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Rifugiati, business dell’hashish e speculazione: Tangeri è lo specchio di un Marocco che punta ad essere snodo tra Africa e Europa

di Davide Lemmi*

Photo credit: Davide Lemmi

Tangeri – Il petit taxi prosegue salendo l’ampio e spazioso viale. A destra il golf club e il centro ippico di Tangeri. Le aiuole curate si coordinano perfettamente con le ville e i caffè eleganti della zona. Il salto avviene all’improvviso. Bastano 25 Dhiram per la corsa del taxi, poco più di due euro, che dal lusso e dal benessere, i vetri dell’auto cominciano a proiettare tutto un altro panorama. Siamo nella periferia di Tangeri. Gli imponenti viali si trasformano in meandri di strade in terra battuta. I bambini giocano davanti ai negozi, mentre una pecora pascola tra i rami secchi e la spazzatura all’ombra di una moschea. Sulla collina di Rah Rah, le case, monolocali in realtà, sono la dimora di folti gruppi di rifugiati. Ledouf viene dal Senegal, ci fa strada verso la sua abitazione. Davanti alla porta due bambine hanno improvvisato un mercatino e una cucina. La loro immaginazione corre via e il padre le scruta attento da dietro le tende della finestra.

Prepariamo i sacchetti da portare alle famiglie – ci dice Ledouf mentre sistema il riso e le sardine in una borsa di carta – adesso vi accompagno a visitare una casa dove vivono circa 15 persone”. Nel quartiere ci sono spesso episodi di violenza. Gli abitanti marocchini digeriscono male la coabitazione con i migranti e i casi di maltrattamenti, o addirittura di attacchi, non sono episodi eccezionali.

Photo credit: Davide Lemmi
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Lungo la strada incontriamo un’umanità varia. Incuriositi dalla presenza di estranei, gli abitanti di Rah Rah escono dalle abitazioni. Un saluto, una stretta di mano e continua la “passeggiata”. Ci fermiamo in un edificio in costruzione sul fianco della collina. Due camere da letto, una cucina, un bagno, 15 persone. Senegalesi, gambiani, Burkinabè e nigerini convivono in questa comune. Donne e uomini: tutti in attesa. “Mangeremo bene”, alla vista dei sacchi di riso una donna esplode in una risata contagiosa. Piano piano la confusione attira tutti gli inquilini, muoversi diventa complicato. “Questa cicatrice? Mi hanno assalito con un coltello, ma sono riuscito a scappare”, ci confida un immigrato gambiano mentre usciamo all’esterno. I panni stesi al sole sono mossi da un vento leggero. Le donne della casa si nascondono alla vista della telecamera e della macchina fotografica. Ledouf ci indica l’uscita, è tempo di andare.

La medina di Tangeri è in continuo movimento. La piazza 9 Aprile 1947 è il centro di questo Panta Rei colorato. Venditori di hashish, passanti, immigrati, marocchini, turisti, studenti, ristoratori e tassisti sono gli attori non protagonisti di questo luogo, in quanto esiste, e non luogo, perché non è identificabile quale sia la sua vera natura. La piazza è la migliore metafora di Tangeri. Un porto, una zona industriale, un posto di passaggio, di visita e di vita. Ed è sulle sedie del bar del Cinema Rif che incontriamo Baasaadi Mohamed. Fa parte dell’associazione per lo sviluppo sostenibile, ma prima di tutto è testimone oculare dei cambiamenti di questa città.

Photo credit: Davide Lemmi
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Sono 50 anni che vivo qua e devo dire che Tangeri è mutata tantissimo. Se penso che fino a pochi decenni fa era soltanto un paesotto. Il centro urbano finiva qua, alla Medina – Mohamed sorseggia il caffè e poi continua con un francese impeccabile – I grandi boulevard sono stati costruiti dopo la seconda guerra mondiale, il 1975 è l’anno di svolta per l’espansione della città”. Ad inizio anni ’70, Re Hassan II ha deciso di puntare forte su questo snodo portuale. Nel 1970 sono infatti iniziati i lavori per la costruzione di una zona industriale. Zona che ha inevitabilmente richiamato un ingente numero di lavoratori da ogni parte del Marocco. “Le persone che arrivavano dal Sud e dal Rif sono state sistemate in vere e proprie bidonville – ancora Mohamed – L’alta domanda di abitazioni ha generato un boom nell’edilizia ed il costo del metro quadro è volato sopra i normali prezzi marocchini”. Così l’enorme disuguaglianza economica, tangibile e palese oggi, ha mosso i primi passi.

