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Rinnovo pds – Il patteggiamento è sempre ostativo al soggiorno in Italia?

Abbiamo già detto che l’ 4 del T.U. sull’Immigrazione (“Ingresso nel territorio dello Stato”, come modificato dalla legge Bossi-Fini) prevede una preclusione all’ingresso, al soggiorno o al rinnovo del permesso di soggiorno nel caso di persone condannate per determinati reati. La gamma di tali reati è stata con la nuova legge 31 luglio 2005 n. 155 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 27 luglio n. 144, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, G.U. n. 177 del 1 agosto 2005) aumentata fino a comprendere anche reati di minore entità rispetto a prima. Si è dunque abbassata la soglia della preclusione all’ingresso e al soggiorno a fronte della condanna per determinati reati, anche nel caso in cui vi sia una condanna riportata a seguito di patteggiamento (non in base ad un processo ma in base ad una richiesta di applicazione della pena in misura ridotta senza un vero e proprio accertamento dei fatti e della responsabilità).
Viene infatti modificato l’art. 380, comma 2, lettera i), del Codice di Procedura penale (art. 13, l. 155/05) prevedendosi che questo articolo (dedicato anche alle ipotesi di arresto in flagranza) si applichi anche a reati puniti con pena “non inferiore nel minimo a 4 anni (e non 5 come precedentemente previsto) o nel massimo a 10 anni”.
Il patteggiamento costituisce spesso una scelta difensiva proprio perché di fronte al rischio di una condanna con una pena più grave si opta per la certezza di una condanna di entità inferiore. Se questo generalmente può costituire un elemento di valutazione che presenta i suoi lati positivi e negativi, nel caso degli stranieri questo equilibrio si sfalsa perché la condanna patteggiata – per determinati reati – porta anche come conseguenza la preclusione al rinnovo del permesso di soggiorno.
Paradossalmente in determinati casi, dal punto di vista delle scelte difensive, per uno straniero extracomunitario potrebbe essere più conveniente rischiare la condanna al dibattimento e, quindi, lasciar perdere il patteggiamento. Anche nel caso in cui riportasse la condanna al dibattimento questa situazione potrebbe rivelarsi per certi aspetti “più vantaggiosa” perché è possibile fare appello poi eventuale ricorso alla Corte di Cassazione con la conseguenza che la sentenza non diventa definitiva e non produce subito, a differenza di quanto accade invece col patteggiamento, l’effetto di preclusione del rinnovo del permesso di soggiorno.

Ci viene richiesto se davvero vi sia un automatismo nell’applicazione di questa preclusione prevista nell’art. 4 del T.U. sull’Immigrazione, ovvero se la persona qualora condannata – anche se per un solo episodio con una pena che rientra nelle ipotesi previste dall’art. 4 – debba sempre di fatto essere espulsa dal territorio italiano o comunque non possa più rinnovare il permesso di soggiorno.

Questa disposizione è stata modificata dalla legge 30 luglio 2002 n. 189, c.d. Bossi-Fini (il testo pre-esistente dell’art. 4 non prevedeva nulla del genere). Già si discute se debba applicarsi solo ai reati avvenuti successivamente alla sua entrata in vigore – come riteniamo corretto – o se invece debba applicarsi anche ai reati commessi precedentemente. Questo a prescindere dalla data in cui questi vengono accertati con una sentenza.
Esempio pratico – Potremmo avere un caso di reato che rientra nell’ipotesi prevista dall’art. 4, ma compiuto nel 2001 e per il quale è stata emessa sentenza di condanna nel 2003. Ci si chiede se la persona che ha commesso il reato nel 2001 debba subire una conseguenza sanzionatoria che è stata introdotta solo successivamente nel 2002.
Addirittura una circolare del Ministero dell’Interno suggerisce alle questure di non considerare questa preclusione come automatica per i reati compiuti precedentemente all’entrata in vigore della Bossi-Fini, ma di valutare caso per caso.

Tuttavia, anche se il problema potrebbe essere affrontato con questa interpretazione, è chiaro che più passa il tempo più avremo da occuparci di reati commessi successivamente all’entrata in vigore della legge.
Quindi la domanda è: esiste un automatismo in base al quale per il solo fatto che c’è una condanna di quel tipo e di quella entità, ci deve essere sempre e comunque il rifiuto del permesso di soggiorno? Oppure c’è lo spazio, la possibilità per una valutazione discrezionale che tenga conto, per esempio, della pericolosità sociale anche valutando provvedimenti dell’autorità giudiziaria o del magistrato di sorveglianza che eventualmente fossero già stati adottati?
Si premette che la valutazione di pericolosità sociale operata dalle questure tende a riprodurre una sorta di automatismo. Infatti molto spesso vediamo che il solo fatto che una persona abbia commesso un reato viene considerato automaticamente come indice di pericolosità sociale, magari in situazioni in cui il competente magistrato di sorveglianza aveva già ritenuto che questa pericolosità non ci fosse o fosse venuta meno nel corso del tempo.
Quindi esiste già questa possibilità indipendentemente dalla preclusione prevista dall’art. 4 del T.U. sull’Immigrazione. L’art. 13 del T.U., comma 1 lettera c), permette di adottare l’espulsione nei confronti di persone ritenute pericolose. Abbiamo potuto notare che nell’orientamento dei Tribunali Amministrativi Regionali (TAR) raramente si va a censurare e contrastare la valutazione operata dalla questura in termini di pericolosità sociale.

Per quanto riguarda il TAR Veneto non mi risulta che nessuno (ma per scrupolo dirò quasi nessuno) di questi provvedimenti sia stato annullato o sospeso neppure a fronte di documentazione che evidenzia come la valutazione della questura sia stata fatta sostanzialmente in termini di automatismo.
Da questo punto di vista c’è una novità nel rapporto che intercorre tra questo automatismo e il rispetto dei principi della nostra Costituzione. Con ordinanza del 12 maggio 2005 il TAR della Lombardia ha sollevato questioni di illegittimità costituzionale proprio in riferimento all’ ipotesi in cui con semplice patteggiamento si preclude la possibilità di rinnovo del permesso di soggiorno e comunque per l’ipotesi in cui, per una sola condanna – ossia per un fatto isolato – si prevede l’automatismo del rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno. Naturalmente ci vorrà molto tempo prima che la Corte Costituzionale si pronunci sulla questione e al momento sembra che l’unica possibilità che si presenta, a chi volesse tentare di contrastare questo automatismo al fine di ottenere una interpretazione che almeno permetta una valutazione caso per caso, è quella di sollevare presso altri Tribunali la questione di illegittimità costituzionale confidando che la Corte Costituzionale possa concordare con le considerazioni già prospettate dal TAR della Lombardia.