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Rinnovo pds – Le nuove complicazioni tramite l’inoltro presso le Poste

Si vogliono di seguito commentare le notizie pervenute in questi giorni relative sia alla possibilità di “allargare” il decreto flussi, sia alle nuove procedure per il rinnovo dei permessi di soggiorno (già previste dal vecchio governo e che ora vedremo se saranno confermate).
Ci riferiamo in particolare alla procedura che, in base alla convenzione già formalizzata con l’ente Poste Italiane dal Ministero dell’Interno, prevede l’inoltro delle domande di rinnovo direttamente tramite il servizio postale.

A questa convenzione si collega l’altra convenzione stipulata dal Ministro del Welfare con i patronati delle organizzazioni sindacali CGIL, CISL, UIL e delle ACLI, che prevede l’assistenza gratuita da parte dei loro uffici nella istruttoria e nella compilazione delle domande di rinnovo dei permessi di soggiorno.
Questa convenzione prevede anche, da parte di queste organizzazioni, la possibilità di accedere alla banca dati unicamente per quanto riguarda il caricamento dei dati, in corrispondenza con le domande che di seguito dovranno essere lavorate dal Centro Elaborazioni Dati delle Poste Italiane.

Le richieste dell’Anci
Rispetto a questi programmi di lavoro, come pure su altri aspetti relativi all’integrazione e all’acquisto della cittadinanza, l’Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia (Anci) ha espresso il suo punto di vista che si può così sintetizzare: affidare ai Comuni il rinnovo dei permessi di soggiorno, estendere agli immigrati il diritto di voto, riformare le norme sulla cittadinanza e varare una legge organica sul diritto di asilo. Queste sono in sostanza le proposte che l’Anci (anche alla luce dei dati forniti dal Dossier Caritas -Migrantes) rivolge al governo.
Fabio Sturani (vicepresidente ANCI con delega per l’immigrazione) auspica che vengano coinvolti direttamente i Comuni nelle pratiche di rinnovo dei permessi di soggiorno. In particolare l’Anci propone di salvare le esperienze che sono già diffuse sul territorio riguardanti l’assistenza prestata dagli enti locali alle procedure di rinnovo dei permessi di soggiorno. Trasferire tutto ciò alle Poste Italiane significherebbe vanificare questa esperienza e, soprattutto, impedire che si possa avere a livello locale un monitoraggio effettivo su prassi e tempistica seguite per quanto riguarda i rinnovi dei permessi di soggiorno.
Ciò vuol dire che nelle città in cui funzionano queste convenzioni – nel momento in cui queste pratiche dovessero passare direttamente alle Poste – gli immigrati non dovrebbero più passare per questi uffici e quindi verrebbe meno quella attività di monitoraggio che, sia pure indirettamente, viene svolta proprio perché tramite gli stessi è possibile verificare quali sono i tempi del rinnovo dei permessi di soggiorno, del rilascio del nulla osta alla ricongiunzione familiare, e quali sono i criteri concretamente seguiti nel valutare le pratiche; ciò al fine di verificare se una determinata questura applica in modo “condivisibile” oppure restrittivo la normativa in materia.

Il cittadino immigrato abbandonato a se stesso
Devolvendo tutto alle Poste l’immigrato resta di fatto abbandonato a sè stesso. Si può infatti già prevedere che considerato che queste non possono – e non vogliono – entrare nel merito della documentazione presentata, si faciliterà indirettamente l’inoltro di domande non complete che poi saranno destinate al rigetto, o comunque ad una ulteriore perdita di tempo per la loro integrazione.
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E’ chiaro che, nel momento in cui gli interessati non sono più tenuti a prenotarsi presso un apposito ufficio – e quindi ad essere assistiti per la verifica della documentazione – l’inoltro delle domande attraverso le Poste, che apparentemente dovrebbe costituire una semplificazione, costituirà invece una complicazione.

Ulteriori problemi
Certamente il fatto che le domande vengano inoltrate attraverso le Poste dovrebbe garantire un pur minimo esito positivo, nel senso che l’interessato dovrebbe poter dimostrare la regolarità della propria condizione di soggiorno in base alla ricevuta dalle stesse rilasciata, teoricamente ricoprendo una nuova occupazione o proseguendo l’attività lavorativa in corso.
Questo però, dal punto di vista legale, non sposta i termini della questione perchè anche le famose prenotazioni rilasciate dai Comuni – come la consueta ricevuta rilasciata dalla questura a fronte della domanda di rinnovo – dimostrano la regolarità del soggiorno durante la procedura di rinnovo.