Ma non ci nascondiamo, la Tangeri che state osservando è il frutto del commercio di Hashish che è benzina per la speculazione edilizia”, Mohamed svela le carte. Le stesse carte che hanno costruito la marina, i viali, gli eleganti palazzi, i caffè in stile parigino e la aiuole curate. “Questa è una facciata – continua il nostro interlocutore – Le industrie che abbiamo qua non producono niente, sono di servizi. Siamo diventati un Paese di confezionatori e il 70% dei bellissimi immobili che vedete sono vuoti, inutilizzati”. Dalle magliette da calcio alle tazzine di rame, passando per i souvenir e i tessuti, nella Medina di Tangeri, così come in quella di Fez e di Rabat, trovare qualcosa di made in Marocco diventa un’impresa.

Ma il mutamento da zona produttrice a zona di confezionamento è stato lento. Le scelte di politica economica di Rabat sono la conseguenza di un modello in crisi. La forza del Marocco è venuta a mancare nella competizione globale. India e Pakistan, due esempi su tutti, hanno progressivamente scalzato l’universo di Paesi che giravano attorno ad Europa e Stati Uniti. Tangeri godeva, e continua tutt’oggi a godere, dei favori dell’esecutivo marocchino. Le vecchie fabbriche automobilistiche di Fez negli anni ’90 furono infatti trasferite sull’Oceano nell’ottica di un rafforzamento della città. Industrializzazione, ma non solo. Nel 2001 Rabat da il via al “quadro azzurro”, un progetto che mira a spostare l’asse del turismo dalle città interne ai centri sul mare. Si rivelerà un flop. Gli anni passano e nel 2008 l’Europa è sconvolta dalla grande crisi finanziaria. Le ricadute su un Paese fortemente influenzato dai suoi rapporti con il vecchio continente sono devastanti. Tangeri ne è l’esempio. La speculazione si ferma, i prezzi anche, e si teme uno scoppio della bolla.

Photo credit: Davide Lemmi
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Ed è a questo punto che intervengono due fattori per arginare il possibile disastro: l’hashish e la creazione di offshore zone più forti e competitive. Per quanto riguarda la droga: la vendita continua, anzi l’aumento dei prezzi favorisce la produzione, garantendo un’entrata che sostiene il modello della città. Il secondo elemento è frutto di una scelta politica. Il Re decide di implementare le zone franche, attirando gli investimenti esteri. Una decisione coerente con l’etichetta di confezionatore, ma che espone ulteriormente Tangeri, e tutto il Marocco in generale, ai flussi finanziari che sono da sempre instabili. Ancora una volta la creazione di posti di lavoro rimane al secondo posto.

In questo contesto le tensioni che si trasformano in violenze, tra marocchini e migranti sono l’ennesima guerra del pane. In mezzo le autorità, anche loro violente nei confronti dei profughi, utilizzano la carte dell’ospitalità per strappare accordi con la Spagna e i Paesi africani. Ed è così che le porte del porto di Tangeri si aprono a comando come ricatto a Madrid, mentre la diplomazia digerisce trattati con la Nigeria sul gasdotto sud/sud, in costruzione da Lagos a Tangeri. “Il Marocco punta all’ECOWAS – ci svela Ghassan El Karmouni, giornalista di Economie Enterprises – Ed è in questo senso che possiamo leggere la decisione di rientrare all’interno dell’Unione Africana”. I grandiosi progetti di Rabat e l’atteggiamento che le forze di polizia hanno nei confronti di possibili elementi destabilizzanti, possono essere letti sotto questa chiave. A Tangeri, così come in altre zone del Marocco, l’immigrato è una moneta di scambio per il raggiungimento di uno scopo. Ed oggi più che mai ci si tutela dai rischi connessi.


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