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Rinnovo del permesso di soggiorno – L’applicazione della legge Bossi – Fini da parte delle questure a chi ha beneficiato della regolarizzazione

Vogliamo di seguito trattare alcune problematiche concernenti la prassi delle questure, in relazione, in particolare, al rinnovo dei permessi di soggiorno dei “regolarizzati”, ovvero di quegli stranieri che hanno, appunto, regolarizzato la propria posizione di soggiorno con la nota sanatoria che ha portato al rilascio di circa 680.000 permessi per lavoro domestico e per lavoro subordinato.

Il grosso problema che sta emergendo proprio in questo periodo (stanno infatti per essere rinnovati molti permessi di soggiorno) è quello delle persone che hanno nel frattempo cessato di svolgere l’attività di lavoro subordinato presso il datore di lavoro che aveva fatto la dichiarazione di regolarizzazione, o presso i successivi datori di lavoro che, come si dice, erano allo stesso subentrati. Accade infatti che coloro che ora chiedono il rinnovo del permesso di soggiorno, ma hanno già intrapreso un’attività di lavoro autonomo – cessando quindi quella iniziale di lavoro subordinato – si vedono rifiutare il rinnovo del permesso di soggiorno.

Questo rifiuto sorprende indubbiamente chi è abituato a pensare che agli stranieri debbano applicarsi le stesse regole e che quindi si debba applicare, anche in questo caso, il diritto previsto dal T.U. sull’Immigrazione (art. 5, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286) – diritto previsto in via generale per tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti per motivi di lavoro – di svolgere anche attività di lavoro autonomo; quindi una qualsivoglia attività di lavoro autonomo quale quella artigianale, commerciale, professionale o imprenditoriale. Si pensi in tal senso anche alle attività cosiddette di lavoro parasubordinato quali quelle dei soci di cooperativa o dei collaboratori nell’ambito dei famosi contratti di collaborazione coordinata continuativa che oggi, secondo la nuova legge Biagi (Legge del 14 febbraio 2003, n. 30, approvata il 5 febbraio 2003 – pubblicata nella G.U n. 47 del 26 febbraio 2003 – entrata in vigore il 13 marzo 2003), vengono definiti contratti di collaborazione a progetto.

Per tutte le persone che svolgono le attività di lavoro autonomo come sopra delineate (ci si riferisce a coloro che hanno beneficiato della recente regolarizzazione), si pone ora il problema del rinnovo del permesso di soggiorno in quanto le questure stanno applicando pedissequamente e alla lettera la norma che è contenuta nella legge 9 ottobre 2002, n. 222 (che ha convertito il d.l. 9 settembre 2002, n. 195, “Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari) e che, analogamente, per quanto riguarda le cosiddette badanti e lavoratrici domestiche, è contenuta nella legge 30 luglio 2002, n. 189 (c.d. legge Bossi – Fini).
Si tratta, in particolare, dell’art. 1 comma 5 della legge 222/2002 di cui sopra, ove prevede che il permesso di soggiorno può essere rinnovato alla scadenza dell’anno (concesso in base alla legge di regolarizzazione) previo accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato ovvero a tempo determinato di durata non inferiore ad un anno.

La semplice lettura di questa norma porta ed ha portato le questure a ritenere che i neo-regolarizzati (quelli dell’ultima sanatoria) possano rinnovare il permesso di soggiorno solo se continuano a svolgere un’attività nell’ambito del lavoro subordinato.
Addirittura – siccome la norma (art. 33) corrispondente contenuta nella legge 189/2002 (relativa alle badanti) prevede espressamente che il permesso di soggiorno venga rinnovato previa verifica della prosecuzione del rapporto di lavoro – alcune questure ritengono che le badanti neo regolarizzate possano rinnovare il permesso di soggiorno, non solo se continuano a svolgere un’attività di lavoro subordinato, ma unicamente se questa attività di lavoro subordinato sia riconducibile al lavoro domestico e non invece ad altri settori di lavoro nell’impiego privato.

Questa interpretazione – che riguarda tutti i neo regolarizzati che ora svolgono attività diverse da quelle per le quali avevano ottenuto la sanatoria – ci sembra palesemente illegittima, pur trovando un riferimento testuale nella infelice formulazione della norma in materia di regolarizzazione sopra riportata. Il motivo per cui sosteniamo la palese illegittimità della interpretazione ed applicazione della norma da parte delle questure, è molto semplice e ragioni di buon senso credo che consentano a chiunque di comprendere le argomentazioni che si vogliono di seguito esporre.

