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Ricongiungimento – La condanna penale per uno dei reati citati dall’art. 4 c. 3 T.U. immigrazione è automaticamente ostativa all’ingresso in Italia per ricongiungimento familiare

L'interpretazione offerta dalla Cassazione in evidente contrasto con le disposizioni della direttiva europea n. 2003/86/CE

La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10880/2010 depositata il 6 maggio scorso, ha respinto il ricorso proposto da una cittadina albanese avverso il diniego al rilascio del nulla osta al ricongiungimento familiare a favore del coniuge, sempre di cittadinanza albanese, in quanto già condannato, con sentenza definitiva a pena detentiva di anni sette e mesi otto per un reato inerente agli stupefacenti, e dunque per una fattispecie penale ostativa in linea generale all’ingresso in Italia ai sensi dell’art. 4 comma 3 del d.lgs. n. 286/98.

Il ricorso contro il diniego della Prefettura di Genova era stato inizialmente accolto dal Tribunale di Genova, ma il provvedimento del giudice di primo grado era stato ribaltato dalla Corte di Appello di Genova, che aveva accolto il reclamo del Ministero dell’Interno.

La Corte di Cassazione ha dunque confermato il provvedimento della Corte di Appello, sostenendo che l’amministrazione può legittimamente ed automaticamente negare il rilascio del nulla osta all’ingresso per riunificazione familiare in presenza di una condanna penale per uno dei reati previsti dalla parte prima dell’art. 4 c. 3 d.lgs. n. 286/98, anche senza verificare se sussista l’elemento della minaccia concreta ed attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato, essendo le due condizioni ostative previste dalla norma tra loro alternative e non cumulative, così come invece sosteneva la ricorrente.

La decisione della Cassazione e la lettura offerta dell’art. 4 c. 3 d.lgs. n. 286/98, appaiono in evidente contrasto con una interpretazione letterale e sistemica della direttiva europea n. 86/2003/CE, recepita in Italia con il d.lgs. n. 5/2007. L’art. 6 della direttiva infatti prevede la possibilità per gli Stati membri di respingere una domanda di ingresso e soggiorno dei familiari per ragioni di ordine pubblico, di sicurezza pubblica o di sanità pubblica. Nell’adottare una decisione di diniego all’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare, gli Stati tengono conto della gravità o del tipo di reato contro l’ordine pubblico o la sicurezza pubblica commesso dal familiare o dei pericoli rappresentati da questa persona, ma comunque debbono bilanciare le esigenze di ordine e sicurezza pubblica con quelle di rispetto della vita familiare dell’interessato quale diritto umano fondamentale (art. 17 direttiva) e dunque prendere nella dovuta considerazione nel contempo la natura e solidità dei vincoli familiari della persona, nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociale con il Paese d’origine, secondo il quadro interpretativo offerto dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani.

Una lettura dell’art. 4 c. 3 del d.lgs. n. 286/98 compatibile con le norme comunitarie esclude dunque ogni automatismo del diniego al ricongiungimento familiare in conseguenza della presenza di condanne per uno reati penali elencati nella prima parte della norma, richiedendosi invece una valutazione, legata alle circostanze personali di ogni singolo caso, volta a bilanciare il pericolo rappresentato dall’interessato per l’ordine e la sicurezza pubblica, secondo una valutazione prognostica che necessariamente deve tenere conto della gravità dei precedenti penali, con l’interesse ed il diritto dei singoli al rispetto della vita familiare.

Non interpretando la normativa interna in maniera conforme ai contenuti della direttiva europea n. 86/2003, che esclude chiaramente ogni automatismo tra reato penale e diniego al ricongiungimento, l’orientamento espresso dalla Cassazione non appare certamente corretto e condivisibile.

Sentenza della Corte di cassazione n. 10880 del 6 maggio 2010