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Riflettori accesi sul Canale di Sicilia, e intanto i migranti continuano a morire

a cura di Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo

Mentre non si registra nessuna incriminazione dopo le gravissime denunce di Fabrizio Gatti sugli abusi commessi nel centro di detenzione amministrativa di Lampedusa, ancora migranti che muoiono sulle rotte dell’immigrazione clandestina, come riportano agenzie di stampa sempre più scarne.
Ancora davanti alle coste di Malta si è consumata l’ennesima tragedia dell’immigrazione, nessuno ha saputo salvare la vita di chi era già in vista del porto, forse anche in questo caso le autorità maltesi hanno fatto troppo a lungo finta di non vedere la imbarcazione carica di migranti, in modo che questa potesse proseguire verso la Sicilia.
La Convenzione di Dublino (modificata dal regolamento n.343 del 2003) imporrebbe infatti a quel paese, ormai entrato nella Unione europea, di monitorare le proprie acque e di intervenire tempestivamente, accogliendo i richiedenti asilo.
Ma questi sarebbero sempre troppi, secondo le autorità maltesi, che continuano a non vedere nulla, neppure i trafficanti che prosperano nelle vie più eleganti di La Valletta e Gozo. In compenso veri richiedenti asilo, donne e bambini, sono trattenuti sino a 18 mesi in veri e propri lager allestiti per gli immigrati che giungono irregolarmente a Malta. La brutalità delle condizioni di trattenimento viene forse ritenuta il migliore dissuasore che dovrebbe tenere i migranti lontani dalle coste maltesi.
Ma la situazione, seppure diversa, non è meno tragica nell’isola di Lampedusa.
Recenti servizi giornalistici hanno documentato il “maquillage” del CPT di Lampedusa prima del 15 settembre, giorno fissato per la visita della delegazione del Parlamento Europeo, proponendo anche la cronaca degli interventi di salvataggio a mare operati dalla Guardia di Finanza ed alimentando il dubbio che lo svuotamento del centro fosse dovuto – oltre che alla deportazione di coloro che vi erano rinchiusi prima della visita – anche alla interruzione degli sbarchi nell’isola. Interruzione alquanto sospetta, se è vero che in quei giorni le condizioni meteomarine erano normali e subito dopo la visita dei parlamentari europei gli sbarchi, come quelli documentati dalla rete televisiva La 7, sono ripresi con la frequenza di sempre.
In realtà “sbarchi” veri e propri a Lampedusa ne avvengono pochissimi, in quanto la maggior parte dei cd. “clandestini” entra in porto sotto scorta delle navi italiane o a bordo delle stesse dopo che i mezzi usati per raggiungere le acque italiane sono stati intercettati.
Si potrebbe ritenere dunque che anche le autorità italiane, come quelle maltesi, chiudano qualche volta un occhio, ed improvvisamente gli “sbarchi” a Lampedusa cessano, mentre le imbarcazioni cariche di “clandestini” giungono sino alle coste siciliane.
Sembra veramente strano che il sistema di monitoraggio delle acque del Canale di Sicilia abbia improvvisi black out, proprio come è avvenuto prima della visita dei parlamentari europei nel centro di permanenza temporanea di Lampedusa, lo scorso 15 settembre.
Nei giorni precedenti alla visita della delegazione europea, gli “sbarchi” a Lampedusa erano infatti cessati, e centinaia di migranti avevano raggiunto diverse località della Sicilia meridionale. A Gela, in particolare, le modalità feroci dello sbarco e la furia degli scafisti che cercavano di sottrarsi ai controlli di polizia avevano prodotto 11 morti, annegati perché gettati in acqua davanti alla costa dove l’acqua era ancora troppo profonda.
Anche il 1 maggio, quando avevo effettuato una visita accompagnando un parlamentare italiano, il CPT di Lampedusa conteneva soltanto 70 migranti e la maggior parte di loro era arrivata nel centro la notte prima.
Anche in quel caso, tuttavia, si erano verificate le irregolarità formali rilevate da Gatti, come l’eccessiva durata del trattenimento e la mancata tempestiva convalida da parte del magistrato.
La diminuizione degli arrivi a Lampedusa appare quanto mai sospetta e sarebbe importante che i parlamentari in visita si facessero consegnare i rapporti ed i tracciati delle autorità militari nei giorni anteriori alla loro visita e magari una piccola rassegna della stampa locale (italiana e straniera) ed una serie di bollettini meteo.
Sembrerebbe infatti che ogni atto ispettivo sul centro di detenzione di Lampedusa produca un rallentamento degli sbarchi. Le imbarcazioni cariche di “clandestini” non sono fermate più a 60-70 miglia a sud dell’isola, come avviene abitualmente, ma raggiungono le coste siciliane come se fossero “invisibili”. Poi magari fanno naufragio miseramente a pochi metri dalla costa, come successo ogni anno, da Realmonte, in provincia di Agrigento fino a Licata, Gela e Pozzallo.