In particolare, tale interpretazione contrasta palesemente con i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico.
Mi riferisco al principio di parità di trattamento sancito dall’art. 3 della Costituzione, che impone secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale che situazioni identiche vengano regolate dalla legge in maniera identica, e che solo situazioni diverse vengano regolate dalla legge in maniera diversa.

Per l’appunto, in base a questo principio, si potrebbe già comprendere come non abbia senso pretendere di applicare solo ai neo regolarizzati un regime giuridico diverso da quello che è stabilito in via generale per tutti i lavoratori già regolarmente soggiornanti. Il regime applicato a questi ultimi consente infatti di cambiare tipo di lavoro e, quindi, di passare dal lavoro subordinato al lavoro autonomo.
Se questa fosse l’interpretazione corretta, dovremmo poi immaginare che anche in occasione di tutti i successivi rinnovi di permesso di soggiorno i neo regolarizzati continuerebbero a portare una specie di “marchio” che limita le loro facoltà e le loro attività economiche lecite e svolgibili nel territorio italiano.
Questo non avrebbe senso, anche perché il principio di non discriminazione e di pari opportunità di accesso – non solo al mercato del lavoro subordinato, ma anche alle attività lavorative non salariate e, quindi, in generale a tutte le attività di lavoro autonomo – è sancito anche a livello internazionale e vincola in particolar modo il legislatore italiano.

La Convenzione 143/1975 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) ratificata dall’Italia con legge 10 aprile 1981, n. 158, sancisce in modo chiarissimo ed inequivocabile il principio di pari trattamento e di pari opportunità di accesso alle attività economiche che consentono la sopravvivenza; ciò a condizione che lo svolgimento di tali attività sia effettuato in maniera regolare e, quindi, compiendo tutti gli adempimenti previsti dalla legge; proprio come chi ha chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo e, nonostante ciò, si è visto rifiutare il rinnovo del permesso di soggiorno.

Un’interpretazione agganciata alla pur infelice formulazione della norma che dovesse comportare la conseguenza sopra prospettata, contrasterebbe quindi con il principio di pari trattamento e di pari opportunità. E questo assume un rilievo diretto nel nostro ordinamento giuridico perché l’art 10, comma 2, della Costituzione prevede espressamente che la condizione giuridica dello straniero sia non solo regolata dalla legge nazionale, ma prevede anche che la stessa legge nazionale deve conformarsi a principi stabiliti dagli accordi e dai trattati internazionali in materia. E uno di questi principi è quello della piena parità di trattamento e di opportunità, come definito nella Convenzione sopra menzionata.
Non è ammissibile – per il diritto internazionale e per il diritto costituzionale italiano – che vi sia un trattamento diversificato tra stranieri extracomunitari già legalmente soggiornanti nel territorio italiano. Quindi non è ammissibile che la normativa in materia di sanatoria o regolarizzazione sopra richiamata, produca questa discriminazione di trattamento che si protrae per tutta la loro vita stabile nel territorio italiano.
In altre parole, una volta che queste persone hanno ottenuto, in base ad una legge speciale, un permesso di soggiorno valido per lavoro hanno, o devono avere, riconosciuto il diritto di utilizzare il pds ottenuto per svolgere tutte le attività economiche consentite ad uno straniero .

La legge Bossi Fini crea nuovi clandestini

Ebbene, che abbia senso produrre dei clandestini pretendendo che questi regolarizzati continuino a svolgere esclusivamente l’attività per la quale era stata concessa la loro regolarizzazione, è francamente assurdo. Ciò contrasta con le pur minime aspirazioni di qualsiasi individuo e, soprattutto, come abbiamo già precisato, configge con i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico.

Si precisa che, qualora venga notificato un provvedimento di rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno, l’unica possibilità per difendersi è quella di fare un ricorso al competente TAR. Non è percorribile la strada di insistere con la questura al fine di ottenere delle risposte diverse da quelle già ottenute, perché, evidentemente, si tratta di disposizioni che sono state impartite a livello ministeriale (e ci sembrerebbe strano il contrario considerato che questo tipo di interpretazione è applicata praticamente da tutte le questure). Evidentemente ci sono delle direttive che ufficialmente non risultano ancora esistenti, nel senso che le circolari eventualmente diramate dal ministero non sono ancora disponibili. Sappiamo infatti che non sono documenti ufficiali e non risulta che siano frequentemente inseriti nel sito web del Ministero dell’Interno, sicché entrare in possesso di una circolare che fornisce agli uffici periferici indicazioni a questo o ad altri riguardi, è sempre un’operazione “rocambolesca”, lasciata al caso, alla fortuna, o a qualche rapporto più o meno confidenziale con operatori dell’amministrazione che permettono di ricopiare il testo di una circolare che è stata loro inviata.

