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Rimpatri in Libia – Asgi e A. I. scrivono al Governo italiano: avete violato i diritti umani

E’ stata più volte affrontata la vicenda dei rimpatri disposti dal Governo italiano e dell’Accordo concluso con la Libia, seguito dalla revoca dell’embargo da parte di tutti i paesi dell’Unione europea.
In particolare, dell’Accordo con la Libia non si sa nulla: né cosa vi sia scritto, né quali garanzie dovrebbe dare la Libia relativamente al trattamento delle persone rimpatriate, né quali altri controlli possano essere effettuati rispetto al trattamento che la Libia riserverà – e sta già riservando -, alle persone respinte che non sono cittadini libici.

Alla serie di critiche sollevate da più parti, si aggiunge un recente documento, adottato da Amnesty International e dall’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) che è stato inviato al Presidente del Consiglio e al Ministro dell’Interno, ove si denunciano una serie di violazioni dei diritti umani fondamentali, con precisi riferimenti normativi sia alle norme italiane, sia alle precedenti denunce della Corte Costituzionale e, infine, a norme internazionali.
In particolare si denuncia, innanzitutto, l’assenza di notizie e, soprattutto, la preclusione di qualsiasi attività di controllo anche da parte di organismi internazionali quali l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per Rifugiati (ACNUR).
Le organizzazione non governative e lo stesso ACNUR, hanno più volte chiesto di visitare il centro di “detenzione” di Lampedusa; si precisa peraltro che l’ACNUR ha ottenuto l’autorizzazione relativa solo dopo cinque giorni, quando ormai oltre mille persone erano già state rimpatriate in Libia e altre 500 erano state trasferite nei centri di Caltanissetta e Crotone.
È più difficile entrare nei Cpt che non nelle carceri italiane!

Relativamente alla situazione come appena delineata l’ASGI e Amnesty International pongono una serie di domande e precisazioni.
– Si chiede “quali provvedimenti amministrativi o giudiziali sono stati adottati nei confronti dei cittadini stranieri sbarcati nelle ultime settimane a Lampedusa e di cui la stampa ha dato ampia notizia”.
In base alla normativa vigente (come interpretata ultimamente anche dalla Corte Costituzionale) qualsiasi provvedimento di espulsione, di accompagnamento alla frontiera e di respingimento alla frontiera, deve essere preceduto da una convalida da parte dell’autorità giudiziaria.
– Si chiede pertanto se tutte queste persone siano state realmente sentite da un’autorità giudiziaria;
se queste persone siano state assistite da interpreti, o messe nelle condizioni di essere assistite da difensori e, quindi, se siano state avvisate della facoltà di farsi assistere davanti all’Autorità giudiziaria da un difensore di fiducia; inoltre, si chiede se i difensori eventualmente nominati, siano stati avvisati delle cosiddette udienze di convalida che dovrebbero – non abbiamo notizia di provvedimenti di questo genere nel caso di Lampedusa – sempre precedere l’esecuzione di un provvedimento di respingimento alla frontiera;
se le persone detenute di fatto nei Cpt siano state informate sul diritto di chiedere asilo nel territorio italiano e se, chi avesse esercitato concretamente il diritto di asilo, presentando domanda, abbia poi avuto la possibilità concreta di ottenere l’esame della stessa da parte della competente Commissione. Al riguardo giungono segnali preoccupanti, considerato che in base ai rapporti delle organizzazioni non governative che sono riuscite ad avere contatti con alcuni dei detenuti nei Cpt, sembra che questa possibilità non sia stata concessa.
– Si chiede con quali criteri si è stabilita la discriminazione di fatto, ossia la differenziazione tra persone che sono state trasferite in altri Cpt – come ad esempio a Caltanissetta – e persone che, invece, sono state direttamente colpite dal provvedimento di respingimento e di accompagnamento nel paese di presunta provenienza”;
se sia stato tenuto in considerazione che l’art. 4, Protocollo Addizionale n.4, della Convenzione europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, e l’art. 19 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione (europea), vietano espressamente le espulsioni collettive di stranieri;
se la prassi adottata dal Governo non configuri, come sembra palese, un provvedimento di espulsione collettiva, adottato senza considerare minimamente le condizioni dei singoli individui, ma considerando tutti destinatari dello stesso trattamento e presumendo, quindi, che tutti siano nelle stesse condizioni;
– se sia stata presa in considerazione la possibilità che le persone interessate dal provvedimento di ri-accompagnamento in Libia non rischino persecuzioni o trattamenti disumani e degradanti, essendo noto che gli standard sui diritti umani in Libia sono purtroppo carenti – per usare un delicato eufemismo -, e che la Libia non è firmataria della Convenzione di Ginevra sullo Status di rifugiato e che, quindi, non potrebbe dare idonee garanzie sul possibile esercizio del diritto di asilo in quel territorio
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Tutte le domande sopra riportate sono state presentate formalmente al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’Interno e corrispondono in buona sostanza alle critiche già manifestate, sia pure in maniera più diplomatica, dall’Alto commissariato delle Nazioni unite per i Rifugiati.
Naturalmente non ci aspettiamo risposte particolarmente incoraggianti, anzi, come è già stata data notizia, a livello europeo si sta facendo sempre più larga l’ipotesi delirante di individuare Paesi terzi (rispetto all’Unione Europea) cosiddetti sicuri, dove le persone che avessero in mente di chiedere asilo verso l’Europa, dovrebbero essere trattenute e verosimilmente catturate in occasione di rastrellamenti per poi – non si sa con quali garanzie sulla tutela dei diritti perché non c’è modo di controllare quello che avviene al di fuori dell’Unione europea – esercitare fiduciosamente la domanda d’asilo ed attendere, chissà come e per quanto tempo, una risposta.
Per voce dello stesso Ministero della Difesa, non si ha a che fare con persone che scappano in quanto costrette a fuggire dai propri paesi, ma, addirittura, con persone che sono presunte pericolose in quanto vi sarebbero, almeno in parte, soggetti che cercano di infiltrarsi attraverso canali clandestini, per venire a fare i terroristi in Italia. Niente di più ridicolo se si considera che mai e poi mai l’appartenente ad un’organizzazione terroristica, disponendo di ben altri mezzi, avrebbe l’opportunità e l’interesse a scegliere come veicolo per l’ingresso in Italia, l’ingresso clandestino attraverso una delle famose “carrette” del mare.