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Riconoscimento dello status di rifugiato a cittadina nigeriana vittima di tratta ed applicazione del programma unico di emersione, assistenza ed integrazione sociale per le vittime di tratta

Tribunale di Roma, decreto del 29 aprile 2020

Con decreto del 29.04.2020, il Tribunale di Roma affronta il particolare intreccio tra il percorso della protezione internazionale e quello di assistenza e tutela delle vittime di tratta, adottando un approccio inedito sia in merito all’emersione di indicatori di tratta durante l’audizione del richiedente il riconoscimento della protezione internazionale in sede giudiziale, sia in merito alla facoltà dell’A.G. di segnalare le vittime di tratta alle autorità amministrative competenti per l’applicazione nei loro confronti di un programma di emersione, assistenza e integrazione sociale.

La vicenda sottoposta all’esame dei giudici del Tribunale di Roma riguardava una donna nigeriana, vittima di tratta, adescata dal compagno, padre dei suoi figli, che l’aveva convinta a raggiungere l’Italia prospettandole un futuro migliore per la loro famiglia.
La Commissione territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Roma, valutati gli esiti delle circostanze emerse in sede di audizione personale della richiedente, senza mettere in dubbio la credibilità e la coerenza del suo racconto, giudicava di natura economica i motivi di espatrio ed il carattere soggettivo del timore della ricorrente di rientrare in patria. Sulla scorta di tali argomentazioni, la Commissione non le riconosceva alcuna forma di protezione internazionale.

Il Tribunale di Roma, in sede di ricorso avverso il provvedimento di diniego, identificava nel racconto della richiedente i tipici indicatori della tratta (https://www.unhcr.it/wp-content/uploads/2018/02/Linee-Guida-identificazione-vittime-di-tratta.pdf): “alcuni dei quali riconducibili proprio alle donne provenienti dalla Nigeria, vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale:
– il tragitto per la Libia, che presenta le caratteristiche tipiche delle organizzazioni criminali dedite alla tratta;
– la difficoltà di riferire i dettagli del viaggio innanzi alla Commissione;
– il mancato pagamento del viaggio;
– la poca chiarezza relativamente al luogo di sbarco in Italia;
– la presenza di un partner di cui la richiedente riferisce poco, con il quale non è sposata;
– l’assenza di una dimora fissa e l’ospitalità presso un’amica;
– la presenza irregolare in Italia da molto tempo (più di 3 anni);
– le parziali omissioni del racconto;
– la dichiarazione di provenienza da una famiglia numerosa (13 fratelli);
– le dichiarazioni poco precise rispetto alle tappe del viaggio;
– il passaggio da persona a persona a cui è stata affidata durante il viaggio senza pagare nulla
”.

Di particolare interesse è il giudizio espresso dal Tribunale in merito alla “specificazione del racconto avvenuta in udienza”, ritenuto non idoneo a costituire “un elemento di valutazione negativa circa la credibilità e la coerenza della vicenda”, sia in considerazione di elementi specifici del caso (credibilità dalla ricorrente e corrispondenza del narrato), sia in considerazione della circostanza che “il racconto dei fatti che tipicamente costituiscono elementi della tratta degli esseri umani – come le modalità del reclutamento e le violenze subite – spesso è frammentato e parziale; infatti l’omissione e la contraddizione costituiscono, invero, indicatori di un vissuto di tratta da nascondere a cui si aggiungono le percezioni sollecitate dalla comunicazione non verbale (la postura, gli occhi bassi, le reticenze a specificare i dettagli del proprio trascorso)”. Merita rilievo, inoltre, la valenza attribuita dal Tribunale alla circostanza che il racconto sia avvenuto “innanzi a giudice delegato appartenente al suo stesso genere”.

Riteniamo utile evidenziare che, nonostante il patrocinante del ricorso fosse di genere maschile, l’assistenza della ricorrente all’udienza per la sua audizione personale è stata prestata dall’avvocatessa Flavia Cerino, del foro di Roma e dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, che vogliamo sentitamente ringraziare per la sua disponibilità e professionalità.

Secondo l’organo giudicante, inoltre, l’età della ricorrente, all’epoca della vicenda non proprio giovanissima (trentuno anni), e l’assenza di un giuramento da parte della stessa avente valore vincolante, non possono considerarsi elementi di non credibilità della sua vicenda personale “atteso che nella particolare fattispecie in esame la tratta non è avvenuta da parte di persone sconosciute alla donna trafficata né di un’organizzazione criminale, ma dell’uomo che è il padre delle figlie, da lei conosciuto e nel quale riponeva legittimo affidamento quanto ad una migliore prospettiva di vita, il quale intendeva approfittare economicamente della situazione ed a prescindere dalla sua età, evidentemente ritenendo quest’ultimo che la medesima fosse ugualmente in grado, sia pur non giovanissima, di restituirgli il debito prostituendosi. […] verosimilmente, il padre delle figlie ha inteso sfruttare proprio il legame personale avuto con la vittima di tratta al fine di ottenerne il silenzio, come effettivamente avvenuto”.

Sulla base di tali argomentazioni, il Tribunale ha riconosciuto lo status di rifugiato alla richiedente e ha contestualmente disposto di “trasmettersi gli atti all’autorità competente ai sensi dell’art. 17, comma 2, D.lgs. n. 142/2015 e dell’art 18 D.lgs n. 286/1998 ai fini dell’applicazione del programma unico di emersione, assistenza ed integrazione sociale per le vittime di tratta”.

– Scarica il decreto
Tribunale di Roma, decreto del 29 aprile 2020