Ma – indipendentemente dal fatto che questa interpretazione delle questure dipenda da una circolare scritta più o meno bene da parte di un funzionario del Ministero dell’Interno – quello che conta è sottolineare come la stessa sia controproducente anche rispetto alle finalità di emersione tanto dichiarate anche dalla legge di regolarizzazione, perché si tratta di trasformare molte persone che non stanno facendo niente di male in clandestini che, a questo punto, rischiano (dopo la notifica di rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno) di essere espulsi con accompagnamento immediato alla frontiera. Il provvedimento di rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno viene normalmente notificato con invito contestuale a lasciare l’Italia entro 15 giorni e a consegnare il provvedimento di rifiuto alla polizia di frontiera. Diversamente, non ottemperando a questo provvedimento di invito a lasciare il territorio nazionale, lo straniero diventa un cosiddetto clandestino a tutti gli effetti e può essere colpito da un provvedimento di espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera.

Ci piacerebbe tanto poter dire che già qualche Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) si è pronunciato su una questione analoga sospendendo gli effetti del provvedimento impugnato, ma, considerato che si tratta di un problema assolutamente recente, ciò non è ancora.
Naturalmente molti saranno i ricorsi che verranno depositati presso i TAR e non mancheremo di divulgarne l’esito – qualunque esso sia – in modo tale che gli interessati possano regolarsi su ciò che li attende.

E’ quantomeno giusto che chi ha il permesso di soggiorno di prossima scadenza (ottenuto con la regolarizzazione) sappia che se sta svolgendo un’attività di lavoro autonomo – o nel caso delle badanti se stanno svolgendo un’attività di lavoro subordinato in un settore diverso – ha un fortissimo rischio di ottenere un rifiuto.
Non nascondo che c’è anche chi ha cercato di evitare questo rischio, e talvolta ci è riuscito, essendo stato preventivamente informato nella maniera informale (in uso presso quasi tutti gli sportelli delle questure). In altre parole è stato preavvisato del fatto che il suo permesso di soggiorno correva il rischio di non essere rinnovato in quanto stava svolgendo un’attività economica diversa da quella per la quale era stata concessa la regolarizzazione.
Ed ecco che molte persone sono corse ai ripari cambiando nuovamente attività e presentando la richiesta formale di rinnovo del permesso di soggiorno dopo aver abbandonato l’attività di lavoro autonomo e, talvolta, dopo aver abbandonato l’attività di lavoro subordinato in un settore diverso; si sono quindi presentate nuovamente (ritornando “alle origini”) come badanti o domestiche nel caso di persone che hanno regolarizzato rapporti di lavoro domestico, o come lavoratori subordinati nel caso di regolarizzati in altri settori.
Naturalmente ci sono state corse affannose per trovare un datore di lavoro che formalizzasse un’assunzione regolare (comunicando l’avviamento al lavoro, la denuncia agli istituti di assicurazione sociale obbligatoria) al fine di consentire all’interessato di poter documentare presso lo sportello della questura l’attività lavorativa subordinata in corso nel momento di presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno.
Ed ecco che allora, anche se vi sono stati periodi intermedi precedenti in cui non vi era un’attività di lavoro subordinato in corso, il fatto di presentarsi al momento del rinnovo con un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato della durata minima annuale, ha consentito di rinnovare senza incidenti il permesso di soggiorno.
Tutto ciò può essere considerato una sorta di rimedio, anche se non è certo da considerare tale il fatto di essere costretti a cambiare attività di lavoro e a svolgerne una diversa da quella per la quale si sono fatti sacrifici, studi e investimenti.

In conclusione si precisa che, se chi non ha ancora presentato la domanda per il rinnovo del permesso di soggiorno, potrà eventualmente prevenire il problema con le modalità sopra precisate, è chiaro che chi invece ha già ricevuto la comunicazione negativa – ovvero il formale rifiuto per il rinnovo del permesso di soggiorno per queste ragioni – non potrà che fare ricorso al TAR.