che il BVMN sta segnalando da più di un anno, tra cui arresti senza alcuna parvenza di giusto processo, violenze fisiche e uso di armi da fuoco.

Questo dicembre sono stati registrati altri casi di abuso di armi da fuoco, tra cui un caso in cui sono stati sparati fino a 30 proiettili e l’intervistato ha dichiarato di essersi fermato per paura di essere colpito dalla polizia 2.

Da allora il Ministero degli Interni croato ha tentato di costruire un racconto che nega il coinvolgimento della polizia croata, affermando inverosimilmente che i trafficanti potrebbero aver portato i nigeriani in Bosnia. L’attenzione puntata sulla potenziale, ma improbabile, intenzione dei due nigeriani di chiedere asilo alla Croazia e la notizia che, dopo tutto, i due sono tornati volontariamente in Nigeria alcune settimane dopo, stanno distogliendo l’attenzione dal fatto cruciale e incontestabile che questi giovani sono diventati vittime collaterali del violento regime di respingimenti della Croazia. Sono stati spinti in un Paese in cui non avevano mai messo piede, nonostante avessero un visto valido.

Bosnia-Erzegovina

Chiusura del campo di Vučjak e ridistribuzione interna
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Il 2 dicembre la prima neve è caduta sull’insediamento improvvisato di Vučjak, seguita dal trasferimento in massa delle persone che vi abitavano (con una temperatura media notturna di 8 gradi centigradi). Il sito, ormai demolito, aperto come campo non ufficiale nell’estate del 2019, è stato costantemente criticato per le sue condizioni di insicurezza e insalubrità, da ultimo dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović.

Gli autobus sono arrivati al campo fuori da Bihać, nel cantone di Una Sana (USK), nella parte occidentale della Bosnia, e hanno portato via 600 persone, secondo fonti della polizia. Anche se indicato come un trasferimento volontario, va osservato che nei giorni precedenti la chiusura, la polizia dell’USK ha continuato il suo sistematico spostamento forzato di transitanti dai confini interni della città di Bihać verso Vučjak. Un esempio lampante è arrivato pochi giorni prima, con lo sgombero di un grande accampamento nello stabilimento abbandonato di Krajina Metal.

Gran parte della popolazione sfollata di Vučjak è stata portata in autobus verso gli alloggi di Sarajevo, la loro libertà di prendere questa decisione è stata probabilmente compromessa dalle azioni della polizia locale e dalla mancanza di accesso ai centri di accoglienza. Il trasferimento è stato guidato da vicino dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e solleva anche ulteriori dubbi sulle intenzioni dei partner finanziati dall’UE rispetto agli interventi in Bosnia-Erzegovina nell’ambito delle migrazioni. Le strutture nella zona di confine e nella capitale continuano ad essere in condizioni inumane, e mentre Vučjak è stato criticato aspramente per essere stato sede di una pericolosa ex discarica, il centro di Blazuje (una vecchia caserma dell’esercito vicino a Sarajevo) è stato trovato a dicembre ancora disseminato di esplosivi, anche dopo l’apertura come centro di accoglienza. Così, come notato in un recente articolo di Open Democracy, il trasferimento delle persone nei campi intorno alla capitale ha fatto poco per “risolvere la crisi umanitaria per i migranti in Bosnia“.
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Serbia

Movimento crescente al confine ungherese

Da metà novembre a dicembre, le zone intorno a Subotica, Horgoš e Kanjiža – nel nord della Serbia – hanno registrato un aumento del numero di transitanti. Si è registrato anche un cambiamento demografico rispetto alla precedente maggioranza afghana: la zona di confine con l’Ungheria ha recentemente ospitato un numero maggiore di siriani, pakistani, palestinesi, algerini, tunisini e marocchini. Questo flusso è accompagnato da controlli sul lato ungherese, con la polizia che ha recentemente preso misure restrittive nei confronti dell’uso di tunnel per passare il confine.

