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Da Metropoli del 31 gennaio 2008

Rifugiati sudanesi sfrattati nella capitale

I bagagli, ma sarebbe più corretto dire gli innumerevoli sacchetti di fortuna, sono sparsi su un marciapiede di via Casilina, nei pressi del quartiere Centocelle, assieme a tutta la suppellettile che fino a poco prima trovava posto in una casa. Gli automobilisti rallentano per capire se si tratta di un mercatino improvvisato o di una nuova discarica abusiva, ma nessuno si ferma. Non è chiaro perché una donna di colore si disperi e cosa facciano lì tanti immigrati africani.

Se si va a parlare con Salah Mohamed Taha, nonostante la situazione di emergenza, lui offre subito un posto a sedere. Proprio come se quel marciapiede fosse il salotto di casa sua. Racconta che giovedì 24 gennaio lui e gli altri membri di cinque famiglie sudanesi che abitavano in una casa di proprietà del comune sono stati sfrattati a forza. “Sono arrivati diversi poliziotti e ci hanno dato 10 minuti per sgomberare la casa”, racconta. “Hanno preso in braccio due bambini e messo le manette a mia moglie”.

Salah è in Italia dal 1993 e si arrangia per vivere. Tutti gli altri sudanesi sfrattati insieme a lui, compresi sei bambini, il più piccolo dei quali ha solo due mesi, sono richiedenti asilo, provenendo da un paese certo non facile.“Non siamo animali e vogliamo essere trattati con il minimo di gentilezza”, dice con forza. Prima vivevano insieme nei pressi della stazione Tiburtina, ma grazie ad un accordo tra la comunità sudanese e il comune capitolino, sono stati trasferiti, circa due anni fa, in un immobile in via Casilina. “Ora vogliono spostare le nostre famiglie insieme ad altre 80 persone single in un alloggio in zona Torre Angela, obbligandoci a condividere anche il bagno” – rivela Salah.

Rifiutata la proposta di spostarsi, sono rimasti per strada, affrontando il disagio e contando sull’aiuto di amici che si prendono cura dei bambini. Per uscire dalla condizione di invisibilità, venerdì 25 sono andati a parlare con un avvocato mentre uno di loro è rimasto sul marciapiede a sorvegliare gli oggetti personali della comunità. “Quando siamo tornati – afferma Salah – abbiamo scoperto che il nostro collega era stato investito da una macchina e portato in ospedale”. Quasi un accanimento della cattiva sorte.

Marcello Bertucci, avvocato dei sudanesi sfrattati, racconta che ha presentato un esposto in procura a firma di uno dei richiedenti asilo. “Sono rimasto perplesso su come è avvenuto lo sfratto – dice – Ai sudanesi non è stato presentato nessun documento ufficiale”. Secondo Bertucci, i tempi per risolvere il caso saranno lunghi. Nel frattempo i richiedenti asilo, che per legge non sono ancora autorizzati a cercarsi un lavoro regolare, continuano a vivere sul marciapiede. “Sopportiamo tutto, anche il freddo – afferma Salah – basta che non piova”.

Anelise Sanchez