In base alla convenzione del Ministero del Welfare con gli enti di patronato, dovrebbero essere questi ultimi in teoria a svolgere questa attività di assistenza.
Tuttavia questo tipo di attività sarebbe svolta in maniera occasionale, perché non ci sarebbe più per gli interessati la necessità di passare per questi uffici di assistenza, potendosi presentare direttamente alle Poste. L’ attività di assistenza, che peraltro richiede una certa qualificazione professionale in chi la svolge, rischia di essere sostanzialmente apparente, finta, perché la convenzione non comporta alcun onere economico a carico dello Stato con la conseguenza che non vengono erogati contributi a favore dell’organizzazione di patronato.
Senza un minimo di contributo economico è difficile immaginare che le organizzazioni sindacali possano, basandosi unicamente sugli introiti dati dal tesseramento, allestire anche questo servizio particolarmente oneroso.
Inoltre sembra anche che vi sia la volontà di standardizzare le pratiche e di imporre a questi enti di patronato delle procedure che non sempre potrebbero tradursi in una effettiva attività di tutela dei diretti interessati.

Operatori denunciati?
E’ sintomatico quanto è stato riferito riguardo ad un incontro preliminare svoltosi a Trieste tra questura ed enti di patronato in vista della operatività di questa convenzione. Nel corso di questa riunione è stato prospettato che, nel caso in cui gli enti di patronato dovessero dare assistenza per l’inoltro della domanda di rinnovo a una persona che a giudizio della questura competente non dovesse avere i requisiti ritenuti necessari per l’inoltro della domanda, ci potrebbe essere la denuncia nei confronti degli operatori di patronato per il reato di favoreggiamento della permanenza illegale sul territorio dello Stato previsto all’art. 12 del Testo Unico sull’immigrazione (Disposizioni contro le immigrazioni clandestine, d.l.vo 25 luglio 1998, n. 286).
Lascia fortemente preoccupati questa presa di posizione che confidiamo sia isolata e frutto di equivoco da parte di un singolo operatore dell’amministrazione di Polizia, perché è assolutamente fuori luogo fare addirittura riferimento a tale tipologia di reato.
E’ assurdo pensare che l’assistenza prestata in Italia da un ente di patronato, da una qualsiasi associazione o dai comuni che operano per garantire questo servizio esterno rispetto alle questure, possa addirittura esporre gli operatori ad una denuncia per il reato di favoreggiamento della permanenza irregolare sul territorio.
E ciò non solo per motivi politici e di buonsenso, ma per motivi giuridici, perché il reato di favoreggiamento della permanenza illegale sul territorio è previsto solo nel caso in cui questa condotta sia tenuta allo scopo di trarne un ingiusto profitto. Sembra ridicolo prospettare questa ipotesi di reato se si pensa che la stessa convenzione prevede che questa assistenza debba essere effettuata senza oneri a carico dello Stato quindi, a maggior ragione, senza oneri a carico dei diretti interessati.

In sostanza, una assistenza prestata gratuitamente per finalità di utilità sociale, non può certo considerarsi come una condotta rivolta a realizzare un ingiusto profitto, quindi il solo fatto che non esista a priori un profitto (tanto meno ingiusto), escluderebbe in maniera pacifica la possibilità di configurare questo tipo di reato.
D’altra parte la condotta di favoreggiamento della permanenza sul territorio, per definizione, dovrebbe richiedere una attività che sia effettivamente rivolta a favorire la permanenza in condizioni illegali, quale per esempio l’occultamento, l’omessa denuncia dell’ospitalità di una persona che è senza permesso di soggiorno da parte del locatore o da parte dell’albergatore. Diverso è il comportamento di chi assiste una persona perché inoltri la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno indicando, ovviamente il proprio domicilio in Italia e allegando tutta la documentazione del caso. In tal modo non viene certo favorita la permanenza illegale dello straniero, ma semmai l’autodenuncia da parte del diretto interessato.
Ecco quindi che l’ indicazione, o prospettazione, data nel corso della riunione tenutasi a Trieste, risulta fuor di luogo e preoccupante proprio perché in qualche modo lascia temere legittimamente su quello che potrebbe essere l’intento di attuazione della convenzione stessa.
A maggior ragione, invece, si dovrebbe considerare che è indispensabile salvare le esperienze che già dimostrano di funzionare da anni e che sono state attivate dai comuni in convenzione con le province e con gli enti locali, proprio per assicurare una evidenza di queste attività e un possibile monitoraggio della situazione senza lasciare gli interessati abbandonati a sè stessi.

La convenzione con le Poste sembra significare che la procedura consisterà nel recarsi allo sportello postale – senza neanche più avere la possibilità di accedere fisicamente alla questura – per presentare la propria domanda. L’interessato riceverà una comunicazione con cui verrà, prima o poi, convocato e gli si dirà se la sua domanda è accettata o negata; e ciò in base a documentazione che non è stato possibile verificare prima con una adeguata assistenza professionale. Se poi qualcuno lo vorrà, potrà presentarsi agli enti di patronato per avere una teorica assistenza, nonostante la mancanza di contributi al riguardo!