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da Repubblica Inchieste

Rifugiati nordafricani, niente proroga A fine mese, 500 euro a testa e tutti via

La gestione dell'emergenza - 50.000 profughi arrivati sulle nostre coste, un anno e mezzo fa - ha fruttato alle strutture di accoglienza un miliardo e trecento milioni di euro, non ha garantito i servizi dovuti né ha risolto il dramma del rimpatrio, volontario o assistito. In quest'ultimo caso, adesso, si offre ai migranti un "buono uscita". Ma per andare dove? E tanti nel frattempo si sono già allontanati...

L’accoglienza per i profughi del Nord Africa finisce il 28 febbraio. Questa volta non c’è proroga: dopo quella data, tutti via con 500 euro come “buono uscita”. A stabilirlo è una circolare del ministero dell’Interno datata 18 febbraio 2013. Ma la domanda è: via dove? Via dalle strutture di accoglienza, che grazie ai 50 mila profughi arrivati sulle nostre coste, un anno e mezzo fa, hanno raccolto un miliardo e trecento milioni di euro senza garantire i servizi dovuti dalla legge.

La gestione dell’emergenza, affidata a inizio gennaio ai prefetti, era stata prorogata di due mesi per la “progressiva uscita dei profughi dal sistema, anche attraverso programmi di rimpatrio volontario e assistito”. Ma anche in questo caso, non c’è stata una gestione uniforme e controllata sul territorio. Il ministero dell’Interno ha sottolineato in apertura che “non tutte le regioni hanno attivato i tavoli di coordinamento “. Le mappa dei contributi d’uscita erogati dalle regioni è varia: si va dalla Lombardia dove i profughi hanno usufruito di una somma pari a 1000 euro, alle regioni come il Lazio, la Campania o la Puglia dove le cifre sono pari a zero.

Di contro, adesso, la circolare prevede ulteriori fondi, pari a 2,5 milioni di euro, destinati al rimborso per gli enti locali per l’assistenza di minori stranieri non accompagnati. Tramite le prefetture, quindi, gli enti locali potranno chiedere la copertura delle spese per le procedure di “formalizzazione della domanda di asilo sino all’inserimento nelle strutture dello SPRAR”.

Manca tuttavia una menzione a quali saranno i percorsi di integrazione nel territorio e di inserimento lavorativo. Manca, di nuovo, una direttiva mirata al potenziamento del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati costituito dalla rete degli enti locali e il terzo settore.

L’ufficio stampa del ministero, contattato in merito a queste tematiche, ha risposto al telefono che “tutto quello che si può fare al momento è fornire la circolare (che alleghiamo a questo articolo) ma non ci sono risposte alle domande fatte”. Non ci sono risposte oggi, ma arriveranno in futuro? “Non ci sono risposte e basta”, hanno dichiarato.

Per Laurens Jolles, delegato nel nostro Paese per l’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati, la strategia di uscita dall’emergenza “andava programmata per tempo e il ritardo con cui è stato pianificato il passaggio in ordinario, effettivo solo dal 31 dicembre, resta inspiegabile. Le misure aggiuntive contenute nella circolare, a dieci giorni dalla chiusura, potrebbero non essere sufficienti”.

Tra le procedure volte a favorire i percorsi di uscita rientrano i programmi di rimpatrio volontari e assistiti, affidati all’OIM (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni), che stabiliscono la somma di 500 euro per le modalità di uscita dalle strutture di accoglienza. Ben poco, se si considera che, per tutto il periodo della loro permanenza nei CARA, centri di accoglienza per richiedenti asilo, o presunti tali, ogni migrante valeva fino a 46 euro al giorno. In molti, in realtà si erano già allontanati. Il punto è, dove.

“Questa è una preoccupazione che abbiamo anche per i rifugiati che escono dal sistema ordinario di accoglienza – aggiunge Jolles – che purtroppo non è sufficiente per tutti e ha una durata di soli sei mesi. Assistiamo all’aumento di insediamenti spontanei ed occupazioni di edifici abbandonati in molte città con il rischio di emarginazione sociale. È per questo che abbiamo più volte ribadito la necessità di ampliare la rete di accoglienza e di assicurare un adeguato sostegno all’inserimento lavorativo e sociale delle persone che fuggono da violenze e persecuzioni. Sia chiaro, i rifugiati non sono persone che vogliono vivere di assistenzialismo, è per questo che chiediamo ancora una volta alle autorità di dare una risposta più adeguata ai loro bisogni di integrazione”.

Chi sceglie di andare in un altro paese, anche in possesso di un permesso di soggiorno unito a un titolo di viaggio (che corrisponde al passaporto), ha diritto a restare lì solo 90 giorni, ma senza poter lavorare. Saranno in giro, quindi, nella totale assenza di un percorso di integrazione, come i profughi ritrovati nel Salaam Palace di Roma, il caso che ha fatto scalpore anche all’estero. La speranza è che le mura dei palazzi dismessi nelle nostre città siano abbastanza forti da reggere la disperazione di chi non ha un futuro.