Tutto questo stupisce e preoccupa perché è noto da anni che l’Italia possiede sofisticati sistemi di sorveglianza, tra questi il VTS (Vessel Traffic Service) che, dopo la installazione di numerosi radar costieri e con la collaborazione delle forze e dei sistemi di puntamento della marina e dell’aviazione, consente un monitoraggio continuo di tutte le imbarcazioni in movimento nel canale di Sicilia, dalla costa libica a Malta ed alla Sicilia.
I sistemi integrati di contrasto dell’immigrazione clandestina sono stati collaudati da numerose esercitazioni congiunte, anche a livello delle forze Nato, come si è verificato nel giugno del 2004, prima del caso Cap Anamur.
Il canale di Sicilia è ormai una striscia di mare militarizzata, ed i mezzi commerciali che avvistano le imbarcazioni di migranti si limitano generalmente ad avvertire le autorità militari.
Ma chi decide come e quando le nostre forze navali devono intervenire?
La centrale operativa italiana non ha sede a Lampedusa o in Sicilia, ma a Roma, presso la Direzione centrale immigrazione del Ministero dell’Interno, come si evince dal Decreto ministeriale 19 giugno 2003, e le decisioni che sono trasmesse alle forze impegnate nel controllo delle frontiere marittime e nel salvataggio delle vite umane a mare risentono degli accordi internazionali, come quello, ancora segreto, tra la Libia e l’Italia, o come gli accordi intercorsi con Malta dopo il suo ingresso nell’Unione europea.
E in base a questi accordi, e non solo secondo le condizioni del mare, che si decide – affidando il coordinamento operativo di tutte le forze di polizia alla Marina Militare – se intervenire bloccando un imbarcazione, respingendola verso le motovedette del paese dal quale è partita, o verso il porto di partenza, oppure se affidare le operazioni di soccorso a questo o a quel paese. In qualche caso dal momento della individuazione del natante che trasporta i “clandestini” all’intervento di salvataggio possono trascorrere ore, e talvolta giorni: secondo il Decreto del Ministro dell’Interno del 19 giugno 2003, “la fase di tracciamento deve essere condotta, compatibilmente con la situazione contingente e con i sensori disponibili, in forma occulta al fine di non vanificare l’intervento repressivo nei confronti delle organizzazioni criminali che gestiscono l’illecito traffico”.
Nella “zona contigua” al limite delle acque territoriali “il coordinamento delle attività navali connesse al contrasto dell’immigrazione clandestina , in presenza di mezzi appartenenti a diverse amministrazioni, è affidato al Corpo della Guardia di Finanza”.
Si precisa poi (art. 7)che “nell’assolvimento del compito assegnato l’azione di contrasto è sempre improntata alla salvaguardia della vita umana ed al rispetto della dignità della persona”. Già, ma chi assegna i “compiti” cura sempre questi valori fondamentali?
In realtà, dal momento della prima individuazione dell’imbarcazione carica di “clandestini” al momento dell’intervento passano ore, tempi e modalità dell’intercettazione non vengono decisi soltanto dalle unità aero-navali presenti sul posto, ma dipendono soprattutto dalla Direzione centrale del Ministero dell’interno, che decide d’intesa con le agenzie di intelligence e talvolta anche con i paesi di transito, come Malta, Libia o Tunisia, quando questi paesi non chiudono gli occhi.
Sulla base di quali accordi di cooperazione, con quale ripartizione di competenze, con quanto rispetto per la vita umana e per il diritto di asilo?
Tutto questo si deve ancora chiarire, ora che i riflettori sono accesi sui centri di detenzione, sulle frontiere sud della fortezza Europa, sulle acque di un Mediterraneo solcato da povere imbarcazioni cariche di migranti fatti partire, o fatti arrivare, secondo i calcoli dei trafficanti o dei politici. C’è il rischio che, passato il clamore mediatico, tutto ritorni come prima, e che i “clandestini” continuino a morire.
Sembra di assistere alla proiezione di un film, con una trama scandita da eventi che si ripetono sempre allo stesso modo, con gli attori che interpretano il loro ruolo, mentre centinaia di disperati senza nome vengono inghiottiti dalle acque del canale di Sicilia o dalla distrazione dei mezzi di informazione, come è successo ai trenta migranti che il 18 ottobre scorso, sorpresi da una burrasca tra la Libia e Lampedusa si erano ancorati ad una piattaforma petrolifera (italiana o libica?) e di cui non si è saputo più nulla.
Fulvio Vassallo Paleologo
Università di Palermo