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Richiedente asilo LGBT – Quando la tenacia vince

Corte di Appello di Bologna, sentenza n. 1338 del 21 maggio 2018

Il Tribunale aveva visto giusto nel caso di una richiedente asilo proveniente da uno dei paesi più ostili nei confronti delle persone lgbt, a livello legislativo come a quello sociale. Aveva infatti riconosciuto il grave pericolo di incolumità personale in caso di rientro in patria.
A differenza della Commissione Territoriale per la quale non sussistevano i parametri, adducendo come motivazione poca specificità e coerenza nel racconto. Per cui si era concentrata sul trauma della tratta ed aveva concesso i motivi umanitari.
L’Avvocatura di Stato ha ritenuto presentare appello contro l’ordinanza del Tribunale nonostante tutti gli indicatori in favore della signora prodotti.
Com’è ovvio per chiunque lavori nell’ambito del diritto d’asilo, è un controsenso aspettarsi documenti, fotografie o affiliazioni attestanti la condizione lgbt in un caso del genere. Ma in tutte le occasioni istituzionali come nei colloqui con un’etnopsichiatra, la signora si è sempre sforzata di rendere un gran numero di informazioni dettagliate, su luoghi, date, persone, avvenimenti. Lo ha fatto con enorme dispendio personale e grande integrità. Di fatto non si è contraddetta nemmeno una volta, cosa assai improbabile se si tratta di una storia inventata.
Grazie alla rara ostinazione dell’avvocata Antonietta Cozza ed alla mirabile comprensione della Corte d’Appello, alla signora è stato riconfermato lo status di rifugiato.

Si tratta di un’altra vittoria per i richiedenti asilo lgbt, che non sempre vengono riconosciuti come tali. Ogni persona ha alle spalle una vita diversa per cui non è catalogabile sotto un unico registro. Fatto rilevante a questo riguardo è che la signora è stata allevata da una parente con l’unica conoscenza della sessualità omosessuale. Ed alla domanda della Commissione se si definirebbe omosessuale ha risposto con estrema sincerità: “Non saprei dirlo, ma ho vissuto per anni in questo modo nel mio paese e questo basta per rischiare la vita”.

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Corte di Appello di Bologna, sentenza n. 1338 del 21 maggio 2018