La crescita di insediamenti informali in luoghi abbandonati e rifugi intorno alla città di Subotica ha anche attirato l’attenzione delle autorità locali. Su pressione della polizia, la squadra di volontari di Aiuto Collettivo e di Escuela con Alma è stata costretta a smettere di fornire docce e biancheria per un mese entro i confini della città. Al di fuori della città, gli insediamenti rurali che continuano ad essere presenti nei pressi di Horgos hanno visto anche un aumento degli abitanti che hanno bisogno di risorse per l’inverno.

Ad est, la città di Kanjiža rappresenta un luogo di movimento relativamente nuovo. Durante il mese di dicembre, i volontari hanno incontrato più di 70 persone al giorno nella città, tra cui tre famiglie siriane con bambini di età inferiore o uguale ai due anni che dormivano in tende all’aperto. I gruppi di transitanti hanno riferito che le persone erano costrette a dormire all’aperto nei parchi o nelle strade, a vivere in tende vicino alla stazione degli autobus o ad usare come rifugio la stazione ferroviaria abbandonata. Anche in questo caso, la polizia locale e la sicurezza privata si sono distinti facendo irruzione e sfrattando dall’edificio della stazione, danneggiando le tende che sono state montate vicino alla città con lo scopo di sgomberare le persone. L’accesso ai servizi locali come negozi e trasporti è inconsistente, anche se alcune persone sono state in grado di utilizzare le sistemazioni alberghiere della zona, anche se a prezzi gonfiati.

Morti legate al transito sul confine orientale della Croazia

Durante il mese di dicembre, i gruppi in transito dalla Serbia verso la Croazia hanno affrontato nuovamente rischi estremi. Il convergere di condizioni meteorologiche più dure con la necessità di utilizzare mezzi di trasporto di nascosto, hanno causato diverse morti che potevano essere evitate. L’impasse al confine croato, costruita sulla violenza e sull’illegalità dei respingimenti, ha contribuito direttamente a questa perdita di vite umane.

Le morti legate all’utilizzo dei treni sono state ricorrenti: il caso più recente è quello di un uomo palestinese di 35 anni che sperava di attraversare il confine vicino a Šid, dalla Serbia alla Croazia, il 15 dicembre. Come riferiscono i volontari di No Name Kitchen, era il primo di un gruppo di quattro persone ad arrampicarsi su un vagone ferroviario vicino alla stazione di Šid. Giunto in cima al treno, l’uomo è entrato in contatto con i cavi elettrici e ha ricevuto una scossa elettrica che lo ha fatto cadere sui binari dove è stato trovato morto.

Il defunto lascia la moglie e i loro tre figli, che ora – oltre a vivere in condizioni difficili nel sovraffollato campo familiare di Šid – devono affrontare la perdita del marito e del padre. Con le temperature rigide e le azioni della polizia per costringere le comunità informali ad andare nei campi già sovraffollati, la gente continua a prendere misure disperate per attraversare il confine. Oltre al rischio di salire a bordo di treni in movimento, le persone si trovano anche a dover passare ore a temperature sotto lo zero all’interno di camion con il rischio di ipotermia o soffocamento.

Sei persone sono ancora disperse in un annegamento sul Danubio, mentre altri due corpi sono stati trovati nel fiume al confine occidentale della Serbia con la Croazia. Le vittime, cadute dopo che la loro barca si è rovesciata, viaggiavano con sei persone, ad oggi ancora disperse, e si ritiene siano annegate anch’esse.
La ricerca del gruppo, probabilmente una famiglia con due bambini, continua. L’incidente, avvenuto il 23 dicembre nelle prime ore del mattino, è un richiamo tetro dei rischi assunti dai gruppi che si muovono per cercare un rifugio sicuro in Europa. Il luogo dell’annegamento, vicino a Odzak (SRB), si trova a metà strada tra due punti primari di respingimenti intorno a Sombor e Šid (SRB), e ricorda come le persone siano costrette a rischiare la vita per aggirare il violento regime di confine.

