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Rinnovo del permesso di soggiorno umanitario: la Questura è tenuta a valutare il positivo radicamento del richiedente

Tribunale di Roma, ordinanza del 20 luglio 2021

Foto di Claudio Colotti - 10 novembre, Roma #indivisibili

Il Tribunale di Roma sottolinea – in sede di rinnovo di permesso di soggiorno – il dovere della Questura di effettuare una valutazione delle esigenze anche di carattere umanitario del richiedente – anche indipendentemente rispetto alla valutazione della Commissione che rilascia il parere sul rinnovo – e riconosce protezione umanitaria a cittadino della Guinea, tenuto conto della lunga permanenza in Italia, del positivo inserimento sociale e lavorativo, dello sradicamento dal Paese di provenienza a seguito del tempo trascorso e della vulnerabilità attestata documentalmente.

In particolare il Tribunale scrive nella decisione: “Ai sensi dell’art. 5, co. 9, d.lgs. n. 286/98, in sede di rinnovo del titolo di soggiorno per motivi umanitari, laddove non si riscontri la permanenza delle esigenze di protezione umanitaria che ne avevano consentito l’originario rilascio, ovvero di diverse e sopravvenute, dovrà comunque essere valutata la possibilità di rilascio in favore del cittadino straniero di un titolo di soggiorno per motivi diversi, anche di carattere umanitario, ovviamente verificato il possesso dei requisiti normativamente richiesti a tal fine.
Infatti, se è vero che alla Commissione Territoriale spetta il parere sulla persistenza o meno delle condizioni per rinnovare la protezione umanitaria, non è certo sottratta al Questore la verifica degli ulteriori requisiti per il rilascio del permesso umanitario, tramite l’acquisizione da parte del soggetto interessato di tutta la relativa documentazione, ai sensi dell’art.11 comma 1 lett c) ter del DPR n.394/1999.
Nel caso di specie è necessario considerare che il ricorrente, arrivato in Italia da parecchi anni, si troverebbe, ove rimpatriato, in una situazione di assoluto sradicamento rispetto alla realtà sociale ed economica del proprio paese. In aggiunta, nei suoi circa undici anni di permanenza in Italia lo stesso ha intrapreso un positivo percorso di integrazione, lavorando con continuità e partecipando a vari progetti di accoglienza, come attestato dalla documentazione depositata; a ciò si aggiunga anche la documentazione medica versata in atti dal ricorrente la quale contribuisce a rafforzare gli elementi di vulnerabilità del ricorrente.
Si deve, dunque, ritenere che un suo rimpatrio forzoso interromperebbe un percorso di maturazione ancora in atto e lo esporrebbe a difficili condizioni di vita, non solo per la mancanza di legami familiari nel suo paese d’origine, ma anche a causa delle difficoltà di reinserimento sociale e lavorativo in una realtà, quale quella della Guinea. Infine il ricorrente non ha mai avuto problemi con la giustizia, circostanza che contribuisce a corroborare, stante la situazione di vulnerabilità patita, elementi a supporto di una attuale situazione di avvenuta integrazione in Italia
“.

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Tribunale di Roma, ordinanza del 20 luglio 2021

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