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Grecia

Rafforzamento del confine greco a Evros
Il governo greco sta pianificando di aumentare la sicurezza nel nord-est della Grecia per controllare il flusso di richiedenti asilo che attraversano il confine dalla Turchia. L’approccio consiste nel dispiegare 400 guardie di frontiera sul fiume Evros entro marzo 2020. All’inizio di dicembre 2019, durante una visita alla città di Alexandroupoli, il Ministro della protezione dei cittadini Michalis Chrysochoidis ha annunciato che il processo di reclutamento è già iniziato. In questa regione sono già stati segnalati casi di respingimenti illegali e questa mossa porterà probabilmente ad un loro aumento.

È stato registrato un incremento nel numero di controlli di polizia e di pattuglie notturne che si stanno concentrando sull’autostrada Egnatia, al fine di intercettare coloro che sono riusciti ad attraversare con successo il fiume Evros in direzione di Salonicco. Le persone intercettate e arrestate saranno trattenute in quattro centri pre-respingimento precedentemente chiusi, uno nella zona di Salonicco e tre nella Macedonia orientale e nella Tracia.

In concomitanza con queste misure, il governo greco sta decidendo se estendere la recinzione di filo spinato di Orestiada lungo il fiume Evros, per oltre 230 km.

Nonostante comporterà costi finanziari e problemi logistici, la recinzione di Orestiada è considerata un metodo efficace per scoraggiare e impedire ai richiedenti asilo di attraversare il fiume Evros in questa regione. Ancora una volta, a dicembre, BVMN ha denunciato la brutalità della polizia durante le retate sul fiume 3, che da ora sarà supportata dalle nuove barriere fisiche.

Nel frattempo, il numero di nuovi arrivi continua a crescere lentamente nonostante il calo delle temperature, le condizioni climatiche avverse e l’aumento delle misure di sicurezza alla frontiera. Nelle ultime settimane il numero giornaliero di migranti senza fissa dimora nel centro di distribuzione ha superato le 400 unità, il che indica che queste misure non scoraggeranno il flusso di migranti attraverso l’Evros.

Glossario dei rapporti, dicembre 2019

Nel mese di dicembre, il Border Violence Monitoring Network ha raccolto nove testimonianze di incidenti e respingimenti avvenuti tra ottobre e dicembre, registrando il respingimento di 128 persone. I gruppi di transito interessati erano di dimensioni diverse, il più piccolo fino a tre persone e il più grande fino a 37 persone. Otto casi sono stati di respingimento diretto dalla Croazia alla Bosnia-Erzegovina, mentre un caso è stato un respingimento diretto dalla Grecia alla Turchia. I rapporti sono stati stilati coinvolgendo intervistati appartenenti a diversi target demografici, tra cui adulti e minori non accompagnati. Gli intervistati provengono da una grande varietà di luoghi, tra cui Algeria, Marocco, Tunisia, Egitto, Siria, Palestina, India, Bangladesh, Pakistan e Afghanistan.
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  1. https://www.borderviolence.eu/wp-content/uploads/December-Report-2019.pdf
  2. https://www.borderviolence.eu/violence-reports/december-5-2019-0000-45-2152280-16-0170810
  3. https://www.borderviolence.eu/violence-reports/november-29-2019-0600-evros-river-near-uzunkopru-est-loc/

#Lesvoscalling

Una campagna solidale per la libertà di movimento
Dopo il viaggio conoscitivo a ottobre 2019 a Lesvos e sulla Balkan route, per documentare e raccontare la drammatica situazione sull'isola hotspot greca e conoscere attivisti/e e volontari/e che si adoperano a sostegno delle persone migranti, è iniziata una campagna solidale lungo la rotta balcanica e le "isole confino" del mar Egeo.
Questa pagina raccoglie tutti gli articoli e il testo di promozione della campagna.
Contatti: [email protected]

Border Violence Monitoring Network (BVMN)

Border Violence Monitoring Network (BVMN) è una rete indipendente di ONG e associazioni con sede nella regione dei Balcani e in Grecia. BVMN monitora le violazioni dei diritti umani ai confini esterni dell'UE e si impegna per mettere fine ai respingimenti e alle pratiche illegali. Il network utilizza un database condiviso per raccogliere le testimonianze delle violenze subite da chi transita sulla rotta dei Balcani.
In questa pagina trovate le traduzioni integrali dei rapporti mensili curati da BVMN.